Editoriali

Ecco perché il bio perde la faccia

14 giugno 2008 | Alberto Grimelli

Il mondo biologico è stato ingiustamente crocifisso dalla stampa e dai mass media nelle ultime settimane. Sembra veramente che vi sia la volontà di relegarlo a fenomeno di costume invece che a sistema di valori e principi tradotti in pratica nei campi.
Abbiamo volentieri ospitato l’opinione in proposito di Roberto Pinton, segretario Assobio, un editoriale duro ma assolutamente ragionevole e soprattutto circostanziato.
Attraverso simili prese di posizione il bio può trarre forza, autorevolezza e credibilità.

Pur non condividendo l’intero sistema del biologico, vedendone bene lacune e criticità, ovvero non essendo un bio-entusiasta, ammetto che l’agricoltura organica è assolutamente più sostenibile, più rispettosa delle risorse naturali e produce, mediamente, frutti più salubri di quella convenzionale. Non si spiegherebbe altrimenti che le norme sulla condizionalità e sulle buone pratiche agricole tendano ad avvicinarsi sempre più al modello biologico.
So anche che la struttura normativa per la classificazione degli agrofarmaci biologici è largamente deficitaria e prevede controlli troppo blandi su principi attivi d’origine naturale che però possono presentare, è il caso del rotenone, tossicità elevate sia per l’uomo sia per l’ecosistema.
Nel complesso il mondo bio è fatto, come tutti gli altri comparti, di luci e ombre, anche se, in un’ottica globale di ecocompatibilità, la bilancia pende sui pro piuttosto che sui contro.

Tutto questo si può spiegare pacatamente, arrabbiandosi quando è il caso, senza però eccedere in trionfalismi o spropositi che facilmente offrono il destro ad attacchi e, a lungo andare, possono portare anche a perdere la faccia.
Un esempio? Eccolo…

“E' una crisi – ha affermato il Presidente Aiab Ferrante, a proposito della crisi alimentare - alimentata dalla speculazione finanziaria figlia di un modello agroindustriale insostenibile, totalmente dipendente dal petrolio. Gli aumenti petroliferi, infatti, hanno reso evidente in tutto il mondo che questo modello, così come quello che spaccia gli Ogm come soluzione per la fame nel mondo, è assolutamente inattuabile. L'agricoltura bio, familiare, tesa a legare il consumo al territorio, è oggi l'unica risposta che può permettere al mondo di uscire dalla crisi alimentare.”

Tale dichiarazione contiene in sé molteplici contraddizioni, oltre ad almeno una evidente forzatura.

Le principali derrate alimentari, le cosiddette commodities, si scambiano sui mercati nazionali e internazionali da ben prima che l’agricoltura si industrializzasse. Se la speculazione finanziaria non si è occupata per molti anni, se non marginalmente, del settore primario è perché l’offerta è stata ben superiore alla domanda. Eventuali manovre speculative venivano contenute immettendo quantità pressoché illimitate di cibo, grazie a giganteschi stock sotto il controllo dei governi. Da qualche anno a questa parte l’equilibrio si è spezzato, l’offerta non è più superiore alla domanda e, nel frattempo, gli stock, per contenere gli aumenti dei prezzi, sono stati notevolmente ridotti. La speculazione ha potuto innescarsi solo dopo che la crisi alimentare ha iniziato a manifestare i suoi sintomi.

L’agricoltura biologica consuma petrolio. Gli input energetici richiesti da una coltura bio, a parità di Plv, non si scostano molto da quelli di una coltura integrata o convenzionale, almeno restando in ambito europeo. Il vantaggio del bio è che non tutta l’energia immessa viene dispersa o consumata, parte viene “assimilata” dal sistema (incremento fertilità del suolo…) dando così luogo, in genere, a un saldo positivo nel bilancio energetico. L’agricoltura bio, per dirla in altri termini, è esposta quanto quella convenzionale agli aumenti del petrolio e ne risente in egual misura.

L’agricoltura bio è “familiare”, “tesa a legare il consumo al territorio”. Davvero? L’agricoltura bio si può fare solo nell’orticello sotto casa? E le grandi aziende bio? Un’eccezione? Oppure Ferrante vorrebbe insinuare che non sono poi tanto bio? Il fatto che il biologico tenda a legare il consumo al territorio è clamorosamente smentito dai dati. L’Italia, a fronte di superfici investite a biologico di tutto rispetto, ben sopra la media europea, ha consumi alimentari di prodotti bio ancora bassi, sotto la media europea, e il nostro Paese è tra i maggiori esportatori di prodotti biologici al mondo. Invertire questo trend è forse un auspicio, non una realtà, come invece farebbe presumere Ferrante.

Poche righe la dichiarazione di Ferrante, eppure ha prestato il fianco a più di una critica, seppur benevola.
Quanti danni può provocare in mano all’organizzata, strutturata e danarosa schiera dei detrattori del biologico?

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