Editoriali

LE AGROENERGIE NO!

10 febbraio 2007 | Ernesto Vania

Alla ricerca disperata di un miracolo, di qualcosa o qualcuno che possa risollevare, in ogni modo possibile, anche quelli più fantasiosi, le sorti del comparto primario.
Nessuno però ha la bacchetta magica e De Castro non è il mago Merlino.
Da qualche mese si fa però sempre più pressante l’attenzione sulle agroenergie, quasi che fossero l’ultima spiaggia per l’agricoltura italiana, un’ancora di salvezza a cui tanti, tantissimi sognano di aggrapparsi.
Le bioenergie sono invece per pochi, pochissimi.
Intendiamoci, credo occorra una svolta ecologista, nel senso puro del termine, ritengo però che difficilmente in Italia tale percorso diventerà anche un’occasione di business per il settore agricolo.
Le filiere agroenergetiche, su base nazionale o regionale, non hanno avuto quello sviluppo tanto atteso, certo si spera in una svolta, dopo il documento siglato al Mipaaf, ma è diffuso un certo scetticismo, soprattutto in virtù dello scarso interesse dimostrato da attori diversi da quelli agricoli che vedono margini di guadagno molto limitati a fronte di grandi investimenti.
La strada maestra indicata da molti, mondo accademico e associazionistico paiono convergere sulla questione, è lo sviluppo della filiera corta.
Ipotesi interessante che si scontra però con una triste realtà, fatta di dati macroeconomici. Solo il 27% delle imprese agricole del nostro Paese ha un fatturato superiore a diecimila euro annui, un livello di redditività che non garantisce nemmeno la sopravvivenza, figuriamoci grandi progetti di crescita che richiedono risorse per decine, o centinaia, di migliaia di euro.
La dimensione media delle imprese italiane è ancora ben al di sotto dei dieci ettari di superficie agricola utilizzabile. Sono poche le grandi imprese con estensioni apprezzabili (dai 100 ettari in su) che possano giustificare imponenti programmi di investimento per centrali agroenergetiche la cui gestione e i cui ricavi siano economicamente convenienti anche senza sovvenzioni pubbliche.
Tra l’altro questo genere di impianti si scontra, spesso, con lo scetticismo diffuso delle autorità e delle amministrazioni locali che raramente accolgono con favore ed entusiasmo tale genere di piani. Chiamiamola pure immaturità, un eccesso di precauzioni, però, nei fatti, Comuni e Province ostacolano la diffusione di centrali agroenergetiche.
Risultato, anche sul fronte della filiera corta partiamo svantaggiati, rincorriamo e c’è il serio rischio, come spesso accade, di arrivare ultimi.
Anche volendo rinunciare alla gara, le agroenergie non sono la salvezza per l’agricoltura italiana, una realtà composta da microimprese, un comparto multiforme, un settore che non può permettersi di scegliere un’unica via.
Ragioniamo pure di bioenergie, del loro utilizzo, della loro diffusione, senza però ammantarle di un alone mistico e salvifico.

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