Editoriali

Il panel boccia un terzo degli oli extra vergini di oliva analizzati da Altroconsumo

Il panel boccia un terzo degli oli extra vergini di oliva analizzati da Altroconsumo

Su trenta campioni analizzati dalla rivista dei consumatori, undici sono stati declassati a vergine dalla prova organolettica effettuata da laboratori accreditati. E scoppia una nuova guerra commerciale

25 novembre 2021 | Alberto Grimelli

Metà degli oli extra vergini di oliva in commercio non sono tali, anzi no, si tratta di un terzo.
A seconda delle fonti cambia la proporzione, non il risultato.

Secondo le analisi effettuate da Altroconsumo undici dei trenta oli analizzati non potrebbero fregiarsi della denominazione di vendita olio extra vergine di oliva, essendo stati bocciati al panel test e declassati a vergine di oliva.
La rivista, prima di illustrare nel dettaglio i risultati, precisa che alle analisi chimiche tutti gli oli sono conformi alla categoria extra vergine e che le aziende che imbottigliano i marchi bocciati hanno controreplicato portando referti analitici di panel test che promuovono i loro oli.
Insomma si tratta del solito ritornello e gioco delle parti sull'oggettività del panel test, sulla sua validità e su quanto gira intorno al panel, dal campionamento alle controanalisi.
Sette le aziende finite nel mirino di Altroconsumo: Costa d'Oro, Bertolli/Sasso, Mataluni/Dante, Coricelli, Lidl/Primadonna, Oleificio Viola, Carrefour.
Tra i promossi invece figurano Carapelli, Monini, Clemente, De Santis, Eurospin, Conad, De Cecco, Farchioni, Zucchi, Coop, Carli, Sagra/Filippo Berio.

Alcuni dei nomi bocciati da Altroconsumo sono stati promossi, qualche mese fa, da Il Salvagente e il contrario.
E' quindi semplice puntare l'indice contro l'inaffidabilità del panel test, se non fosse che gli operatori sanno che vi possono essere fortissime differenze qualitative, anche per gli stessi marchi e le stesse bottiglie, a seconda dei lotti.
Un lotto creato per un'offerta speciale, un 3x2, non avrà la stessa qualità della stessa bottiglia, stesso marchio, proposta a prezzo pieno. Si tratta di un fatto che ben poche aziende ammetteranno pubblicamente ma è la realtà commerciale oggi. Per uscire con prezzi competitivi, spesso imposti dalla Grande Distribuzione, bisogna ricorrere ad alcuni trucchetti, alcuni legali e altri no, che hanno però un impatto reale sulla qualità.
La miscela di olio vergine e olio extra vergine di oliva, prassi lecita, consiste nel mischiare due categorie commerciali diverse, con prezzi all'ingrosso che differiscono di 20-30 centesimi, per ottenere che il prodotto in bottiglia rispetti le regole stabilite per la categoria commerciale superiore. Più olio vergine si riesce a inserire nella “ricetta” più il prezzo a scaffale sarà competitivo.
La seconda pratica è invece illecita e consiste nell'acquisto di olio deodorato, una classificazione commerciale ad oggi inesistente, ma che corrisponde a un olio rettificato per eliminare proprio quei difetti organolettici che altrimenti il panel test scoprirebbe. Qualsiasi rettificazione sull'olio uscita dal frantoio non ne consente più la classificazione come olio vergine di oliva e dovrebbe essere venduto come semplice olio di oliva. Si deodorano, quindi, oli vergini o anche lampanti (inadatti al consumo umano) per venderli poi come extra vergini. Una frode commerciale bella e buona, come tale reato perseguibile dal codice penale.
Nel tempo, entrambe queste miscele tendono a peggiorare qualitativamente, e i difetti emergere.
In entrambi i casi si tratta di pratiche e dinamiche conosciute da 15-20 anni da tutto il comparto olivicolo-oleario e mai risolte. Per questo, ciclicamente, come le maree, appaiono le inchieste che semplicemente smascherano un malcostume ormai diffusissimo, direi quotidiano.

Insomma, l'inchiesta Altroconsumo, per quanto meritoria, meriterebbe solo un trafiletto se non fosse per le fibrillazioni che ne stanno seguendo, al pari di quelle de Il Salvagente a maggio.
I vari marchi, infatti, stanno utilizzando i risultati di queste inchieste a fini commerciali, con lettere e controlettere ai buyer della Grande Distribuzione.
E questo segna una novità nel comparto.
Se, fino a qualche anno fa, industriali e commercianti additavano giornali e giornalisti rei di ficcare il naso in cose olearie come ignoranti manigoldi, ora il tiro si è spostato, avviando vere e proprie guerre commerciali per ottenere un maggiore spazio a scaffale, un guadagno nelle quote di mercato, un po' di visibilità in più.
Il mondo dell'industria e del commercio non è più granitico.
Intendiamoci, i giornalisti restano comunque brutti, sporchi e cattivi, ma se c'è da guadagnarci si fa anche lo sgambetto al collega.
E' il mercato libero bellezza, anzi il Far West. Quello che commercianti e industriali hanno voluto e costruito.
Chi è causa del proprio male pianga se stesso.

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Danilo Scatizzi

30 novembre 2021 ore 16:41

Ma come sono bravi quelli di Eurospin a vendere "olio evo 100% Italiano Biologico"a eu. 6,38/lt. Per favore non prendeteci in giro.

giampaolo sodano

28 novembre 2021 ore 16:07

Caro Alberto siamo alle solite note. Purtroppo non è uno spartito musicale. Leggendo il tuo pezzo mi è sembrato di tornare indietro di 10 anni. Sono certo che continuare su questa strada non serve a nulla. E allora? Che fare? Dovremmo promuovere una class action con CODICI.
Post scriptum. Leggere l'aggettivo buono o addirittura ottimo vicino a certi marchi mi ha fatto sentire un brivido nella schiena! Alberto tu come ti senti? Alberto hai notato i prezzi! Non li ho mai visti sugli scaffali dei supermercati se non tagliati del 50%. Un litro di fantastico Olio Cuore che non fa sconti e costa più di 4 euro e che in etichetta può scrivere ciò che vuole sembra più affidabile di questi grassi in bottiglia di vetro cosiddetti extravergini.
Se gli extravergini che Altroconsumo ha preso dagli scaffali erano destinati ai clienti del supermercato il problema non è quello di fare le classifiche ma di scrivere denunce per frode in commercio. Oppure se si vuole salvare il salvabile del buon nome di note famiglie olearie dedite all’imbottigliamento bisogna scrivere logo e indirizzo del frantoio dove quell’olio è stato prodotto e stoccato. E in tutto questo qual è il ruolo della politica e dei dirigenti del MIPAF?
In definitiva, caro Alberto, smettiamo di farci prendere per il naso. Non facciamo da megafono a questi giochi di ruolo. Se vogliamo dare vera sostanza alla nostra battaglia di sempre in difesa dei diritti del consumatore dobbiamo mettere al centro della nostra denuncia, non le bottiglie e chi le confeziona, ma i veri responsabili del fallimento della olivicoltura italiana, ad iniziare dal ministro delle politiche agricole e dei suoi omologhi delle Regioni, per arrivare nell’ordine alla finanza, alle associazioni, agli imprenditori. Sappiamo, per lunga esperienza, che basterebbe una norma di legge, un corpo di polizia e un magistrato e tutto questo finirebbe come neve al sole.