Editoriali
Slow food o tecno food? Il braccio robotico sull'agricoltura
12 febbraio 2016 | Francesco Presti
Sottoposta ad attenzione mediatica, è da pochi giorni giunta la notizia che in Giappone è in atto la costruzione della prima azienda agricola completamente robotizzata. L’hanno chiamata Spreed e produrrà lattuga che, dopo la semina, unica operazione manuale, non vedrà più l’intervento umano. Infatti, tutte le operazioni saranno compiute da robot che si prenderanno cura di tutto il processo produttivo fino alla raccolta. Roba dell’altro mondo? Fantascienza? Forse… ma gli esperti del settore iniziano ad avere la consapevolezza che l’agricoltura 2.0 è ormai una realtà.
Eravamo già abituati alla meccanizzazione in agricoltura, ma ora, con l’avvento dei robot, droni, app. e le infinite possibilità della rete stiamo vivendo una vera e propria rivoluzione.
Ma perché affidarsi unicamente a una macchina tutta chip e circuiti? L’obiettivo è quello di ridurre al minimo l’intervento umano in campo, ottenendo lavori svolti con precisione ed alta efficienza, riducendo la possibilità di contaminazioni e aumentando la standardizzazione dei prodotti. Il tutto, ottimizzando l’uso di fitofarmaci e acqua.
Quello su cui sono in grado di lavorare gli Agbot é un campo tutt’altro che ristretto. Oggi un drone può analizzare in tempo reale i possibili stress idrici, la presenza di patologie o il grado di maturazione delle coltivazioni. E poi ancora, esistono robot che analizzano, pesano e distribuiscono fieno a seconda delle esigenze personalizzate di ciascun animale. Si pensa persino alla possibilità di istallare chip alle vacche, per monitorare il loro stato di salute, il momento del parto ecc…il tutto comodamente inviato sullo smartphone tramite app!
Tutto ciò, sarebbe un notevole aiuto per chi lavora in agricoltura, perché è ormai evidente il valore del costante monitoraggio e il grande ausilio che fornirebbe la robotizzazione nel disbrigo delle mansioni più pesanti e gravose, ma l’agricoltura italiana è davvero pronta ad affidarsi completamente all’automatizzazione? Tutti conoscono il lavoro e la passione che si nasconde dietro una bottiglia di buon vino o un prodotto locale costato fatica e sudore: una macchina riuscirebbe ad ottenere lo stesso risultato? Ma sopratutto l’imprenditore agricolo italiano è pronto a sostenere le elevate spese necessarie all’acquisizione degli Agbot? Per non parlare della percezione che i consumatori possono avere di un prodotto altamente tecnologico. La risposta è palese: nell’Italia rurale c’è una manifesta arretratezza e una sorta di allergia all’impiego di risorse tecnologiche basilari come la posta elettronica o il possedere un sito internet decente; mediamente il piccolo contadino di provincia non ha uno smartphone e difficilmente ne comprende le potenzialità, figuriamoci se possa essere recepito un passo avanti cosi marcato!
Il nostro territorio, oggi è costituito da poche realtà che riuscirebbero ad assorbire i costi di tali tecnologie e che stanno effettuando quel salto, generazionale e concettuale, tale da poter accettare di allevare o coltivare affidandosi ciecamente ai robot.
La tecnologia sta correndo, molti qui stanno ancora passeggiando: è giusto correre e seguire il passo o restare attaccati ai vecchi metodi?
Solo il tempo forse saprà darci una risposta: slow - food o tecno - food?
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