Cultura

Joven Barriendo, icona del duende

Joven Barriendo, icona del duende

Una danza dentro al vortice che risucchia e scaglia lontano. Uno spirito tragico che si fa beffe della morte, che l’abbraccia danzandoci insieme. È la polvere che s’alza da terra per grazia di una vergine tra due corna di toro, mentre s’attendono segni dal cielo

14 maggio 2011 | Nicola Dal Falco

 

La giovane che ramazza è un’”aguada” a china di Francisco Goya (1794-95) un acquarello che incanta sia per la rapidità del tocco sia per l’irriducibile forza compositiva.

L’incontro tra l’una e l’altra, accentuato dal tipo di tecnica usata, crea addirittura un vago senso di vertigine che il messaggio sottinteso fa aumentare a dismisura.

Goya ha diviso il foglio esattamente a metà, disponendo la scena lungo una linea diagonale che scaturisce a sinistra dalle corna del bucranio e prosegue seguendo l’impugnatura della scopa, per perdersi a destra, dentro una nuvola di polvere.

In direzione di questa, danzante la sua danza d’atomi, s’allinea un terzo sguardo, invisibile all’osservatore, ma chiamato in causa dalla presenza di una gabbietta, proprio sotto la testa del toro.

Lo strano allineamento comprende, dall’alto in basso, il trofeo, un cardellino o un altro uccello di bel canto, la giovane e quanto si agita per i colpi di ramazza.

Se i due soggetti, toro e polvere, sorvegliano i confini della scena, fin dove il pittore vuole condurci, a occuparne il centro è la ragazza bruna, forte d’anca e di gamba.

Lì, nella torsione del fianco, sta il punto di equilibrio della composizione e affiora in gorgo il duende.

In realtà, assistiamo ad una vera e propria stratificazione del duende.

C’è il duende del bucranio, uterino e lunare, pittogramma ossessivamente ripetuto sulle pareti della casa anatolica delle Dea; il canto del prigioniero, capace a sua volta di incatenare; il duende della scopa, armata come una falce che non sanguina; il duende delle sedie allineate sullo sfondo, simili a giudici con la lingua mozzata.

A ramazzare, liberando altrove la mente o a falciare il trifoglio sempre di danza si tratta; una danza sul filo del duende, dentro al vortice che risucchia e scaglia lontano.

Ma cos’è il duende? È uno spirito tragico che si fa beffe della morte, che l’abbraccia danzandoci insieme.

È la polvere che s’alza da terra per grazia di una vergine tra due corna di toro, nel giorno consacrato agli antenati mentre s’attendono segni dal cielo.

 

 

Madrid, calle Barquilla

29 aprile 2011

 

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