Editoriali
QUESTIONE DI DIRITTO
03 luglio 2004 | Alberto Grimelli
Mesi fa gli autoferrotranviari hanno tracciato la via. Per raggiungere propri obiettivi, assolutamente legittimi, quale un aumento dei salari, hanno scioperato in maniera selvaggia causando pesanti disagi a migliaia di comuni cittadini, incolpevoli di fronte al braccio di ferro tra azienda e lavoratori.
Le critiche si sono sprecate, le proteste pure, ma pare che, ad oggi, non siano stati presi esemplari provvedimenti disciplinari né giudiziari per quegli autoferrotranviari ribelli. Tutto in nome della pacificazione, del quieto vivere, della concordia sociale.
Così, in questo strano Paese dove il precedente crea la regola, quasi fosse un iter legislativo, altri soggetti stanno iniziando ad usare gli stessi metodi e mezzi di lotta. Un intero comune si è riversato sui binari ferroviari causando danni per cinque milioni di euro a Trenitalia e problemi considerevoli a sedicimila passeggeri. Tutto contro una discarica rea di provocare seri malanni alla popolazione locale. Ho sentito il sindaco fornire dati allarmanti, quali il numero di casi di cancro o leucemia, decisamente superiore a quello medio nazionale. Una situazione francamente preoccupante e degna di attenzione ai massimi livelli istituzionali. Il sistema per attrarre l’attenzione dei vertici dello Stato, però, non è assolutamente condivisibile. Giorni di occupazione, giorni di lotta anche contro cittadini come loro. Né possono risultare sufficienti le scuse per i disagi causati, scuse, oltre tutto, immediatamente mitigate da altisonanti proclami sul proprio stato di sofferenza, o per meglio dire di insofferenza.
Approvare o rimanere silenti di fronte ad atteggiamenti di scontro e di sfida profondamente egoistici, quali quelli attuati negli ultimi tempi, significa accettare che venga calpestata una delle leggi fondamentali della convivenza civile: la propria libertà finisce dove comincia quella degli altri.
Quest’ultimo principio, invece, deve essere stato seriamente preso in considerazione dai giudici della Corte d’appello francese che hanno dato l’assenso all’estradizione del terrorista Battisti, rifugiatosi, da molti anni, a Parigi. Un individuo giudicato colpevole, in via definitiva, di alcuni omicidi e di concorsi in altri, oltre che, naturalmente, di comportamento eversivo e terroristico non può vivere placidamente libero senza pagare il fio delle proprie azioni e senza scontare il proprio debito con la società.
La decisione della corte francese rappresenta una piccola vittoria per chi crede ancora che esista il diritto e che vi sia la possibilità di far valere le proprie ragioni nelle opportune sedi, senza rivolte, senza ostracismi, senza violenza.
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