Editoriali

DI’ DI FESTA

08 aprile 2006 | Ernesto Vania

Siamo avvolti da un riposante silenzio.
Le romboanti voci dei nostri politici non ci assillano, né facendo zapping rischiamo di imbatterci nei volti e nelle urla dei diversi leader che hanno imperversato in ogni dove negli ultimi mesi.
Silenzio, ora si vota.
L’unico rumore ammesso nei prossimi due giorni, domenica e lunedì, sarà il fruscio delle schede elettorali.
Sono dì di festa, in attesa di nuove tribune politiche per le imminenti elezioni amministrative.
Tortura e tormento dei sistemi democratici, le campagne elettorali hanno, spesso, la tendenza di allontanare l’elettore dai seggi. Nelle democrazie “evolute” è raro che l’affluenza alle urne superi il 70%.
Il sistema politico, nelle nazioni democratiche, provoca disaffezione, uno stato emotivo che ben poco ha a che fare con la ragionevolezza. E’ infatti noto che se anche noi non ci occupassimo di politica, la politica comunque si occuperebbe di noi.
Non so chi vincerà le prossime elezioni politiche.
So invece che un dato verrà trascurato, se non ignorato, presi nel commentare l’esito del voto: l’affluenza alle urne. Utile a riempire spazi dei telegiornali e dei giornali durante le operazioni di voto, verrà presto dimenticato non appena diramati i primi exit poll.
Vorrei invece si potesse riflettere seriamente, e per più di qualche minuto, sul grado di maturità della democrazia del nostro Paese e sul coinvolgimento degli italiani nelle questioni e nel dibattito politico.
Generalmente scettici e disincantati, anche sospettosi, ci rechiamo comunque in massa a votare (81,2% nel 2001).
Un atteggiamento bizzarro per la Nazione che ha coniato l’espressione “tutto cambia perché nulla cambi”.
Italiani, strana gente, ma con tanto da insegnare anche alle democrazie più “evolute”.