L'arca olearia 23/10/2010

L’introduzione dell’extra vergine. Una svolta verso la trasparenza del mercato

La legge 1407 del 1960? Era, per tutti, la “legge Forcella”. Lo sostiene oggi, con orgoglio, l’attuale presidente di Federolio, figlio del fondatore. Siamo proprio sicuri – scrive Gennaro Forcella - che sia giusto assecondare le odierne tendenze che vorrebbero in raffineria oli con un acidità inferiore al grado? (2. continua)


1960-2010. Buon compleanno extra vergine. Tributo al re dei grassi.

Particolare di una illustrazione di Angelo Ruta

Dopo il mio intervento sui cinquant’anni dell’olio extra vergine di oliva, apriamo, a partire da questo numero di “Teatro Naturale”, alle considerazioni e alle vive testimonianze dei vari attori della filiera.

Da qui in avanti, di settimana in settimana, ci rivolgeremo ai diretti protagonisti di quegli anni. A quanti hanno vissuto più o meno in prima linea la nascita della categoria merceologica di cui oggi siamo un po’ tutti (forse) orgogliosi, ma anche a coloro che indirettamente sono coinvolti o nella veste di consumatori, o in quella di fruitori professionali del prodotto.

Iniziamo con il presidente di Federolio Gennaro Forcella. A voi tutti l’invito a scriverci, comunicandoci le vostre impressioni. Intanto, come già annunciato la scorsa settimana, preparatevi a un grande evento per la festa dei cinquant’anni dell’extra vergine.
Buona lettura (Luigi Caricato)
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I CINQUANT’ANNI DELLA 1407

Il presidente di Federolio Gennaro Forcella

Scrivo queste note per il cinquantenario della legge 1407/1960 sulla classificazione degli oli di oliva, dopo avere letto un editoriale dell’amico Luigi Caricato, su “Teatro Naturale” (link esterno).
Proprio perché apprezzo da tempo il lavoro di Luigi Caricato, dico con grande chiarezza che dissento totalmente dal suo punto di vista su quella legge e qui cercherò di spiegare sinteticamente il perché di tale dissenso.

Alla legge 1407 sono sentimentalmente molto legato perché essa era detta la “legge Forcella” dal momento che mio padre, Domenico Forcella, ne fu il principale promotore.
Domenico Forcella è stato il fondatore della Federolio, la Federazione nazionale del commercio oleario, e fin da allora ne ha improntato le politiche ad una visione volta a tutelare anche e soprattutto gli interessi della produzione olivicola nazionale, così scontrandosi, se necessario, con le posizioni dell’industria.

Al di là delle polemiche odierne, spesso tanto strumentali, debbo dire che questa impostazione ha sempre caratterizzato le politiche della Federolio; ma non c’è dubbio che storicamente è proprio nella legge 1407/1960 che essa consegue la più significativa delle sue vittorie. Una successiva legge, sempre fortemente voluta da Domenico Forcella, fu altrettanto importante per il settore. Dice niente la n. 35 del 1968? Se si vuole ne potremo parlare in altra occasione.

Tornando a noi, perché fu necessaria una legge come la 1407/60? Per tante ragioni, ma soprattutto perché si trattava di sbarrare il passo agli insidiosi oli esterificati, allora protagonisti delle principali frodi del settore. Ma era necessario anche regolare l’ampia gamma della commestibilità degli oli vergini, allora ritenuti proponibili al consumo fino a livelli di acidità oggi impensabili. Era certo nell’interesse soprattutto del settore agricolo poter commercializzare quegli oli senza passare per la raffinazione.

Che l’impianto della legge fosse veramente valido, lo dimostra poi il fatto, incontestabile, che essa costituì la base della successiva disciplina comunitaria sulla classificazione degli oli di oliva dettata dai vari regolamenti che si sono succeduti nel tempo fino all’odierno reg. Ce 1234/2007 che in allegato reca la classificazione oggi vigente, non troppo diversa tutto sommato nell’impianto da quella di allora se non in alcuni passaggi voluti dalla parte agricola tesi a svilire sempre di più gran parte degli olii vergini e soprattutto gli “oli di oliva” come se questi ultimi non fossero fatti da oli di oliva vergini lampanti prodotti da olive degli stessi produttori. Ma tant’è!!

Mi sia consentita una breve digressione. Tra le tante, troppe stranezze che caratterizzano la gestione del settore dell’olio di oliva in Italia, c’è quella per cui a fronte di una classificazione comunitaria che ormai da anni ha accantonato quella nazionale dettata appunto dalla legge 1407/60, ebbene di quest’ultima si pretende di continuare ad applicare le sanzioni! Insomma per le violazioni alla classificazione comunitaria di oggi si applicano le sanzioni previste da una legge nazionale di cinquant’anni fa. Sono cose che possono accadere solo in Italia!

Ma torniamo alle cose serie. Il fatto che la legge 1407 del 1960 sia stata promossa dal commercio oleario italiano, significa che fu proprio questo comparto a imporre, allora, quella che oggi chiameremmo la trasparenza del mercato. Peraltro il commercio oleario italiano con quella legge non si fermò alla trasparenza e alla conseguente lotta alle frodi (e mi sia consentito di dire che chi si lamenta di quelle odierne non può veramente capire cosa fossero quelle di allora) ma volle fornire un supporto a quella che oggi chiameremmo “politica della qualità” e la denominazione “extra vergine”, non me ne vorrà l’amico Caricato, ha consentito all’espressione apicale della gamma di presentarsi (con un successo via via crescente) sui veri mercati di consumo (e non nelle sole zone di produzione) che fino ad allora, e questa volta con buona pace degli amici delle organizzazioni agricole, avevano visto l’incontrastato dominio degli oli di oliva non vergini.

Quante cose utili anche oggi ci consentirebbe di capire una riflessione più pacata!

Quando si difende, del tutto giustamente, l’olio extra vergine di oliva italiano (e la Federolio lo voleva difendere al punto di promuovere un apposito Consorzio) non si deve dimenticare che a fare la fortuna dell’olio di oliva italiano nel mondo, fin dalla fine del diciannovesimo secolo, fu la denominazione “olive oil” cioè un olio “fatto” dagli italiani (a proposito di “made in Italy” …) ma che non era certo un extravergine, prodotto questo che si sarebbe affacciato sul mercato solo molti decenni dopo e che si sarebbe consacrato solo a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso.

E tutto questo lo si deve all’equilibrato e razionale intervento normativo della legge 1407 del 1960.

Lo spazio è poco e mi debbo fermare qui, però una domanda me la pongo; la 1407, l’ho già detto, riconosceva come commestibili oli vergini con acidità fino a quattro gradi che oggi – ne convengo. sarebbe impensabile proporre al diretto consumo. Ma siamo invece proprio sicuri che sia giusto assecondare le odierne tendenze che vorrebbero in raffineria oli con un acidità inferiore al grado? Non sarebbe meglio oggi recuperare, almeno un po’, lo spirito della legge del 1960 e riconoscere anche ai vergini non extra nonché agli “oli di oliva” un po’ di spazio? E in questa prospettiva, che riconosce i vergini non extra e non demonizza gli oli di oliva oggi sopraffatti da una denominazione penalizzante (“composto” ecc. con aggiunta di un’informazione obbligatoria in etichetta ancora più penalizzante), forse anche l’amico Caricato potrebbe convenire sul fatto che la denominazione “olio extra vergine di oliva” starebbe a indicare un’eccellenza, oggi ulteriormente supportata da nuovi metodi di analisi.



LUIGI CARICATO > Ringrazio di cuore il presidente di Federolio Gennaro Forcella, per il suo appassionato e scrupoloso intervento. Ho voluto iniziare da lui perché, come egli stesso ha affermato, nei confronti della legge 1407 del 1960 è “sentimentalmente molto legato”, in quanto dietro al testo di quella legge vi è il lavoro del padre, Domenico, fondatore della Federazione nazionale del commercio oleario.
Non entro direttamente nel vivo delle considerazioni emerse, perché mi riservo di farlo successivamente, dopo aver concluso il giro di testimonianze.
Segnalo invece un mio libro uscito da Mondadori nel 2001,
Oli d’Italia, di cui sono disponibili ancora pochissime copie nelle librerie on line (qui link esterno e qui link esterno).
In questo mio libro, indagando sulle origini del nome olio extra vergine di oliva, riporto anche, in estrema sintesi, la dura battaglia di quegli anni, soprattutto a fronte delle tante insidie determinate dal cosiddetto rettificato b, che, secondo quanto scrivevano allora i magistrati Mario Berri e Bruno Cormio in
Le frodi alimentari, tale rettificato era il più sofisticabile, in quanto poteva contenere anche oli minerali!
In conclusione: l’impianto della norma non si discute, giacché dalla sua lunga vita si desume la sua reale efficacia. Resta però il problema del nome: “olio extra vergine di oliva” è distorcente, e, con tutta franchezza, rimane tutt’ora un’espressione tra le più infelici.
Non si vuol puntare il dito contro nessuno. Si tratta di contestualizzare quella scelta lessicale, che rifletteva in qualche modo il gusto dell’epoca. Pur non condividendola, l’espressione “extra vergine” noi oggi la accettiamo pacificamente, anche perché non si può più fare altro: non è assolutamente pensabile proprorre altre denominazioni. (L. C.)
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