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Imbottigliatori dell'olio di oliva: poche idee, discorsi confusi, nessuna proposta salvo l’alta qualità

Imbottigliatori dell'olio di oliva: poche idee, discorsi confusi, nessuna proposta salvo l’alta qualità

La ricerca sul consumatore d'olio di oliva? Poteva essere una buona occasione per i committenti della ricerca per farsi un esame di coscienza! Per ottenere la qualità di un extravergine conta soprattutto la competenza, l’esperienza professionale e la creatività dell’artigiano

22 settembre 2025 | 15:00 | Giampaolo Sodano

Caro Grimelli, ho partecipato con interesse al primo appuntamento di una nuova associazione di produttori di olio dalle olive. Mi correggo: una unione di famiglie dell’olio. E che famiglie: da Monini a Farchioni, da Pantaleo a De Santis, insomma il fior fiore dei marchi italiani! Un incontro, recitava il programma, tra industria olearia e GDO per affrontare il tema del valore dell’olio extravergine. Sinceramente mi aspettavo di più dagli interventi di imprenditori così blasonati e sono rimasto deluso: poche idee, discorsi confusi, nessuna proposta salvo l’“alta qualità” in etichetta di Zefferino Monini che ancora una volta è rimasto solo a sostenere questa sua personale idea. Tutti hanno decantato il primato dell’olio italiano, dimenticando di dire che è un prodotto in via di estinzione grazie alle scelte sciagurate delle associazioni agricole e dei Governi fatte in Italia e in Europa lungo mezzo secolo. Ti confesso che avrei voluto fischiare il presidente Giansanti quando nel suo intervento ha intrattenuto la platea sulla importanza della diffusione nel mondo del nostro extravergine. Ma di quale olio parlava? Ne produciamo circa trecentomila tonnellate, se la metà la riescono ad intercettare i consumatori italiani, per l’estero rimane ben poco. Diciamo la verità: in Italia si consuma olio estero, e all’estero esportiamo qualche rimanenza di italiano. Punto! 

Prima di assistere al talkshow è stata offerta una interessante indagine di mercato sul rapporto tra consumatori e olio dalle olive. Ne è uscito un panorama desolante: dopo decenni di studi e di “chiacchiere” sulla cultura dell’olio, sulla necessaria promozione di questo prodotto e sull’importanza dei finanziamenti ai coltivatori diretti abbiamo “scoperto” che le etichette sono simili ai bugiardini dei prodotti farmaceutici e che solo una modesta percentuale di consumatori sa di cosa si parla. Poteva essere una buona occasione per i committenti della ricerca per farsi un esame di coscienza! 

All’ora del lunch mi sono allontanato dal convegno convinto, ancora più che in passato, che per sapere se un olio è buono è meglio chiederlo ad una fetta di pane! In definitiva il mercato lo fanno i consumatori e quindi il giudice migliore è il nostro gusto. Evitando la seduzione del prezzo basso. 

Dietro ogni olio c’è un’azienda olearia, c’è il lavoro degli uomini, c’è un investimento. Sappiamo che estrarre l’olio dalle olive è un lavoro complesso. E pieno di incognite: a partire dall’oliveto, un bene ambientale splendido da vedere ma un’azienda senza tetto alla mercé delle bizzarrie del cambiamento climatico. Quindi se le olive sono sugli alberi, ciò non accade per caso. È il risultato di un lungo e paziente lavoro. Non basta il clima giusto, la giusta morfologia del terreno, la varietà delle cultivar, la cura agronomica, ma è la combinazione e l’equilibrio fra questi diversi fattori che determina la qualità di una materia prima determinante per ottenere un buon extravergine. Perché l’olio dalle olive si fa in frantoio con tecnologie estrattive che consentono al mastro oleario di fare oli di alta qualità, di dare valore al prodotto garantendo soprattutto i suoi straordinari contenuti salutistici.

Certamente l’obiettivo di un’impresa olearia è vendere i propri prodotti, ma nel caso dell’olio il risultato che conta è anche quello della felicità. La felicità data da un cibo buono, sano e nutriente, da un prodotto che fa bene alla salute, da un bambino che mangia una fetta di pane con l’olio e sorride di fronte a tanta squisitezza.

Per ottenere la qualità di un olio conta soprattutto la competenza, l’esperienza professionale e la creatività dell’artigiano. E’questo che fa la differenza: le industrie di marca, le grandi aziende delle famiglie italiane, ma anche anglospagnole o cinesi, producono anche olio italiano ma soprattutto confezionano quegli oli esteri che il consumatore trova sugli scaffali a tre/quattro euro al litro. 

In un sistema produttivo caratterizzato dalla presenza di oltre 4000 frantoi, gli unici veri prodotti tipici sono quelli artigianali che recuperano un’arte antica, radicata nella nostra storia. Nella Firenze del 1300, l’arte degli oliandoli trova espressione organizzata in un’associazione dei mestieri denominata “Corporazione dei Mastri Oleari”, un patrimonio della tradizione e della nostra cultura che abbiamo riscoperto con la legge n.9/2014 istituendo l’albo professionale dei mastri oleari e riconoscendo al frantoio il primato di produttore dell’olio extravergine italiano. Al convegno si è potuto ascoltare, senza scandalo, un manager di una nota catena di discount che parlava, di fronte ad una platea di esperti uditori, di un suo metodo di selezione di qualità degli oli per le sue etichette. Come sai, caro Grimelli, è nata da tempo, ed ovviamente con successo, l’etichetta del distributore, l’extravergine della GDO. Forse glielo forniscono le stesse famiglie dell’olio!

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