Editoriali

VIRTU' DEL LIBERO MERCATO

01 settembre 2007 | Ernesto Vania

Opsss…
Questo devono aver pensato, e forse detto, i politici, i governanti e gli strateghi di questo mondo globalizzato di fronte all’aumento vertiginoso delle quotazioni di alcune commodities.
Apparentemente sono stati colti completamente alla sprovvista, con le braghe calate.
Abbiamo scoperto così che il re è nudo.
Ritengo infatti che sarebbe stato quanto meno sconsiderato lasciarsi andare a dichiarazioni che spronavano all’abbandono delle campagne, quale quelle della commissaria Fischer Boel che invitata gli agricoltori a trovarsi un nuovo lavoro, a pochi mesi da una crisi prezzi di così vaste proporzioni e con tali gravi ripercussioni.
La verità è che purtroppo i nostri governanti, almeno quelli di tutto il mondo occidentale, inseguivano una chimera, ovvero un sogno: la possibilità di assoggettare l’agricoltura alle regole del libero mercato, alla legge della domanda e dell’offerta, assolutamente convinti che l’offerta di cibo avrebbe sempre superato abbondantemente la domanda, tenendo basse le quotazioni delle principali derrate alimentari.
Il migliore tenore di vita di centinaia di milioni di persone in Cina e India, la politica di incentivazione dei biocarburanti ha modificato radicalmente questo idilliaco scenario.
Teatro Naturale, va dato atto di queste coraggiose prese di posizione controcorrente, ha invece sempre invocato un maggiore controllo, attraverso il sistema degli aiuti, la famigerata Pac, sull’agricoltura.
Siamo stati accusati di essere beceri nostalgici, di non guardare al futuro, di esserci arroccati su posizioni di puro conservazionismo, di mantenimento di anacronistici privilegi, quando in realtà volevamo soltanto che la politica, gli Stati e l’Unione europea controllassero da vicino l’economia agricola e le sue dinamiche, potendole influenzare, così agendo anche sui prezzi dei prodotti agricoli.
Solo attraverso il mantenimento di un diffuso e consistente tessuto agricolo è pensabile infatti avviare politiche rurali che possano avere impatti in tempi brevi. Nel momento in cui i contadini scappassero dalle campagne, come effettivamente oggi sta accadendo, sarebbe molto più problematico dar corso a iniziative che abbiano effetto nel medio breve periodo, e, vista la scarsa lungimiranza della nostra classe dirigente, è necessario disporre di flessibilità d’azione, perché gli interventi possano dare i frutti sperati in tempi rapidissimi.
Perché le quotazioni delle principali derrate alimentari tornino sui livelli abituali occorre produrre di più, occorre quindi che ci siano agricoltori da indirizzare e a cui “consigliare” cosa seminare o piantare.
Se si lasciasse operare il libero mercato, lasciando a ciascun imprenditore agricolo la decisione su cosa e quando seminare, avremmo inevitabilmente impennate delle quotazioni, seguite da ribassi irrefrenabili, avremmo speculazioni e probabilmente gravi problemi d’ordine economico e sociale.
In Italia, Paese ricco, l’ipotesi di un aumento nell’ordine del 5-7% di pasta e pane ha messo le associazioni dei consumatori sul piede di guerra, ha fatto convocare una riunione d’emergenza di parte del Governo, ha scatenato un pandemonio sui mass media. Eppure si trattava di un incremento di spesa massimo di 300 euro su base annua per famiglia. Cosa accadrebbe in Paesi poveri, di fronte a questo saliscendi dei prezzi? Potrebbe una famiglia di un Paese sottosviluppato permettersi di far mangiare i propri figli a mesi o ad anni alterni?
In realtà l’agricoltura non può essere assoggettata completamente alla logica del libero mercato, che ha molte virtù, ma anche qualche limite. Si dimentica spesso che uno dei postulati fondamentali del liberismo è che le risorse siano infinite, ovvero che non vi sia alcun limite alla produzione e alla produttività, permettendo così all’offerta di crescere in equilibrio con la domanda.
Un principio che però si scontra di fronte alla limitatezza delle risorse primarie, energetiche e alimentari.
Come i prezzi del petrolio stanno salendo alle stelle in virtù dell’esaurimento di questa fonte di energia, così anche la risorsa cibo può divenire insufficiente per il mantenimento, rispetto agli attuali standard consumistici del mondo occidentali, della popolazione mondiale in ragione della limitatezza della risorsa terra.
Il suolo arabile, le superfici coltivabili non sono infinite, anzi.
Così come nessuno si scandalizza per l’esistenza dell’Opec (organizzazione che riunisce i principali Paesi produttori di petrolio) che gestiscono questa risorsa, aumentando o diminuendo l’estrazione del greggio, influendo così sulle quotazioni, non vedo perché ci si dovrebbe scandalizzare se un simile futuribile ente, o più d’uno, controllasse, attraverso un diverso sistema, basato su incentivi e disincentivi, la risorsa terra e le produzioni ottenibili, calmierando, quando ve ne fosse la necessità le quotazioni, oppure, viceversa, facendo salire il prezzo nel caso fosse insufficiente ad una giusta redditività per l’agricoltore.
Libero mercato sì, ma con giudizio.

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