Cultura 20/04/2013

Guardando al futuro dell'agricoltura italiana

Guardando al futuro dell'agricoltura italiana

Anche se la crisi economica globale è destinata a finire, nulla sarà più come prima. Impossibile spostare le lancette dell'orologio qualche anno indietro, al 2007. Sono troppi i fattori che sono mutati: sboccheremo in una realtà diversa


Quando usciremo dall'attuale grande crisi generale, non si tratterà di un semplicistico ritorno alla situazione antecedente al 2007, ma dello sbocco in una realtà diversa.

Non potendo giudicare affidabile l'attuale mercato globale, nessun Paese vorrà rinunciare a stimolare la propria produttività e competitività agricola attraverso le più spinte innovazioni di cui sarà capace. Per garantire la propria autosufficienza, cercherà di aiutare i propri agricoltori a essere in grado di conservare l'indispensabile reddito per continuare a coltivare i campi. Purtroppo, qualcuno potrà anche pensare di rimettere sul tappeto il confronto tra i principi del libero mercato e le politiche protezionistiche o di tipo autarchico, antieconomiche e antistoriche.

Per tutelare il reddito degli agricoltori stanno emergendo orientamenti favorevoli a nuovi strumenti, oltre alle assicurazioni sulle calamità naturali. In alcuni Paesi, tra i quali gli Usa, si pensa di sviluppare una “gestione” complessiva dei rischi del reddito, che agisca a tutela della produzione così come dei prezzi, anche nella volatilità dei mercati. La stessa Pac europea sembra orientarsi per creare un fondo per la stabilizzazione del reddito riducendo progressivamente gli attuali sostegni diretti (adottati proprio per compensare i redditi venuti a mancare a seguito della riduzione dei “prezzi garantiti”). Questa prospettiva, potrebbe aprire alternative alle attuali sovvenzioni slegate dalla produttività. Ma non dovrebbe essere intesa come indennità sistematica, che molti ormai considerano diritto acquisito, ma riconosciuta come vantaggiosa e più coerente con i dichiarati obiettivi di crescita imprenditoriale libera e competitiva.

Le innovazioni di cui si parla continuamente e di cui tutti hanno indiscusso bisogno, da noi partono con un sistema produttivo già alquanto avanzato. Non siamo certo rimasti nelle condizioni in cui eravamo alla metà del secolo scorso e non dobbiamo attingere solo alle innovazioni realizzate altrove. La continua evoluzione delle conoscenze, delle tecnologie e delle idee, oltre a essere rapida, è anche non sempre prevedibile. Lo Stato, con i suoi lunghi tempi, non è più in grado di garantire la tempestiva crescita solo attraverso modelli di sviluppo che talvolta arrivano a essere applicati quando sono già superati. Bisogna far leva anche sulla creatività delle libere iniziative imprenditoriali e non limitarsi a distribuire sostegni finanziari condizionati all'attuazione di indirizzi dettati dall'alto e governati da tante e lente Amministrazioni pubbliche.

La stessa Unione europea (quindi anche il nostro Paese che ne è fondatore e convinto fautore) trascura da molti anni la produttività agricola, senza preoccuparsi delle già previste carenze alimentari a livello globale.

In questo quadro si è inserita anche l'immigrazione di una massa di gente fuggita per fame dai loro Paesi, o anche perchè richiamata dagli allettanti compensi pagati per lavori che la nostra manodopera disdegna (nonostante il crescente numero di disoccupati). Ricordiamo che, se non fosse per gli immigrati, oggi non riusciremmo neppure a raccogliere molti dei nostri prodotti agricoli.

Proiettati nel contesto sempre più dinamico del terzo millennio siamo chiamati a risolvere problematiche che interessano l'intero nostro pianeta e che hanno raggiunto dimensioni non più affrontabili da singoli o da pochi Paesi (quali appunto sicurezza alimentare ed energetica, inquinamenti atmosferici e cambiamenti climatici, gestione delle sempre più limitate risorse rinnovabili della biosfera, cioè l'agricoltura).

Ormai nessun Paese può adottare una propria politica autonoma, senza tener conto delle ineludibili realtà globali. Nessun Paese è certo di poter mantenere i livelli di benessere che ha finora raggiunti. Tutti hanno quindi bisogno di una reciproca collaborazione e tutela che può derivare solo da regole e da una governace globalmente riconosciuta e rispettata. Dobbiamo quindi essere consapevoli della necessità di una civile convivenza e di un comune e condiviso impegno globale, da realizzare nel rispetto reciproco di tutto ciò che oggi ci diversifica per cultura, tradizioni, politica e quant'altro.

L'avanzare del processo di globalizzazione è già universalmente percepito e può considerarsi ormai difficilmente reversibile. Dovranno essere superati ancora molti ostacoli, richiedendo tempo e costanza, anche da parte delle generazioni future. Ma sono proprio queste che potranno coglierne tutte le opportunità, superando le barriere linguistiche e le distanze fisiche, con rapida dimestichezza nell'uso delle ancora inimmaginabili nuove tecnologie.

di Franco Scaramuzzi

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Commenti 9

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
23 aprile 2013 ore 18:41

Agricoltura = prodotto tipico, ma che è fatto in minima parte dagli agricoltori e tanto meno vedono più soldi per le derrate che producono e che sono usate per i prodotti tipici. I prodotti tipici non hanno quasi più niente da fare con il fare agricoltura. La terra è ancora un bene rifugio, indipendentemente da cosa rende. La politica ha solo assecondato i diktat dei sindacati agricoli che sono solo dei parassiti perchè non hanno una visione strategica. Non assolviamo però gli agricoltori che per modificare questo stato di cose nulla fanno, sono le riforme di struttura che risolvono i problemi non certo le sovvenzioni.

Giuseppe  Cattabriga
Giuseppe Cattabriga
22 aprile 2013 ore 20:22

Le considerazioni da lei espresse sono corrette e mi trovano d'accordo. Però se dobbiamo guardare al futuro dell’agricoltura occorre ampliare gli orizzonti e rimuovere prioritariamente quegli ostacoli che impediscono di raggiungere l'obiettivo di assicurare alle future generazioni sicurezza alimentare ed idrica. Tutelare il potenziale biologico dei terreni anticipando il progressivo processo di desertificazione, salvaguardare la qualità delle acque prevenendo la crescente eutrofizzazione, mitigare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici sono le priorità, poi vengono tutte le altre osservazioni. Questi obiettivi sono raggiungibili ed esperienze pratiche, ormai consolidate, lo confermano. Sono esperienze innovative per l’Italia e come tali sono passibili di comprensibili sospetti e diffidenze. Purtroppo temo che, come consuetudine in Italia, si chiuderà la porta quando i buoi saranno già scappati.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
22 aprile 2013 ore 14:59

Anch'io sono un agronomo che per cinquant'anni ha pestato terra in Italia ed in Francia, quindi se parliamo di cose pratiche ci intendiamo meglio.

1° La piscicoltura è una strada da perseguire perchè è un modo di produrre proteine animali senza avere bisogno di più terra. Innanzitutto guardiamo le cifre, attualmente le proteine animali acquatiche sono il 16% di quelle consumate nel mondo (in certi paesi sono ben il 25%. Per ora è un'attività asiatica la Cina ne produce i 2/3. Solo che i pesci carnivori d'allevamento intensivo come il salmone sono attualmente nell'occhio del ciclone in quanto sono accusati di avere un impatto negativo sull'ambiente e si producono carni degradate, Greenpeace ( di cui sono un acerrimo nemico) è contrarissimo perchè dice che occorre depredare il mare per produrre una uguale quantità di altro pesce e per giunta in batteria. In altri termini la pescicoltura sarebbe un modo di impoverire le risorse naturali. Anche ai pesci erbivori si somministra farina di pesce (ora sono ammesse anche le farine animali interdette per gli animali di allevamento). Il dato statistico che la bibliografia riporta è che per produrre 1 kg di pesce d'allevamento occorrono 5 kg di pesce selvatico. Detta così la pescicoltura non avrebbe futuro ma occorre andare più a fondo e si deve dire che molta della farina di pesce deriva da resti e scarti della lavorazione del pesce che altrimenti sarebbero gettati. Tuttavia un salmone ha bisogno di 1,2 kg di alimenti per produrne altrettanti, Il rendimento espresso in calorie è dell'80% quando nei polli è del 50%. Pertanto vi è ancora moltissimo da fare per migliorare i rendimenti dei pesci di allevamento, anche se mangimi provenienti dai vegetali ma integrati da amminoacidi particolari sta sviluppamdosi, In altri termini per la piscicoltura manca ancora il lavoro millenario che l'uomo ha fatto con la selezione degli animali d'allevamento per migliorare la produttività ed il rendimento del cibo (si pensi solo al latte, prima prodotto solo a sufficienza per allevare la prole ed ora in quantità tali da nutrire più soggetti?. Qui entra in ballo la genetica ed anche le biotecnologie ed i tanto famigerati OGM; la genetica può rendere possibile in pochi decenni ciò che l'uomo antico ha fatto in millenni. Però bisogna fare e presto e se diventerà un'attività che affianca l'agricoltura tradizionale tanto meglio.

2° Laghetti collinari è dagli anni 1960 che si parla di economizzare le acque piovane, noi padani poco possiamo fare ma su tutto l'appennino molto di poteva fare, ma ancora non è stato fatto, perchè se ne parla solo adesso? Semplice perchè certi movimenti ambientalisti impediscono che si modifichi un paesaggio idealizzato e che si vuole sfruttare solo per motivi ludici, fregandosene delle popolazioni che campano delle risorse di quei territori. Sono stati fatti più laghetti collinari nel Sudowest della Francia che in tutto l'appennino. Con i laghetti collinari quante terre si potrebbero irrigare con acqua gratis?

Giuseppe  Cattabriga
Giuseppe Cattabriga
22 aprile 2013 ore 09:23

Quello che non riesco a spiegare, e di questo mi scuso, è che io parlo di pratica e non di teoria. Sono un agronomo che si è specializzato in idrobiologia e piscicoltura che per oltre 30 anni ha prestato assistenza tecnica a piscicoltori che per larga parte erano anche agricoltori. Abbiamo perciò sperimentato, nella pratica, i benefici derivanti dall'integrazione dei due ecosistemi ottenendo risultati che per nostra abitudine non sono stati propagandati, ma che le posso garantire sono di notevole interesse ed estremamente attuali. Posso assicurarle, inoltre, che quando si presta assistenza tecnica sul campo e questa viene sostenuta economicamente dagli agricoltori, lo spazio per la teoria non è tanto. Il mio vuole essere solo un contributo per anticipare quelle scelte tecniche che i cambiamenti climatici in corso, inevitabilmente imporranno. La realizzazione degli invasi interaziendali, per sopperire ai problemi legati alla siccità, ne sono un timido esempio.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
21 aprile 2013 ore 20:17

@ Giuseppe Cattabriga

Dalla teoria (quello da lei enunciato è un gran bella teorizzazione)alla pratica il passo è lungo e spesso occorre modificare la teoria per la realizzazione pratica. L'agricoltura ha già in sé le regole della durabilità basta non partire per la tangente, comportamento spesso scelto per soddisfare bisogni inderogabili. Lo si può anche fare, ma appena si può si deve rientrare nei ranghi.

Giuseppe  Cattabriga
Giuseppe Cattabriga
20 aprile 2013 ore 19:32

Desertificazione dei terreni, eutrofizzazione delle acque,siccità, stanno mettendo in crisi l'agricoltura intensiva. Modelli di produzione agricola, che prevedono l'integrazione dell'agrosistema con l'ecosistema acquatico, sono in grado,attraverso una gestione moderna degli equilibri naturali(da non confondersi con l'agricoltura biologica) di dare concrete risposte a questi problemi, ormai globali, di aumentare la produzione di cibo assicurando, nel contempo, la stabilità ai due ecosistemi.

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
20 aprile 2013 ore 13:08

@ Franco Scaramuzzi

Credo che l'evoluzione dei sistemi agricoli futuri sia inarrestabile, anzi bisognerà incrementarla ed imporre ritmi più veloci, però con una attenzione per le previsioni sugli effetti futuri, ma che non devono,però, essere di blocco. Per quanto riguarda l'Italia le chiedo, sarà possibile continuare con aziende di otto ettari di superficie? Lei giustamente invoca i giovani, ma chi gli da i mezzi per accedere alla terra da coltivare, stanti le attuali condizioni del bene fondiario? Ai giovani agricoltori che vogliono continuare il loro lavoro, e permanendo così le cose, non resta altro che vendere le loro terre che ereditano ed emigrare per poter coltivare il triplo o il quadruplo della loro superficie di cui dispongono in Italia. Se quindi, condividendo la sua affermazione fatta sopra, cioè che dopo la crisi le cose non ritorneranno uguali, vorrei aggiungere che per l'Italia dovranno essere condizioni totalmente rivoluzionate (ma le rivoluzioni sappiamo che non sono eque e innocue)

Alberto Guidorzi
Alberto Guidorzi
20 aprile 2013 ore 12:54

@ Giuseppe Cattabriga

Quanto da lei affermato è un qualcosa che andava bene detto 30 anni fa. Ora occorre aggiornarla nel senso che concimi e pesticidi e erbicidi si usano già con molta ma molta più parsimonia rispetto a prima. Tuttavia occorre fare molto di più e quindi dovremo ricorrere maggiormente alla genetica con strumenti biotecnologici e rivedere e rimodellare ancora le nostre pratiche colturali. Tuttavia il problema della convivenza di 9 miliardi di persone si risolverà sempre con un'agricoltura sì durevole, ma sempre intensiva. Non è certo con i sistemi biologici o biodinamici che si risolvono i problemi, con questi sistemi si fanno mangiare solo i ricchi.

Giuseppe  Cattabriga
Giuseppe Cattabriga
20 aprile 2013 ore 00:44

L’agricoltura intensiva industriale, che nel processo produttivo prevede l’impiego massiccio di pesticidi, erbicidi e concimi chimici, sta distruggendo le risorse naturali utilizzate nell'illusione che queste siano inesauribili.Se in futuro vogliamo soddisfare la crescente domanda di cibo e garantire alle popolazioni sicurezza alimentare ed idrica, s’impone una profonda riflessione sui sistemi di coltivazione in chiave eco sostenibile:
http://www.agricolturadelleacq…