L'arca olearia 13/11/2010

50 anni di extra vergine. Quel pasticciaccio (brutto?) della legge 1407

La tutela del consumatore era veramente l’obiettivo primario o non si trattava piuttosto di una “mediazione forte” per favorire l’industria olearia? Il professor Mario Pacelli, membro del consiglio direttivo dell’Aifo, storico delle istituzioni ed ex dirigente della Camera dei Deputati, interviene nel dibattito sul cinquantenario (5. continua)




Nel leggere la nota rievocativa della legge n 1407 del 1960 mi ha colpito un particolare: l’essere stato relatore del disegno di legge alla Camera dei Deputati lo stesso Presidente della Commissione Agricoltura on. Pietro Germani.

La mia esperienza è nel senso che quando il Presidente di una Commissione parlamentare assume l’incarico di relatore, qualcosa non quadra! Maggioranza non compatta, prevedibile duro scontro con l’opposizione, dissenso tra parlamento e Governo, mille ipotesi il cui denominatore comune è la necessità di una mediazione che il Presidente della Commissione riserva a se stesso, forte dell’autorità, super partes per definizione, che gli deriva dalla titolarità della Presidenza.

Nel caso di Germani c’era qualcosa di più: stretto collaboratore di De Gasperi, fondatore nel dopoguerra della Coldiretti, uomo di grande prestigio personale, doveva aver assunto l’incarico di relatore solo in quanto, con ogni probabilità, l’approvazione del disegno di legge presentava qualche difficoltà.

Ce n’era abbastanza per sollecitare la mia curiosità: ho consultato i resoconti storiografici della discussione del progetto di legge e mi sono reso conto che la difficoltà effettivamente esisteva (l’iter parlamentare durò quasi due anni) ed erano molte, specie dopo le modifiche introdotte dal Senato al disegno di legge presentato (al Senato n. 279) dall’allora Ministro dell’Agricoltura Ferrari Aggradi, un uomo molto prudente e che non era certamente portato ad assumere posizioni politiche estreme.

Forse è opportuno ricordare che, come traspare chiaramente dalla relazione introduttiva al disegno di legge, il Governo era stato indotto ad adottare la soluzione proposta al Parlamento per rassicurare l’opinione pubblica scossa dalla scoperta che grandi quantità di sapone venivano importate dall’estero e trasformate in Italia quasi miracolosamente in “olio d’oliva” attraverso un processo di esterificazione acquistato negli anni ’20 dalla Germania e mediante il quale tutto, perfino il sapone da bucato (e non era l’ipotesi peggiore), poteva diventare olio.

Già nella metà degli anni ’30 il procedimento aveva destato molte perplessità, ma il Consiglio Superiore di Sanità si era pronunciato per la sua non dannosità per la salute (1936).
L’esclusione della legittimità della esterificazione nella produzione dell’olio trovava forti consensi nella neonata Unione dei consumatori e sulla stampa: basta con i veleni, basta con olio ottenuto con fantasiosi procedimenti che vedevano l’uso di sostanze con le quali nessuno avrebbe condito l’insalata, come la soda caustica, la glicerina e via dicendo.

Era un punto nodale della questione: escludendo la presenza di olio rettificato in quello definito “extravergine” si garantiva al consumatore che quello che acquistava era un prodotto effettivamente ed interamente ottenuto dalla spremitura delle olive.

Non tutti gli interventi nel dibattito si dimostrarono però d’accordo e ciò per diverse e non trascurabili ragioni.
C’era anzitutto la questione dell’olio prodotto nelle regioni del sud, in gran parte ottenuto a quei tempi dalla esterificazione delle sanse, o prodotto con olive raccolte a terra. Esclusa restava pure la “lavatura” della sansa, comune sia al sud che al nord, mentre nessun controllo, oltre quello del grado di acidità, era previsto per il prodotto.

Malgrado tutte le critiche formulate e i molti emendamenti presentati (anche dai deputati della maggioranza) e respinti, il disegno di legge fu alla fine approvato.
Si trattò della soluzione migliore o solo della ratifica di un compromesso faticosamente raggiunto tra coltivatori e aziende olearie, mettendo da parte le perplessità a proposito dell’olivicoltura meridionale e quella sulla effettiva garanzia della genuinità del prodotto fondata sulle analisi chimiche, un obbligo che sarà imposto solo molti anni dopo in attuazione del Regolamento CEE n. 2358 del 1991.

La legge garantiva agli industriali un prezzo più elevato per l’olio extra vergine in quanto unico “garantito” e lasciava larghi margini di manovra per l’ importazione dell’ olio, del quale nessuno, in assenza di adeguati controlli, avrebbe potuto provare la (eventuale) derivazione dalla sansa (o peggio).

La tutela del consumatore era veramente l’obiettivo primario della legge o non si trattava piuttosto di una “mediazione forte”, specie dopo quanto accaduto, per favorire l’industria olearia, con l’adesione degli olivicoltori nella prospettiva (rivelatasi solo parzialmente fondata) di un aumento del prezzo delle olive derivante in linea diretta da quello del consumo del prodotto?

Giunto a questo punto mi sono reso conto che stavo forse costruendo ipotesi sul nulla, estendendo oltre misura alcune critiche formulate nel corso del dibattito parlamentare.
Stavo abbandonando rassegnato la ricerca, convinto che le mie fossero fantasie di un “malpensante” quando ho avuto l’idea di consultare il volume recentemente edito che raccoglie gli scritti e le lettere di Angelo Costa, in quegli anni Presidente della Confindustria e lui stesso industriale (anche) oleario.

Con una certa sorpresa ho trovato numerose lettere riguardanti il settore oleario indirizzate a giornalisti, industriali oleari, parlamentari, ministri e perfino al Presidente del Consiglio, tutte di estremo interesse per comprendere la logica della legge n 1407.

Nella lettera del 1 giugno 1957 indirizzata al dottor Giovanni Guidi, Presidente dell’Assolearia, Costa parla della “tesi per la quale sto battendomi” che è quella della denominazione di “vergine” solo all’olio non miscelato con olio raffinato, tesi recepita in pieno nel disegno di legge del Governo presentato il 26 novembre 1958 al Senato ed anticipata nella sua essenza da una proposta di legge (n 10) presentata pure al Senato nel 1958 dal Senatore Salari, futuro Sottosegretario all’Agricoltura, pochi giorni dopo l’inizio della legislatura, come fosse già pronta nel cassetto.

Il dibattito al Senato costrinse Costa a ritornare sull’argomento con una lettera indirizzata il 23 marzo 1959 a Paolo Bonomi, presidente della Coldiretti: con toni ultimativi nella lettera il Presidente della Confindustria pose i coltivatori diretti dinanzi ad una scelta: se non consentivano su quanto stabilito nel progetto di legge a proposito degli oli vergini, con la possibilità di classificare oli di oliva tutti gli altri oli ottenuti dalle olive e non esterificati sarebbe stato stabilito che tutti gli oli estratti non erano oli di oliva, anche se alla base di essi erano le olive, ma oli di semi.

Il tono era di quelli che non ammettono repliche e che sembrano richiamare al rispetto della gerarchia. Alla Coldiretti restava poco spazio per replicare e Costa ebbe partita facile: aveva rappresentato in modo efficace gli interessi che facevano capo all’organizzazione da lui presieduta ed aveva vinto (con qualche vittima sul fronte opposto… e non tutte da ricercare tra i disonesti e gli imbroglioni).

A voler esprimere una valutazione riassuntiva, a mio parere si trattò di una legge che metteva fuori mercato gli industriali oleari disonesti, introduceva garanzie per i consumatori, affermava il principio che i prodotti da esterificazione di grassi vari non potevano definirsi “olio di oliva” e poneva fine all’equivoco della loro innocuità per la salute dell’uomo.

Al tempo stesso però favoriva le industrie olearie lasciando loro grandi spazi a proposito della qualità degli oli, fermi restando i limiti di acidità stabiliti per le diverse qualità e abbastanza elevati per l’olio extra vergine.

Mi sembra dubbio che pari vantaggi ne derivassero per i frantoiani e per gli olivicoltori, salvo che per la speranza di “spuntare” un prezzo più alto sul mercato nazionale, nei limiti consentiti
dall’approvvigionamento dell’olio da parte degli industriali stessi sui mercati esteri.


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di Mario Pacelli