Editoriali
Nubi all’orizzonte: l’olio di oliva italiano non può reggere la tempesta in arrivo

Si avvicina la tempesta perfetta, con la Grande Distribuzione italiana che diventerà il Cavallo di Troia per l’accesso al ricco mercato italiano dei colossi dell’olio di oliva spagnoli. Una dinamica che impatterà anche sull’olivicoltura nazionale
21 maggio 2025 | 12:00 | Alberto Grimelli
Dopo due anni di pausa l’olio extravergine di oliva torna ad essere un prodotto civetta, un traffic builder, per attirare la clientela nei punti vendita tramite offerte volantino e sottocosto.
Il motivo è stato spiegato dal Consumer Panel di Nielsen NIQ: “la strategia di crescita vincente per i principali brand del Mass Market sembra risiedere nella capacità di raggiungere un numero sempre più elevato di clienti, con maggiori probabilità di successo se si riesce anche a migliorare la fedeltà.”
Come raggiungere un numero sempre più elevato di clienti, migliorando la fedeltà? Con i ribassi dei prezzi.
Rassegnamoci dunque, anche grazie alla scriteriata politica commerciale spagnola, al ritorno dell’olio a scaffale a 2,99 euro al litro. E’ questione di settimane, massimo qualche mese.
Si torna dunque a una stagione ben conosciuta, con gli ultimi due anni che sono stati solo una piacevole parentesi.
La storia, però, non si ripete mai uguale a sè stessa e, se le ultime campagne olearie hanno visto l’immobilismo italiano, non è stato così in Spagna. Sono cresciuti dei colossi che hanno reagito all’aggregazione dell’offerta da parte del mondo cooperativo, con altrettanta aggregazione sul fronte della domanda. Oggi sono loro a comandare, anche attraverso politiche di approvvigionamento in nord Africa e in Portogallo.
Oltre alla Spagna e agli Stati Uniti, l’Italia è il mercato più importante per l’olio di oliva, in volumi assoluti e come consumo pro capite.
Oggi la Spagna ha lasciato giocare le aziende olearie italiane nel proprio cortile di casa, purchè si approvvigionassero di extravergine spagnolo. Il vero tema è per quanto ancora lo permetteranno.
Probabilmente per poco ancora, secondo i sussurri che iniziano a circolare nel mondo distributivo italiano. Se la competizione tra le insegne della Grande Distribuzione sarà a colpi di centesimi, allora instaurare rapporti direttamente con la Spagna potrebbe garantire un vantaggio competitivo che i buyer e i direttori commerciali non vogliono certo lasciarsi sfuggire.
L’ingresso dei grandi colossi dell’olio spagnolo in Italia non avverrà, molto probabilmente, con propri marchi ma attraverso le private label della Grande Distribuzione, togliendo volumi di vendita ai brand italiani che imbottigliano milioni di bottiglie a marchio della GDO e che andranno ancora più in sofferenza di quanto sono oggi. Una vera e propria invasione silenziosa che manderà fuori giri e fuori mercato le famiglie del settore oleicolo italiano.
Non esistono marchi oleari nazionali che abbiano significative quote di mercato e una notorietà che possa permettere loro di trattare da pari, o quasi, con la GDO. Anzi, nel mondo della Grande Distribuzione circola ancora la battuta dell’ex amministratore delegato di Conad, Francesco Pugliese, che diceva che nel mondo dell’olio non esistono marchi ma solo marchette. Dividi et impera è sempre stata la logica delle insegne della GDO italiana sull’olio che hanno favorito la frammentazione, per aumentare il proprio peso negoziale. L’ego e le faide tra le famiglie olearie nazionali hanno fatto il resto.
Il prezzo sarà altissimo. Una dinamica che impatterà anche sull’olivicoltura nazionale.
Se infatti le promozioni a scaffale diventeranno progressivamente più aggressive, visto che è interesse dei colossi spagnoli vendere volumi sempre più importanti in Italia, è probabile che la quota di olio extravergine di oliva nazionale si assottiglierà, fino a diventare ininfluente agli occhi dei direttori commerciali della Grande Distribuzione. Il che si tradurrà in meno spazi, meno visibilità, meno vendite.
Le nubi che si stanno profilando all’orizzonte sono molto nere e minacciano una tempesta che il sistema olivicolo-oleario italiano non solo non è pronto ad affrontare ma che neanche sta immaginando, rischiando di far affondare una nave già oggi piena di falle.
La Grande Distribuzione, molto presto, potrà diventare il Cavallo di Troia che scardinerà definitivamente un sistema olivicolo-oleario italiano incancrenito.
Oggi non può esistere un Piano olivicolo nazionale che non impegni la Grande Distribuzione, non solo attraverso vacue promesse o il contentino di qualche spazio per bottiglie da patti di filiera, ma alla salvaguardia dell’interesse nazionale, ovvero della sopravvivenza del settore dell’olio di oliva italiano.
La sovranità dell’olio extravergine di oliva italiano non è mai stata tanto minacciata, nel silenzio generale.
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Gigi Mozzi
21 maggio 2025 ore 18:34caro Direttore
non mi sembra che sia una novità: per anni, è stato venduto olio spagnolo con nomi e nomignoli italiani.
(per evitare confusioni, invece di italian sounding lo chiamo italian lifting).
mi hanno sempre raccontato che questo “olio”, alla partenza nasceva “da olive” e all’arrivo diventava “extravergine”.
mi hanno sempre raccontato che la produzione italiana di “olio da olive” oscillava da 250.000 a 300.000 tons ma che il consumo interno (nell’immaginario “extravergine”) era da 500.000 a 600.000 tons
e che le esportazioni di “olio extravergine” italiano erano valutate da 300.000 a 400.000 tons.
con la tabellina calcolavo che, ad andare male, si guadagnano 500.000 tons e, ad andare bene 650.000 e oltre:
con la logica, si potrebbe azzardare che i produttori di questo “olio da olive” (che una volta spedito, diventerebbe “extravergine”) si sono accorti che conviene operare direttamente con i distributori, invece di lasciare una parte dei margini agli intermediari.
se poi questo fa bene alla distribuzione, che fa il suo mestiere e ha scoperto il potere del “brand”, i tempi si accorciano e gli spazi si allargano.
caro Direttore, come avrà notato, faccio un pò di confusione tra “olio da olive” e “olio extravergine”:
un suo emerito collega ha cercato di spiegarmi che si tratta della stessa materia, e forse sul piano metafisico ci starebbe,
ma non certo nei modelli e nei processi di produzione e, meno che mai, nei modelli di consumo, i cosiddetti mercati.
il mercato dell’”olio extravergine” c’entra poco con il mercato dell’”olio da olive”: certo, invece di parlare al consumatore, il mercato dell’olio extravergine, finora ha parlato solo agli amici e certo, si è lasciato incantare da chi grida più forte e racconta che, “lubrificare per lubrificare”, è meglio un liquido incolore, inodore e insapore, purificato da ingombranti sostanze fenoliche e salutistiche (che peraltro sono volatili) e sterilizzato da sapori, che non si valutano per quello che fanno, ma per quello che sono (ha provato ad assaggiare il sale ?).
il mercato dell’”olio da olive” è un mercato industriale, con i pregi (l’efficienza e la convenienza economica) e i difetti (l’impoverimento organolettico e salutistico) della produzione industriale.
il mercato dell’”olio extravergine” è un mercato artigianale con i pregi (l’offerta organolettica e salutistica) e i difetti (i costi di raccolta e di resa) della produzione artigianale.
un mio amico direbbe che l’olio industriale, “da olive”, è una commodity e l’olio artigianale, “extravergine” è una specialità.
se fosse: l’”olio da olive” italiano è senza difese, perchè la legge della commodity non fa prigionieri.
invece: l’ “olio extravergine” italiano è un prodotto artigianale, una specialità e deve solo evitare la palude della commodity.
non è facile e non si racconta in due righe, ma si può.
Gigi Mozzi