Editoriali
SQN Alta Qualità Italia: ecco dove sta la fregatura per l’olio extravergine di oliva 100% italiano
Recentemente i Consorzi delle IGP/DOP dell’olio extravergine di oliva ma anche la maggior parte delle associazioni olivicole si sono schierate contro la creazione di un marchio SQN Alta Qualità Italia. Ecco perché
07 novembre 2025 | 15:20 | Alberto Grimelli
Il diavolo si nasconde sempre nei dettagli.
Un marchio SQN (Sistema Qualità Nazionale) Alta Qualità Italia, anche sorretto da parametri chimico-analitici stringenti e molto bassi, può diventare un pericolo per l’olio extravergine di oliva 100% italiano.
Sembra un controsenso vista l’immagine dell’olio extravergine di oliva italiano, votata all’alta qualità ma praticamente priva di mezzi, di certificazioni che la possano attestare.
I disciplinari di produzione delle DOP/IGP italiane sono spesso obsoleti, piuttosto vecchi o volutamente un po’ lassi per privilegiare i volumi, le masse da poter immettere sul mercato, non un’effettiva alta qualità.
All’apparenza, quindi, una SQN Alta Qualità Italia è un ottimo modo, per i piccoli produttori, per dimostrare l’attenzione a produrre e mettere in bottiglia oli eccezionali, che con l’extravergine classico condividono solo il nome.
Solo che l’SQN non può vincolare in alcun modo la certificazione all’origine.
In una eventuale bottiglia di SQN Alta Qualità Italia ci può finire anche olio spagnolo, portoghese o greco, purchè rispetti i requisiti stabiliti dal disciplinare.
Si arriva cioè al paradosso che, sugli scaffali dei supermercati, potremmo trovare un SQN Alta Qualità Italia – miscela di oli comunitari e un SQN Alta Qualità Italia – 100% italiano.
Spiegare un bizantinismo simile al consumatore rappresenta una sfida che è meglio non affrontare.
La certificazione SQN, nata con un regolamento comunitario, serve a garantire una qualità superiore a quella commerciale standard stabilita dalla UE in un determinato mercato e per i consumatori di un Paese membro. Ma, per il principio della libera circolazione delle merci, non può essere impedito a un prodotto che rispetti i requisiti previsti dalla normativa SQN, ovvero dal disciplinare stabilito dal Paese, di poter aderire alla certificazione.
Le limitazioni sull’origine, ovvero il legame tra territorio e prodotto, hanno altri schemi legislativi: le DOP e IGP.
E allora come certificare che un prodotto di chiara e definita origine sia anche di alta qualità?
Non si può, ovvero non esiste alcuno strumento legislativo e questo rappresenta certamente un limite dell’attuale impianto normativo.
La lettera inviata da sette Consorzi di tutela DOP/IGP al sottosegretario La Pietra contro l’SQN Alta Qualità è sicuramente una difesa corporativa di un sistema di certificazione dell’origine (DOP/IGP), lancia un allarme sacrosanto sul pericolo di indurre in ulteriore confusione il consumatore sulle etichette dell’extravergine, ma non fornisce spunti per venire incontro a una legittima richiesta di una parte del mondo olivicolo-oleario nazionale: avere una certificazione d’origine che possa anche certificare l’alta qualità.
Non è probabilmente impossibile avviare un percorso che possa includere una menzione aggiuntiva, tipo Alta Qualità, agli oli DOP/IGP che rispettino caratteristiche chimico-organolettiche più stringenti di quelle standard.
Avere a scaffale un olio DOP Terra di Bari e un olio DOP Terra di Bari – Alta Qualità è semplice da spiegare al consumatore, così pure l’eventuale differenza di prezzo.
Si consentirebbe poi, attraverso un unico percorso certificativo (meno costi, meno burocrazia), di certificare sia origine sia qualità, al contempo permettendo una rinascita, forse un riscatto, delle DOP/IGP.
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