Editoriali

A rischio i vitigni autoctoni italiani

04 luglio 2014 | Matilde Poggi

Ho accolto con grande favore l’iniziativa della Commissione Agricoltura della Camera volta al riordino in un unico testo delle norme riguardanti la coltivazione della vite e la produzione del vino. Mi preme qui sottolineare come tale riordino fosse già stato richiesto nel nostro documento, il “Dossier Burocrazia”, datato 2011 e presentato al Ministro Catania, all’epoca titolare del Dicastero all’Agricoltura.

La Commissione ha dato grandi segnali di apertura alle associazioni di categoria e volentieri sono intervenuta all’audizione per dare l’apporto di Fivi a tale documento. Ci sono alcuni punti sui quali ho sollevato le nostre perplessità e richiesto che vengano formulati in maniera più chiara.

In particolare, durante l’audizione, ho voluto richiamare l’attenzione su alcune questioni.

Definizione di vitigno autoctono (Art. 8 c.1, Titolo II): nel testo proposto si legge ”è considerato vitigno autoctono italiano il vitigno la cui presenza è rilevata in aree geografiche delimitate nel territorio nazionale”. Tali vitigni verranno iscritti in un registro tenuto presso il Ministero.

Questa definizione non ci pare affatto corretta; se questo punto non verrà modificato rischiamo di togliere valore all’enorme patrimonio di vitigni autoctoni italiani che fanno del nostro Paese una realtà unica al mondo. Tra l’altro non ci sembra corretto sancire per legge cos’è autoctono e cosa non lo è. La critica enologica ama parlare di autoctoni e questo è un elemento di distinzione per tanti produttori. Se questa norma non verrà modificata, tutti i vitigni internazionali verranno improvvisamente passati per autoctoni creando una grande confusione nel consumatore. Tra l’altro non è affatto chiaro perché per le provincie di Trento e Bolzano si preveda che tali vitigni siano presenti da almeno 50 anni, mentre per le altre regioni potrebbero essere stati impiantati anche ieri.

Etichettatura (Art. 53, Titolo III): il testo va ad elencare in modo puntuale e preciso l’opportunità o meno di indicare, nelle ragioni sociali e negli indirizzi aziendali, i termini geografici riservati ai vini DOCG, DOP e IGT. È autorizzato l’uso di tali nomi geografici in etichetta ma con caratteri inferiori a quelli utilizzati per indicare la DOP relativa.

Questo ci appare corretto perché, diversamente, si potrebbe creare inutile confusione per il consumatore che potrebbe essere tratto in inganno dall’uso improprio dei nomi geografici. Abbiamo però voluto richiamare l’attenzione sul fatto che, una cosa è l’etichettatura vera e propria, altra cosa è la comunicazione aziendale cartacea o su siti Internet. Qui riteniamo non abbiano ragione di esistere questi limiti. Non mi sembra davvero che una cantina possa trarre in inganno il consumatore scrivendo sul proprio sito che la sua sede si trova in Veneto, anche se non rivendica l’omonima DOP. Se questo testo non verrà modificato saremo obbligati, per non incorrere in sanzioni, a rivedere tutta la nostra comunicazione aziendale, cartacea e web, togliendo ogni riferimento a nomi geografici contenuti nelle DOP.

Siamo sicuri che l’intento del Testo Unico non sia quello di creare ulteriori difficoltà alle imprese, ma anzi di facilitarne il lavoro, perciò auspichiamo che a breve i due punti precisati, ed altri che abbiamo segnalato alla Commissione, vengano riscritti tenendo conto delle nostre osservazioni.

 

Matilde Poggi è Presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (FIVI)

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