La mia vita per i fagioli
La genialità di Henry David Thoreau al servizio della natura nel tentativo di svincolarla dalle remore di ogni conformismo
Intanto i miei fagioli, i cui filari già piantati raggiungevano, messi in fila, la lunghezza di sette miglia, erano impazienti di essere zappati; i più vecchi erano notevolmente cresciuti ancora prima che gli ultimi fossero nel terreno: davvero, non era facile liberarsene. Cosa significasse questa regolare, orgogliosa, piccola fatica erculea, io non lo sapevo. Giunsi ad amare i miei filari, i miei fagioli, sebbene fossero molti di più di quanti me ne occorressero. Mi attaccavano alla terra, e così ne ricevevo forza, come Anteo. Ma perché dovevo coltivarli? Solo il cielo lo sa. Questo fu il mio curioso lavoro per tutta quell’estate: far sì che questa porzione della superficie terrestre, che fino a quel momento aveva dato solo pentafogli, more, iperico e simili, e frutta selvaggia e fiori gentili, producesse invece questi legumi. Che dovrò imparare dai fagioli, o cosa impareranno essi da me? Li curo con affetto, li zappo, ho sempre un occhio su di loro; e questo è il mio lavoro giornaliero.
Henry David Thoreau
(1817-1862)
Testo tratto da: Henry D. Thoreau, Walden o Vita nei boschi, a cura di Bruno Segre, traduzione di Piero Sanavio, La Biblioteca ideale tascabile, Milano 1995