L'arca olearia 05/02/2011

50 anni compiuti, ma l'olio fitoterapico per eccellenza non è ancora in Farmacopea

Per l'olio extra vergine di oliva c’è un disallineamento tra qualità alimentare e qualità come medicamento. Secondo Tullia Gallina Toschi tale lacuna andrebbe al più presto sanata. Sarebbe sufficiente soltanto far riferimento, per i criteri di qualità e genuinità, alla normativa europea appena aggiornata (14. continua)





Il compleanno che abbiamo festeggiato, il 2 dicembre dell’anno appena trascorso, è l’indicazione di qualità che risiede in queste parole (L. 13 novembre 1960, n. 1407, G. U. n. 295 del 2 dicembre 1960):

”Olio extra vergine d’oliva”, (denominazione) riservata all’olio che, ottenuto meccanicamente dalle olive, non abbia subito manipolazioni chimiche, ma soltanto il lavaggio, la sedimentazione e la filtrazione, che non contenga più dell’1 per cento in peso d’acidità espressa come acido oleico senza tolleranza alcuna; alla denominazione di «olio extra vergine d’oliva» potrà essere giunta l’indicazione della provenienza.

Questo articolo introduce una qualità superiore ottenibile soltanto dal miglioramento delle pratiche di frangitura di conservazione delle olive e dell’olio finale. La categoria “prima” non può essere, per legge, rettificata.

L’extra vergine vedrà, nelle leggi e regolamenti successivi, potenziare il suo significato di “vergine”, inteso come non trattato con procedimenti chimici o biochimici e non depauperato o corretto dal successivo passaggio di rettifica. Viene definito quindi, a tutti gli effetti, come un “fitoterapico” d’eccellenza, ricco di fenoli e componenti dell’insaponificabile, con una limitazione assoluta delle tecniche estrattive ai soli mezzi fisici (pressione, centrifugazione, filtrazione). Esso è la fase grassa sopranatante di una spremuta di olive.

Insieme agli affinamenti della denominazione arriva, dopo oltre cinquant’anni (Reg. CE. 1513/01 in vigore dal 1° novembre 2003) un abbassamento del limite di qualità per antonomasia, l’acidità, che passa da 1 a 0,8%.

Oramai è possibile stringere le maglie della “superiorità” di partenza dell’extra vergine (senza correttivi) e così la qualità internazionale (COI e UE), intesa anche come metodo analitico di base, si innalza, abbassando il limite di 0,2 unità (20%).

Dal 1960 al 1991 lo sviluppo e poi l’approvazione di metodi analitici per la verifica della purezza e della genuinità e la rivoluzione introdotta dall’analisi sensoriale, definiscono un prodotto alimentare tra i più “normati” del mondo.
Tutto ciò in materia alimentare.

Ci si potrebbe chiedere allora come viene definito l’olio d’oliva e quale sia la qualità richiesta e descritta quando esso viene invece citato come medicamento, secondo le specifiche di un testo sanitario riconosciuto come è la Farmacopea Ufficiale (FU).

Alcuni prodotti vegetali, insieme a molte altre categorie (sostanze pure di origine estrattiva o di sintesi) vengono definiti se utilizzati come medicamenti, nelle Farmacopee di ogni paese e in quella Europea, in monografie che ne riportano i requisiti di qualità.

Sfogliando le Farmacopee del passato conforta ritrovare la monografia dell’olio di oliva fin dai primi testi. Nel 1940 (FU VI) l’Oleum Olivarum viene definito, riferendosi ad un prodotto probabilmente raffinato, come liquido limpido, di colore giallo-verdognolo o giallo-paglierino di debole odore e sapore caratteristico. Un criterio di qualità è fin da allora “organolettico” quando il legislatore riferisce tra i “Saggi” che l’olio non deve aver odore o sapore “in nessun modo rancido; anche per riscaldamento a bagno maria non deve apparire odore estraneo, sgradevole.

L’acidità compare tra i requisiti di qualità, è espressa in acido oleico e non deve superare il 2%. Tra le preparazioni compaiono gli oli canforati (preparazioni rinologiche o oli per il massaggio), alcuni empiastri e l’olio di camomilla. L’olio di oliva viene utilizzato, in queste preparazioni, come veicolo per principi attivi di natura lipofila e come fase grassa, ma liquida, a temperatura ambiente, di empiastri e linimenti.

Già in questo testo ufficiale del ’40 vengono fornite specifiche particolari per l’olio di oliva da utilizzarsi in preparazioni iniettabili e nella successiva FU VIII (1965) si specifica che per l’uso parenterale l’olio deve essere assolutamente neutro.

La Farmacopea VIII, che esce cinque anni dopo la Legge n. 1407 del 13 novembre 1960, quando cioè l’extra vergine esisteva già da cinque anni, non cita in alcun modo i procedimenti meccanici o la verginità del prodotto ma si riferisce ancora, chiaramente, ad un olio raffinato.

Sul piano dello sviluppo dei farmaci questo ignorare una “qualità estrattiva superiore” è comprensibile se si pensa che il ritorno in auge dei prodotti fitoterapici ed erboristici nel mercato farmaceutico avverrà più tardi, alle porte degli anni ’80.

Nel 1985, quando il Ministero della Sanità pubblica la IX edizione della Farmacopea Ufficiale, l’olio d’oliva, viene definito, per la prima volta “ottenuto per pressione a freddo, o con altri procedimenti meccanici appropriati, dalle drupe mature dell’Olea europea L.. Se è vero che così l’olio non raffinato entra in Farmacopea è anche vero che, anche dopo venticinque anni dalla sua definizione, non è ancora l’extra vergine. Il legislatore riporta come limite di acidità il 2%, riferendosi quindi alla categoria dell’olio vergine. Anche nella edizione X (1989) la monografia mantiena l’acidità al 2% ed allo 0,5% per l’uso iniettabile. Permane in questo testo una definizione a metà strada tra vergine, raffinato ed estratto per pressione a freddo che, di fatto rende pericolosamente labili i confini di una univoca qualità “farmaceutica”.

La situazione non è molto diversa nel testo europeo, la VII edizione della European Pharmacopeia appena pubblicata e in corso dal 1° gennaio 2011, che riporta due differenti monografie per l’olio di oliva raffinato (acidità 0,3%) ed il vergine (acidità 2%), quest’ultimo definito genericamente estratto a freddo. Oltre a non far cenno della qualità superiore, che pure dovrebbe essere preferita, a maggior ragione, quando un olio viene usato come ingrediente di un medicamento, anche la Farmacopea Europea sembra poco aggiornata in materia di determinazioni analitiche utili per la definizione della qualità. A titolo di esempio, l’identificazione degli acidi grassi viene ancora proposta in cromatografia su strato sottile (TLC), quando è da più di vent’anni che il metodo di controllo la prevede in gascromatografia (GC)!

C’è quindi un disallineamento tra qualità alimentare e qualità come medicamento che andrebbe al più presto sanata nelle Farmacopee Europee, anche soltanto facendo riferimento, per i criteri di qualità e genuinità, alla normativa europea (Reg. CEE n. 2568/91) appena aggiornata (Reg. UE n. 61/2011) che, oltre a metodi innovativi come la determinazione degli alchil esteri per scovare le frodi da deodorati, cita i metodi e i limiti che definiscono la qualità dell’extra vergine.

Un ultimo piccolo dispiacere. Tra le sostanze e i preparati vegetali ammessi dal Ministero della Salute per la preparazione estemporanea di prodotti salutistici in farmacia (formulazioni galeniche) compaiono moltissimi oli, tra i quali, a titolo di esempio, quello di vinaccioli o di enotera. Le parti dell’Olea Europea L. che possono essere impiegate vengono indicate come i frutti, le foglie, i giovani getti o le gemme. E’ evidente che l’olio extra vergine, ottenuto dalle drupe, si potrebbe considerare sottinteso, ma è troppo sperare che il legislatore, al prossimo aggiornamento dell’elenco, riporti espressamente l’olio mediterraneo più salutare e citato dalla letteratura scientifica mondiale tra le principali sostanze e preparati vegetali utilizzabili a scopo salutistico?

Buon compleanno extra vergine!


NOTA. Ringrazio la Società Italiana Farmacisti Preparatori, nella persona della Dott.ssa Benedetta Sommaruga, per il reperimento e l’invio di tutto il materiale normativo (monografie Farmacopee Ufficiali) che ha costituito l’oggetto di questo articolo.




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di Tullia Gallina Toschi