Cultura
Quel che vedete, non è solo uno scheletro
Le isole ossario devono aver scorticato l’anima. Ecco una testa di femore, una falange, un pezzo di calotta e quel pugno di selci che brillano tra la sabbia come molari! Una prosa di Nicola Dal Falco
29 gennaio 2011 | Nicola Dal Falco
Le isole ossario (Dodecanneso)
Si asciugarono i golfi e le secche si unirono in arcate da un bordo allâaltro della costa che non appariva più tale, ma un dirupo a mezza altezza, tra la cima del monte e la base. Ritiratosi il mare, se ne contarono dodici, dodici terre, dodici isole che guardavano il cielo.
Il fondo emerso avrebbe, per la prima volta, risuonato di suoni non sottomarini.
Sarà questa nascita, questo levarsi, spingendo sui gomiti, dal mare a calamitare certi viaggiatori?
A distrarli per un anno fino allâarrivo? Un mare, aperto e chiuso in unâinfinità di stanze, di scorci che sembrano alla fine dettagli dello stesso viso.
Un corpo che asciuga al vento o, forse, un vento che sposta riflessi, che carica lâorizzonte di nubi e di luce, scolpendo il poco e il nulla.
A lui che, una volta, controllava lâemocromo, che sprofonda in un ex-libris, che intenerisce le lastre nellâacido, che stampa a Milano preziosi libretti in unâex gelateria con giardino, anagrammando il proprio nome (Il ragazzo innocuo) queste isole devono aver scorticato lâanima, levando una buccia dietro lâaltra.
Altrimenti, come si potrebbe concepire la mappatura del viaggio attraverso la raccolta dâossa?
Me lo figuro dentro un paesaggio succinto, totalmente orizzontale che il ghiribizzo del maestro dâicone ha tagliato in senso opposto, spostando il rettangolo della visione dal lato lungo al lato corto: escludendo e preferendo alla distensione atona una verticalità di pozzo.
Così quelle linee parallele, sfumate di blu, dâazzurro, dâocra e di grigio si trasformano in strati di una densità materica e visionaria: fatti di nimbi, di marne, di legni; rugosi come feltri e bucce dâarancio.
Seduto in procinto di alzarsi o mentre cammina chinandosi a raccogliere qualcosa, sembra sempre passeggiare sul bordo di un tegame dove si getti e strapazzi un povero cibo, semplice, onesto, tribolato.
Allora, prima di disegnare per lâennesima volta lo spettro di linee che attraversa il creato, decide di farsi un paesaggio dal paesaggio, un adamo, usando i sassi e i legni, raccolti sulle spiagge di PÃ tmos, KÃ limnos...
Ecco una testa di femore, una falange, un pezzo di calotta e quel pugno di selci che brillano tra la sabbia come molari! Pazientemente, la mappa prende forma, si collegano legni di specie diverse, si limano, oliano, dandogli un tono quasi carnale.
Questo che vedete, non è solo uno scheletro, è il mondo di fuori, color terra, color legno anche se venuto per mare, arenato sotto un cielo divino.
27 settembre 2007
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