Editoriali

Niente panico: l’olio extravergine di oliva italiano non va svenduto

Niente panico: l’olio extravergine di oliva italiano non va svenduto

La tempesta perfetta sui prezzi internazionali dell’olio durerà al massimo un paio di mesi, dopodichè le quotazioni risaliranno ai livelli di settembre-ottobre. L’olio di oliva italiano è poco e prezioso e va protetto dalle speculazioni passeggere

13 novembre 2024 | 13:20 | Alberto Grimelli

Non si possono nascondere i dati: i prezzi dell’olio extravergine di oliva in Spagna e Tunisia stanno crollando, la discesa continuerà per qualche settimana, ma questo trend non, ripeto non, deve interessare l’olio italiano.

Non deve interessare l’olio nazionale perché il calo dei prezzi è frutto di una guerra commerciale iberico-tunisina/araba con un arco temperale già definito, di un paio di mesi, che ci dovrebbe vedere come spettatori e non come parte in causa.

E’ necessario, però, che il mondo dell’olio di oliva italiano sappia che, sui mercati internazionali, si stanno addensando le nubi di una tempesta e che l’abbassamento del prezzo dell’olio che è stato registrato in questi giorni a Jaen e Tunisi ne è solo il prologo.

Alcuni mediatori e imbottigliatori nazionali stanno purtroppo utilizzando queste dinamiche internazionali per speculare sull’olio italiano, cercando di comprarlo ora a poco per rivenderlo molto più caro a gennaio o febbraio. Nulla di nuovo, sono manovre note, che addirittura erano state annunciate a mezzo stampa qualche settimana fa.

Sapevano, questi imbottigliatori, ciò che è noto ai più solo oggi: Spagna e Tunisia/Turchia stanno trattando con la GDO internazionale a suon di ribassi dei prezzi per conquistare quote di mercato. I contratti con la GDO internazionale vengono siglati, usualmente, entro fine anno e quindi l’uragano durerà fino a Natale o poco più.

Poi è già previsto un riposizionamento del prezzo sia in Spagna che in Tunisia.

La Tunisia, che ha un governo autoritario che può decidere i prezzi all’export, ha già fatto sapere che il livello delle quotazioni tornerà ai livelli di settembre o ottobre di quest’anno. La previsione è che a febbraio si attesti a 6,5 euro/kg.

La Spagna, che ha un governo democratico ma ha anche una solida organizzazione di filiera e un’Interprofessione che possono intervenire sul mercato, ha già previsto, secondo le fonti da me interpellate, un analogo aggiustamento dei prezzi probabilmente giustificandolo con un abbassamento delle previsioni di produzioni, causa attacchi di mosca olearia che faranno ridurre la raccolta tardiva di gennaio-marzo. Anche qui è probabile un riposizionamento delle quotazioni ai livelli di settembre-ottobre.

Quali erano i prezzi dell’olio extravergine di oliva italiano a settembre o ottobre? Indicativamente variavano da 9,2 ai 9,5 euro/kg. E’ evidente che, comprare olio extravergine di oliva italiano oggi a poco più di 8 euro/kg per rivenderlo a 9,3 euro/kg a gennaio è un buon affare solo per gli speculatori, non per la filiera olivicola nazionale.

E’ quindi necessario che il mondo della produzione nazionale sia perfettamente consapevole dell’uragano che si sta addensando sui mercati internazionali. Nascondere la testa sotto la sabbia non serve a nulla. I dati vanno presentati ma non vanno mai presi acriticamente. Non sono le tavole della legge. Vanno sempre correttamente analizzati e contestualizzati.

Il prezzo dell’olio extravergine di oliva spagnolo e tunisino crolla per una loro guerra commerciale.

L’olio extravergine di oliva italiano non è in guerra con nessuno.

L’olio extravergine di oliva italiano, normalmente ma in particolare in questa campagna olearia, è poco e prezioso.

L’invito è quindi a non farsi prendere dal panico e non svendere un olio che, da gennaio-febbraio, tornerà alle quotazioni della fine dell’estate.

Quello che ci insegna questo primo scorcio di campagna olearia è che, purtroppo, siamo in un contesto in cui la disorganizzazione, il frazionamento e la parcellizzazione della filiera olivicola-olearia italiana è un grave danno, perché ci rende impreparati ad affrontare le tempeste, soprattutto dal punto di vista finanziario.

Manca la liquidità e il supporto finanziario utile perché le imprese e i frantoi possano tenere l’olio in casa, stoccarlo e venderlo nel momento in cui le quotazioni sono ai massimi, o comunque stabili. Invece oggi sono in balia di chi la liquidità l’ha a disposizione e può permettersi di speculare impunemente sull’olio italiano, tenendosi poi l’elevato valore aggiunto del prodotto nazionale.

La filiera olivicolo-olearia nazionale non ha bisogno di un Piano Olivicolo Nazionale per impiantare nuovi oliveti ma di un piano che possa permettere una stabilità delle quotazioni, in linea con i costi di produzione. Servono strumenti finanziari, sul modello della cambiale agraria di Ismea, che permettano a costi finanziari accettabili di non dover svendere qualche cisterna di olio italiano, così innescando pericolose speculazioni.

Avremmo anche bisogno di un’altra classe dirigente e imprenditoriale che impari a lavorare in una logica win-win, dove si crea valore aggiunto e lo si distribuisce in maniera equilibrata tra i vari attori.

Invece, oggi, qualche imprenditore oleario e qualche commerciante lavora soprattutto per massimizzare il proprio profitto, anche a scapito della sopravvivenza del mondo produttivo. Una logica predatoria che si sta realizzando in questi giorni a Bari e Barletta-Andria-Trani, sfruttando la guerra commerciale in corso tra Spagna e Tunisia/mondo arabo.

L’informazione fa potere, usarla da italiano contro gli italiani è non solo un atto cinico ma anche immorale.

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