Cultura

Pinuccio Sciola, lo scultore delle pietre sonore

Le sue sono materie vive che suonano. Rughe perfette e nocche che cantano il loro canto corporale e cosmico

11 aprile 2009 | Nicola Dal Falco

Tra le case basse e intricate di San Sperate, vicino a Cagliari, si apre uno spiazzo altrettanto intricato e monumentale. Sono le pietre, di diversa altezza e larghezza, messe in piedi nell’apparente confusione di un orchestra. Viste al tramonto sembrano nutrirsi d’ombra, e, al contrario, in un mattino di sole, bersi la luce da ogni poro. Andrebbero interrogate da sole, prima di aver conosciuto Pinuccio Sciola il loro amorevole accordatore, scultore di pietre sonore, avendo già esse per virtù di pietre erranti la capacità di dire senza intermediari. Solo entrando nel cortile della casa che è anche studio si capisce perché si trovino raccolti accanto, come una figliolanza ancora imberbe, dei semplici sassi, tondi e ovali, levigatissimi. Con questi, ma anche a mani nude, Sciola le scioglie in musica. Le fa vibrare attraverso dei tagli verticali o un reticolo di quadrati, più o meno grandi.

Rughe perfette e nocche che a seconda del tipo di pietra rispondono alla carezza, cantano il loro canto corporale e cosmico. Certo, la prima impressione è che un dio ragionevole, troppo ragionevole, vi abbia imprigionato il vento che spazza l’isola da tutti i quadranti. Poi, però, lo stesso Sciola sa precisare meglio quale sia il demone che le abita.

Echi d’acqua e di fuoco
«In questo calcare - spiega, passando una mano dolce e ferma d’ostetrica - è un suono d’acqua fossilizzata, un’ eco di mari antidiluviani, di pozze asciugate e interrate, qui, invece - e tocca, arpeggiando rapido un basalto - c’è misurato il calore e il guizzo del fuoco, la pietra che bolle e si dimena, soffiando aria compressa nel primissimo forno». Ed è ovvio che aggiunga di non aver inventato nulla - sottolineando quel nulla che riempie sempre il cercatore incantato - ma semmai di aver liberato il suono che scaturiva, battendo pietre diverse. C’è da immaginarselo mentre, all’inizio dell’inizio, se ne va picchiettando col martello come sul ginocchio messo a nudo le pietre sparse per i campi, provandone i riflessi e percependone, invece, il vagito.

Nella Sardegna megalitica, assenti la vipera e il terremoto, quanto esiste di incognito e panico perdura nel paesaggio, nel suo viso e scheletro di pietra. Ascoltando certe armonie, liberate dalle venature di un masso, sorge anche il dubbio che nell’immobilità e nel silenzio della pietra si celi un viaggio remoto che percorrendo spazi incommensurabili abbia captato suoni d’altri mondi. Forse, suggerisce Sciola, in questa materia, in saecula saeculorum, si annidano ancora polvere e frammenti di stelle, precipitati, depositando la scia di un altrove.

È vero, prima della parola c’è stato il suono e prima ancora un gesto. Nelle pietre sonore di Pinuccio Sciola da San Sperate, provincia di Cagliari, coabitano un suono originario e il gesto che libera dal mutismo delle cose verso il linguaggio puro delle intenzioni. Si potrebbe dire amore, condividendo la scelta dei frati di Assisi che ne hanno esposto le sculture o quella dei musicisti che si sono cimentati con il canto primevo dei basalti e dei calcari, fatto sta che lo scultore musicante non si limita a trovare pietre, ma a sentirle nelle sue lunghe passeggiate. Quasi fossero loro stesse a lasciarsi scegliere. Un’ultima cosa, stranamente o forse no, il marmo di Carrara così zuccherino e luminoso non suona. Sciola è in grado di provarlo, relegandolo tra le statue-statue e i pavimenti specchianti delle cancellerie.

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