Cultura

La geodinamica dei terremoti

In Calabria il recente terremoto ha destato spavento e preoccupazione. Sono fenomeni naturali di cui spesso si scrive o parla poco, per scaramanzia. Maria Grazia Barone, dell’azienda agricola Arcaverde, ci fa dono di un documento

03 novembre 2012 | L. C.

“I terremoti sono frequenti in Calabria, ma non per questo ad essi ci si abitua, anzi, proprio per esorcizzarne la paura e anche per motivi scaramantici si evita di parlarne. Finchè non arriva un nuovo scossone che risveglia i ricordi e la memoria storica legata a questi eventi.”. A sostenerlo è Maria Grazia Barone, dell’Azienda Agricola Arcaverde, produttrice di un ecccellente extra vergine proprio in terra calabra, e che i lettori di Teatro Naturale hanno già conosciuto come “figlia della terra” (leggi qui).

La Barone ci ha fatto dono di un un testo dello storico don Vincenzo Barone di Cerchiara di Calabria, dove sono riportate alcune curiosità storico-culturali, oltre alla descrizione del devastante terremoto del 1698 riferita da un cronista dell'epoca.

 

La Geodinamica dei terremoti,”STUDI E CREDENZE”

Il terremoto del Pollino settentrionale calabro-lucano compreso, tra Mormanno e Rotonda, è avvenuto la notte del 26 ottobre 2012 ed ha riaccesa l’attenzione regionale e quella nazionale sul territorio calabrese, che presenta, purtroppo, innumerevoli e notevoli problemi per la loro ampiezza e varietà morfologica. Tra questi il maggiore è quello dei sismi, che in ogni epoca ha devastato la gente e la terra della nostra regione. Allo scopo di poter ovviare a tutti i gravi disastri, che si ripetono con terribili e periodiche scadenze, il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha istituito il «Progetto Finalizzato Geodinamica», nel quale si sono inseriti gli studiosi della geologia calabrese per impostare ricerche ed azioni tese a salvare non solo le vite umane, ma anche l'economia e l'organizzazione della società.

Tra i punti, che maggiormente possono attirare la nostra attenzione, c'è quello riguardante la struttura geologica del suolo calabrese, che è il territorio più sismico del mediterraneo.

Infatti, se si guarda una carta geologica dell'Italia, si nota che la catena appenninica è costituita prevalentemente di rocce sedimentarie e si interrom­pe all'altezza della Piana di Sibari per lasciare il posto ai graniti ed alle rocce metamorfiche dell'intera Regione. Questa catena di cristallino è denominata «Arco Calabro-Peloritano» è accavallata sull'Appennino e trae la sua origine dallo scontro, ancora in atto, tra la zolla africana e quella euroasiatica. Questo scontro determina lo scorrimento della prima sotto la seconda e viene messo in evidenza dagli ipocentri superficiali e profondi dei terremoti, che avvengono sempre su di un piano inclinato e immergente dallo Jonio al Tirreno.

Un altro aspetto della geodinamica dei terremoti è quello dei movimenti franosi, che ad essi si accompagnano, sia per azioni dirette di scuotimento e sia per quelle indirette di alterazione della roccia. Allora si hanno vari meccanismi di collasso e vari tipi di franamenti, come quello tipico del terremoto del 1873 nella piana di Gioia Tauro, che provocò anche il maremoto di Sicilia. A Cerchiara, esso è ricordato per il nuovo assetto amministrativo e istituzionale, che ha avuto il Santuario di S. Maria de Armis. I suoi amministratori, per evitare che i beni di quella chiesa, come quelli di tutte la altre, fossero stati incamerati dal re di Napoli e venduti a favore dei terremotati di quel sisma, ne passarono la proprietà all’ annesso ente morale di beneficenza dell’orfanotrofio femminile, che ebbe durata fino all’anno 2000, quando la legge dell’assistenza dei minori ebbe un novo indirizzo moderno.

Per l'altissima frequenza, con cui si ripetono sismi e frane, si stanno avviando studi interdisciplinari, che permettono di approfondi­re le conoscenze sui rapporti tra franosità, assetto morfologico e sismicità del nostro territorio, in modo da ottimizzare anche la collocazione dei nuovi insediamenti abitativi, come si propone la nuova normativa sismica regiona­le del 1974.

Il terremoto del 1693

Il sec. XVII si chiudeva con il flagello del terremoto dell’8 gennaio 1693, avvenuto alle ore quattro del mattino.

È opportuno parlare anche di quest'altra calamità non tanto per cono­scere ulteriori sventure patite dalle martoriate e sfinite popolazioni di quel tempo, quanto per avere una idea più ampia e completa sulle credenze e le mentalità, che fino ai nostri giorni si sono avute sui fenomeni della natura, come ancora si possono raccogliere sulle labbra dei più anziani.

Poiché G. Toscano con vivezza e completezza ci ha descritto le calamità della peste e della fame è bene lasciargli la parola anche per quanto riguarda il terremoto del 1693, sia perché poté cogliere dal vivo le impressioni e sia perché si è rivelato un bravo e profon­do conoscitore della cultura popolare.

Egli scrive che Dio: «... per tenerci avvertiti e ricordevoli de' nostri peccati, atteso nell'ottavo giorno di Gennaio del 1693, e propriamente alle ore quattro della notte fu concossa la terra da' terrestri spiriti, con veementi impulsi tremò in maniera tale, che ci credevamo di restare assorbiti, e con­quassati sotto le rovine de' tetti; veramente il terremoto, essendo un insi­gne prodigio della natura per atterrire le menti dei mortali, trema la terra, acciocché l'animo dei peccatori tremi e ricorra all'Autor della natura... Da quel tremore ben gagliardo atterriti i cittadini cominciarono a fuggire fuori dell'abitato, ma altri più soli non vollero partirsi, quand'ecco dopo due ore di nuovo tornò una scossa... ed allora tutti andammo a ritrovare ricovero nelle campagne... la notte dell'altro giovedì, dopo quindici giorni scorsi dal primo terremoto, e propriamente a 22 gennaio, verso le ore otto della notte si mosse nuovo spirito a concuotere la terra... e più notti si sentivano varie scosse... Alla fine ci ridussimo alle nostre case verso la metà di Marzo...

Vero è, che per pietà di Dio tutte queste quassazioni la nostra Padria non assaggiò minimo danno, né di robba, come assaggiarono nella nostra Calabria; Castrovillari, Morano, Mormanno ed altri convicini colla rovina di case, Chiese e Monasteri.

Il maggior danno lo ricevé il Regno di Sicilia, dove Catania, nella replica dell' 11 gennaio, fu tutta abissata colla perdita di diciottomila anime... Ad Augusta, essendo caduto un fulmine dal cielo sul­la munizione della polvere, fece volar per l'aria il Castello e molte abitazio­ni circonvicine... A Siracusa furono trovati ottomila cadaveri... Ma udite crudelissima barbarie, quelli stessi che facevano l'ufficio di scavare, trovan­done alcuno semivivo, l'uccidevano per spogliarlo con maggior facilità, alle Dame, che tenevano anelli alle dita le tagliavano le mani, a chi nel collo teneva collane e gioie, le troncavano la testa, ancorché viventi: barbarie neanche tra barbari praticata... Si estese il terremoto sino all'isola di Mal­ta... Continua ancora il Toscano.

Da questo deplorevole discorso ho preso occasione di investigare le cause.

...Il terremoto non è altro che una concussione della terra, cagionata da spiriti e fuochi sotterranei, che volendo uscire non trovano esito. E tralasciando altre cause conchiudiamo che la vera causa si deve attribuire all'Ira dell'Onnipotente Dio, il quale vuole servirsi di queste cause... e per­ciò dobbiamo sempre pregare la Bontà Divina, che per sua misericordia ce ne liberi.

...Il terremoto non può estendersi e farsi sentire più di 200 miglia di lontananza secondo la comune opinione... Li tempi più esperti a terremoti sono la primavera e l'autunno.

...Molti sono i segni prognostici e presagi, che sogliono precedere il terremoto, fra quali ho fatto scelta di tutti quelli che ho potuto raccogliere, e primieramente:

Dall'eclissi di sole e della luna facilmente possono prevedersi i segni del prossimo terremoto.

Se la faccia del Sole e della luna apparisce velata da caligine, cinta di sanguigno colore, senza l'interposizione di nuvole. Se la stella canicola na­scente in tempo che la luna si trova in casa di Leone.

Se la cometa rappresenta natura di fuoco, pigliando colore negro, ver­de, rosso è indizio di futuro terremoto.

Ritrovandosi il ciel sereno e tranquillo, che da nessuna parte spira mi­nimo vento, si deve temere il vicino terremoto.

Il canto dei galli contro l'ora solita, maggiormente in tempo che co­mincia ad annottarsi, siccome è solito segno di mutazione di tempo. Le galline e pavoni domestici, che si veggono fuggire nei monti, son preludio di terremoto. Gli animali quadrupedi lasciano i soliti luoghi delle loro abi­tazioni, e fuggono altrove per naturale istinto, presagiscono il non lontano terremoto.

I medesimi uscendo dalle loro grotte, e caverne, attoniti e timidi, porgono indizi di futuro terremoto.

II terribile sonito e muggito sotterraneo, che alle volte si sente prima del terremoto a modo di muggito de' Bovi, o di latrato di cani, o a modo di mormorio di acque, o di ululato, e pianto di uomini... e di terribili fischi, tutti sono indizi di pessimo e prossimo terremoto. A' quali segni io aggiungo un altro sperimentato nella propria persona. Ritrovandomi vicino al fuoco mi vidi assalire da saporosa sonnolenza, ...da questo venni in co­gnizione, che quella sonnolenza e dolore di testa avessero avuto origine dalle esalazioni e vapori di quell'infetto e bitumato spirito».

La fedele rispondenza delle convinzioni di Giorgio Toscano con quelle che si possono raccogliere ancora dalla viva voce del nostro popolo circa le calamità ci convincono del fondo comune della cultura calabrese.

Le tradizioni culturali sui terremoti, come su tutte le calamità naturali, derivano dal pensiero, mediovale, che, come scrive il Morghen, «concepiva la storia umana come lo svolgersi dell'azione divina nella realtà del cosmo». Infatti il Di Meo definì il terremoto del 24-5-1184 «pesante sdegno di Dio» e l'anonimo cassinese così lo descrisse: «a' 24 del maggio vi fu un tremuotò sì grande e terribile per tutta la Calabria, Valle di Crati... e valle di Sino... che tutti gli edifici furono rovesciati, e Rufo Arcivescovo di Cosenza, e molti altri morirono soffocati sotto il precipizio delle mura» (A. Di Meo, Annali Cr. - dip. del R. di N. vol.V, a. 1184).

don Vincenzo Barone