Cultura

Il valore della solidarietà ci viene insegnato nella Bibbia grazie all'olivo

Un attento studio della Bibbia, grazie a Pandolea, ci rivela come la triade olivo, vite e grano rappresentano beni fondamentali. Possedere un olivo significa possedere un bene essenziale per la vita e pertanto durante la raccolta delle olive, la mietitura e la vendemmia bisogna avere solidarietà verso i poveri, ci ricorda la lettura del Deuteronomio

29 giugno 2018 | Domenico Nasini

L’uso dell’olivo e dell’olio nella tradizione ebraica, soprattutto biblica, è carico non solo di storia, ma anche di significati simbolici che emergono in modo ancor più chiaro se posti a confronto con il mondo culturale e agricolo in cui la Bibbia si è formata, vale a dire il Vicino Oriente antico, l’ambiente semitico e la cultura greco-romana. Da Ebla (2300-1600 a.C.) a Babilonia, da Israele alla Siria olivo e olio erano ritenuti prodotti preziosi, fonte di ricchezza e oggetto di commercio. L’olivo è coltivato nell’area mediterranea da circa 6000 anni. All’inizio le olive venivano raccolte da olivi selvatici (olivastri), poi l’olivo fu domestico nel IV millennio. I resti di olivo, frantoi e giare per l’olio attestano che la Siria e la Palestina furono la principale area di coltivazione e produzione dell’Antico Oriente. Invece in Egitto sembra che la cultura dell’olio non abbia mai avuto molta importanza. A livello linguistico il termine per indicare l’olivo, l’olio e i suoi derivati è stato riscontrato nelle iscrizioni fenicie, puniche, ugaritiche, ebraiche, aramaiche, siriache e arabe e anche a Ebla che esportava l’olio in altri regni. Giovanni Pettinato, uno dei massimi studiosi di quella civiltà, ne fa risalire la conoscenza e la coltivazione di oltre mille anni rispetto ai testi amministrativi che elencano il numero delle piante su un appezzamento di terreno. Si deve supporre che già a quell’epoca vi erano tentativi di adulterare il prodotto o di venderlo avariato, perché in alcuni testi da lui tradotti vengono minacciate multe ai responsabili: “Se tu, Jahud, o se il prefetto di casa ha ricevuto dal paese per la casa di Ebla olio cattivo (avariato) e acqua cattiva… dovrai pagare un’imposta maggiore” (G. Pettinato, Ebla. Nuovi orizzonti di storia, Milano 1986, pp. 186 e 394).

I molteplici usi dell’ulivo sono attestati dalla tradizione antica: il legno era usato per costruzioni, ornamenti, utensili casalinghi e agricoli. Nella Roma antica era utile per costruire le ruote del trappeto (o trapéto), dal termine latino trapÄ“tus (o trapÄ“tum, neutro in Virgilio), che deriva dal greco termine greco τραπητÏŒν, dal verbo τραπέω (pigiare l’uva), oppure per farne cunei (Catone, Agricoltura, 20.2). È un legno molto duro, utilizzato anche per i cardini delle porte e per fare pali, però tende a incurvarsi e a cedere al peso (cfr. Plinio, Storia Naturale, 16-17).

Nell’antichità l’olivo fu messo in relazione con la dea Atena che, in gara con il dio del mare Poseidone per il dominio dell’Attica, lo portò sull’Acropoli. Dal legno d’olivo venivano intagliate figure divine: il boschetto sacro in Olimpia era di alberi di olivo, e rami di olivo venivano offerti ai vincitori dei giochi olimpici. Anche le corone di olivo, insieme a quelle intrecciate con ramoscelli di alloro, adornavano in diverse occasioni vincitori e trionfatori. Nell’antica Roma il ramo di olivo era anzitutto il simbolo della dea romana della pace, detta Pax, il cui corrispettivo greco era Eirene o Irene (in greco Eá¼°ρήνη). La dea era raffigurata da una giovane donna recante in una mano un ramoscello d'olivo con la cornucopia e nell'altra Pluto, simboli di quella ricchezza e dell'abbondanza che solo la pace può donare, così come è effigiata sul diritto di un sesterzio dell’imperatore romano Vitellio (15-69 d.C.). I soldati romani portavano corone di rami d’olivo nei cortei trionfali, poiché la dea Atena (Minerva per i Romani) era anche dea della guerra. Per implorare pace e protezione, gli ambasciatori spesso portavano in mano rami d’olivo con bende di lana. Sul rovescio di un denario di Augusto (63 a. C. - 14 d. C.) è raffigurata Nike, dea della vittoria, in piedi sulla prua di una nave, con in mano un ramo d’olivo.

Nel mondo greco-romano l’olio era usato come rimedio terapeutico e consacrato per le unzioni e i sacrifici, come pure in cucina, e anche per illuminare, e rendere morbida e lucente la pelle; era il prodotto base dei profumi e gli atleti se ne cospargevano la pelle per sfuggire alla presa dell’avversario oppure per un massaggio tonificante. Nella tragedia Edipo a Colono di Sofocle (496-406 a.C.) l’olivo è definito “nutritore dei nostri figli”:

Albero invitto che da sé rinasce, terrore delle lance nemiche; in questa terra cresce in gran copia la glauca foglia dell’ulivo nutritore dei nostri figli. Né mai un condottiero nemico, giovane o carico d’anni, riuscirà a distruggerlo. E qual non odo in terra d’Asia giammai, né in quanta la Melopea grand’isola rinserra, aver posto radici, sorge non coltivata qui spontanea pianta, che rispetto e timor mette ai nemici: il glauco ulivo, sacro ai parti maschili, nessun re, né giovane né vecchio distruggerà con mano, dato che l’osservano dall’alto l’occhio sovrano del Morio Giove e la casta Minerva” (vv. 694-704)

Nell’Odissea (libro VII, 107) Omero riporta un verso riferito all’arte della tessitura, in uso presso i Feaci: “dai fili sospesi al telaio stilla fluido olio”, che veniva spruzzato sui fili per renderli morbidi e lucenti e anche per evitare filacci, rendendo coeso il filo. Quando Ulisse incontra Nausicaa sull’isola dei Feaci, le ragazze da lei guidate “fatto il bagno e untesi copiosamente di olio, esse presero il pasto sulla sponda del fiume: aspettavano che le vesti asciugassero al raggio del sole” (Odissea, VI, 96-97). Ulisse viene svegliato dalle voci della fanciulle che giocano a palla e Nausicaa come primo dono gli offre l’opportunità di fare un bagno ristoratore:

Il dono sia piccolo e caro. Ancelle, date all’ospite cibo e bevanda, fategli il bagno nel fiume, dove c’è un riparo dal vento … Gli posero accanto le vesti, un manto e una tunica, gli diedero olio fluido in un’aurea ampolla, l’invitarono a lavarsi nell’onda fluente del fiume. Allora si rivolse alle ancelle il chiaro Odisseo: ‘Ancelle, aspettate in disparte, così, che mi lavi io stesso dalle spalle la salsedine e mi unga con olio: l’olio da tempo non tocca il mio corpo’ …” (Odissea VI, 208-220).

E il testo prosegue:

Quando si lavò tutto e si unse copiosamente, mise indosso le vesti che gli diede la vergine casta; e Atena, la figlia di Zeus, lo fece d’aspetto più grande e robusto, e dal capo gli fece scendere riccioli simili a fior di giacinto … Poi sedette in disparte, sulla riva del mare, splendente di bellezza e di grazia: l’ammirava Nausicaa” (VI, 227-237).

Un effetto simile è narrato poco prima del riconoscimento da parte della moglie:

La dispensiera Eurinone intanto lavò il magnanimo Odisseo, nella sua casa, e l’unse con l’olio, gli gettò un bel manto e una tunica indosso, mentre Atena gli sparse dal capo molta bellezza … Egli uscì dalla vasca simile agli immortali nel corpo; di nuovo sedette sul trono da cui s’era alzato di fronte a sua moglie” (XXIII, 153-164).

Anche il vecchio Laerte, padre di Ulisse, lavato e unto con olio, rinvigorisce nelle membra e appare ringiovanito, più grande e robusto:

“L’ancella sicula intanto lavò e unse con olio il prode Laerte nella sua casa, gli gettò addosso un bel manto; e Atena, standogli accanto, rinvigorì al pastore di genti le membra, e lo fece più grande e robusto a vedersi” (XXIV, 365-374).

L'olivo

Nella Bibbia ebraica l’olivo è citato circa 40 volte. Il termine ebraico zait indica, a seconda del contesto, l’albero dell’olivo, l’oliveto oppure le olive. Talvolta è usata anche l’espressione “albero dell’olio” per indicare l’albero o il legno dell’olivo: “Nel sacrario fece due cherubini di legno d'ulivo; la loro altezza era di dieci cubiti… Fece costruire la porta del sacrario con battenti di legno d'ulivo e profilo degli stipiti pentagonale” (1 Re 6,23.31).

Simbologia

La citazione di cui sopra ci ricorda che il legno d’olivo fu usato per costruire alcune parti del tempio di Salomone (1 Re 6). I due cherubini d’ulivo erano posti nella cella del tempio, la parte più riposta del santuario (vv. 23-28); anche la porta della cella, intarsiata con i cherubini, palme e boccioli di fiori, ricoperti di lamine d’oro, era costruita con battenti di legno d’ulivo; anche gli stipiti della navata erano costruiti con lo stesso materiale (vv. 31-33). In una delle più importanti feste ebraiche, chiamata “festa delle Capanne” in ricordo della vita del popolo di Israele nel deserto durante il suo viaggio verso la terra promessa dopo l’esodo dall’Egitto, in cui gli Ebrei vivevano in capanne (in ebraico sukkot), furono usati i rami d’ulivo e di altri alberi frondosi per costruirle: “Uscite verso la montagna e portate rami di ulivo, rami di olivastro, rami di mirto, rami di palme e rami di alberi ombrosi, per fare capanne, come sta scritto” (Ne 8,15-16). La prima volta in cui l’albero dell’olivo è nominato nella Bibbia è in Genesi 8,11. Il ramoscello d’olivo è recato in bocca dalla colomba che ritorna all’arca dopo essere stata inviata da Noè per accertare se le acque si fossero ritirate dopo il diluvio: “E la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra”. In tal modo il ramoscello di olivo è diventato simbolo della pace cosmica e dell’alleanza eterna di Dio con l’umanità (Gen 9,1-17).

Vi sono anche alcune leggende che hanno identificato nell’ulivo l’“albero della vita” di cui si parla in Gn 2-3, chiamato anche “albero della misericordia”, da cui stillava l’“olio della vita” che poteva alleviare il dolore di Adamo vicino alla morte, però non poteva essere dato allora e pertanto Adamo avrebbe dovuto morire. L’olio sarebbe stato concesso solo ai giusti nell’ora della resurrezione, insieme a tutte le beatitudini e le gioie del paradiso. Secondo alcune tradizioni la croce di Cristo fu costruita con legno di olivo e di cedro e simboleggia l’albero apportatore di vita, l’albero cosmico innanzato con Cristo che riconcilia cielo e terra. Nel libro dei Giudici è riportato un apologo o favola biblica antiregale che esalta il compito prezioso e le qualità sacre dell’olivo, considerato il re degli alberi, i quali, postisi in cammino per ungere un re che regnasse su di loro, interpellano per primo l’olivo, che però rifiuta l’onore e il compito per non privarsi del prezioso olio, gloria di uomini e dei: “Dissero all’olivo: regna su di noi. Rispose loro l’olivo: rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dei e uomini, e andrò ad agitarmi sugli alberi?” (Gdc 8,8-9). Anche il profeta Zaccaria attribuisce simbolismo regale all’olivo. Egli raffigura Zorobabele, discendente di Davide e Giosia, il sommo sacerdote, nell’immagine di due olivi accanto a un candelabro con sette braccia e sette lucerne, cioè gli occhi del Signore che scrutano tutta la terra: “Quindi gli domandai: ‘Che significano quei due olivi a destra e a sinistra del candelabro? E quelle due ciocche d'olivo che stillano oro dentro i due canaletti d'oro?’. Mi rispose: ‘Non comprendi dunque il significato di queste cose?’. E io: ‘No, signor mio’. ‘Questi, soggiunse, sono i due consacrati che assistono il dominatore di tutta la terra’”. Gli olivi rappresenterebbero i due poteri, spirituale e regale, collegati alle rispettive unzioni; il termine “consacrati” in ebraico significa letteralmente “figli dell’olio” (benê-ha-yizhar).

Un bene fondamentale

Nella Bibbia è presente spesso la triade olivo, vite e grano che rappresentano beni fondamentali. Quando Neemia inizia la sua riforma sociale esorta a restituire campi, vigne, oliveti, case e l’interesse (lett. “il cento”) del denaro del grano, del vino e dell’olio (Ne 5,11) che avevano ricevuto in dono entrando nella terra che prima apparteneva ai Cananei. La presenza di questi doni era segno di benedizione e abbondanza e, per converso, la loro assenza una maledizione.

L’albero dell’olivo rientra nel novero delle “sette piante” tipiche della terra d’Israele, che sono citate in vari passi della Bibbia, come per esempio nel Deuteronomio:

Terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; terra di ulivi, di olio e di miele” (Dt 8,8).

Un binomio frequente è quello di vite-olivo (oppure vigneto-oliveto, cf. Es 23,11; Dt 6,11 e Gs 24,13; Gdc 15,5; 2 Re 5,26; Sal 128,3; Gb 15,33); frequente è anche la triade grano, mosto, olio, che è chiamato yizhar quando è fresco (cf. per esempio Nm 18,12; Dt 7,13; 11,14; Ger 31,12; Ne 5,11; Os 2,10; Gl 1,10; Ab 3,17; Ag 1,11).

Per indicare una situazione grave, il Deuteronomio e i profeti riportano le seguenti minacce:

Porterai molta semente al campo e raccoglierai poco, perché la locusta la divorerà. Pianterai vigne e le coltiverai, ma non berrai vino né coglierai uva, perché il verme le roderà. Avrai oliveti in tutta la tua terra, ma non ti ungerai di olio, perché le tue olive cadranno immature” (Dt 28,38-40).

Seminerai, ma non mieterai; frangerai le olive, ma non ti ungerai d'olio; produrrai mosto, ma non berrai il vino” (Mic 6,15).

Ho chiamato la siccità sulla terra e sui monti, sul grano e sul vino nuovo, sull'olio e su quanto la terra produce, sugli uomini e sugli animali, su ogni lavoro delle mani” (Ag 1,11).

Anche Giobbe lamenta che i poveri spremono le olive nei frantoi e fanno il vino senza poterne fruire:

Sulle terrazze delle vigne frangono le olive, pigiano l'uva e soffrono la sete” (Gb 24,11).

Il profeta Abacuc descrive il giorno di angoscia come mancanza di questi beni essenziali:

Il fico infatti non germoglierà, nessun prodotto daranno le viti, cesserà il raccolto dell'olivo, i campi non daranno più cibo, le greggi spariranno dagli ovili e le stalle rimarranno senza buoi” (Ab 3,17).

Possedere un olivo significa possedere un bene essenziale per la vita e pertanto durante la raccolta delle olive, la mietitura e la vendemmia bisogna avere solidarietà verso i poveri:

Ricòrdati che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore, tuo Dio; perciò ti comando di fare questo. Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova, perché il Signore, tuo Dio, ti benedica in ogni lavoro delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornare a ripassare i rami. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto; perciò ti comando di fare questo” (Dt 24,18-22).

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Irene Lobeck

30 giugno 2018 ore 10:15

bellissimo articolo,
grazie,
Irene