Editoriali

Un tram che si chiama Europa

25 aprile 2009 | Elia Fiorillo

I grandi giochi nei partiti sono cominciati. C’è da mandare a Strasburgo, al Parlamento europeo, 72 deputati. Siamo al disotto dei 78 rappresentanti italiani della legislatura che sta per scadere per via dell’entrata nell’Unione di Romania e Bulgaria che votano per la prima volta. Nello scorrere la lista degli eletti del giugno 2004 trovi tanti nominativi che in carica non ci sono più. Hanno preso il tram delle elezioni europee eppoi si sono precipitati a scendere alla prima fermata, appena che in Italia sono comparse opportunità migliori. Troppi per elencarli tutti, sono all’incirca trenta. Bel turnover che certo non ci fa considerare affidabili nell’Unione. Gente con la valigia eternamente in mano, pronti a lasciare anche quando altri hanno puntato su di te affidandoti incarichi di responsabilità. Il caso più emblematico è quello capitato negli anni 70. L’Italia ha l’onore di poter presiedere per la prima volta la Commissione europea. Su quello scranno è chiamato il democristiano Franco Maria Malfatti. Ci rimane per quasi due anni, dal 70 al 72. Si dimette, nello sconcerto generale, per partecipare alle elezioni politiche. Devono passare alcuni decenni prima che il nostro Paese possa ritornare alla guida politica dell’Europa. Romano Prodi gestisce la Commissione europea dal 99 al 2004. Lo fa bene. Nel periodo della sua presidenza, tra l’altro, entra in vigore l’euro. Ma l’occhio del presidente Prodi è sempre rivolto alla madre patria, alla politica italiana, suscitando mugugni nei sui avversari ed accuse d’interferenze. Era partito per Bruxelles dopo che il suo governo era stato impallinato. Un incarico prestigioso certamente, in mancanza di meglio in Italia. Anche Franco Frattini ha scelto l’Italia all’Europa. Da commissario europeo ha preferito il ritorno a casa per ricoprire la carica di ministro degli Esteri.

L’Europa - il Parlamento europeo -, insomma, è vista da certuni politici italiani come una sinecura, un momentaneo approdo per mete nazionali ben più ambite. Non solo i politici, da Renato Brunetta a Pier Luigi Bersani, da Massimo D’Alema ad Antonio Di Pietro, a Enrico Letta, a Umberto Bossi, a Fausto Bertinotti ed a tanti altri, per citarne solo alcuni dei più famosi della recente VI legislatura, hanno adoperato il Parlamento europeo come intervallo tra incarichi nazionali più o meno desiderati. Anche il mondo del giornalismo, che dovrebbe avere tra l’altro la funzione di richiamare alla coerenza la politica ed i sui esponenti, non disdegna quando occorre una rapida corsa con biglietto di ritorno già prenotato da Bruxelles e Strasburgo. E’ il caso del giornalista Michele Santoro che dopo “l’epurazione” dalla Rai per effetto dell’editto bulgaro di Silvio Berlusconi prende il volo per lo scranno europeo. Furono tante le preferenze che raccolse Santoro, ben 730mila, il più alto numero di consensi tra i non capolista. Bastò ad annullare tutto - i suoi bei programmi d’impegno politico, le speranze dei suoi elettori e via dicendo - una semplice chiamata televisiva. Pronte le dimissioni. Era il 19 ottobre del 2005, appena un anno e qualche mese dalla sua trionfale elezione. Stessa cosa per la più famosa “mezzobusto” italiana, Lilli Gruber, che resiste però quasi quattro anni, fino al 30 settembre 2008, prima di dimettersi per andare a condurre il programma “Otto e mezzo” su “La7”.

Non tutti, per fortuna, vedono l’Europa come qualcosa di lontano, di cui servirsi. Diversi peones bipartisan s’impegnano con determinazione per curare gli interessi del nostro Paese, ma anche della Comunità europea. Ed è un lavoro difficile fatto d’incontri di gruppo politico, di commissione, d’aula, nonché di confronto con le varie lobby esterne. A Bruxelles ed a Strasburgo la formazione delle direttive e dei regolamenti è un percorso ad ostacoli complesso dove solo la presenza costante e l’impegno possono incidere sulla formazione delle decisioni. Chi è abituato agli emendamenti spot delle nostre Assemblee elettive, dove i colpi di mano e le estemporaneità sono sempre possibili, va a sbattere contro rigide norme. Gli improvvisatori dall’eloquio facile ed accattivante non servono. Di frequente, però, questi portatori d’acqua, anche quando i risultati ottenuti sono di primissima qualità, non vengono premiati dai partiti per il lavoro che hanno realizzato. Dopo solo una legislazione tornano a casa loro malgrado. Addio esperienza, relazioni, cultura europea. I partiti, invece, vanno alla ricerca del capolista d’immagine che di frequente, se non si dimetterà dopo poco tempo, arriverà a Bruxelles o a Strasburgo o a Lussemburgo sempre con i minuti contati, solo per partecipare all’evento politico a cui non può proprio mancare.

Non capiamo, francamente, Sergio Cofferati – capolista nel Nord Ovest per il Partito democratico - quando dichiara che l’andare a fare l’eurodeputato è meno faticoso di altri incarichi che ha rifiutato per poter accudire suo figlio. Non sa il “cinese” che dovrà partire il martedì per tornare il venerdì, se veramente vorrà fare il suo lavoro, e questo per tutto il mandato? Ma, forse, e noi non lo sappiamo, ha deciso di spostare la famiglia in Belgio.

Per concludere, cinque le promesse solenni, a nostro avviso, che i candidati dovrebbero sottoscrivere con gli elettori: 1) completare tutto il mandato; 2) impegnarsi solo ed unicamente nell’attività di eurodeputato; 3) stare a Bruxelles o Strasburgo o Lussemburgo tutte le volte che occorre; 4) imparare o perfezionare la conoscenza di una lingua europea che non sia, ovviamente, l’italiano; 5) avvalersi di assistenti non parenti, ma soggetti dalla comprovata esperienza comunitaria che parlino almeno due lingue oltre l’Italiano. Sembrano impegni banali, ma visto com’è andata fino ad oggi non lo sono proprio.

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