Editoriali 10/09/2021

Solo l'assaggio per difenderci dal bestiario dei consumatori sull'olio

Solo l'assaggio per difenderci dal bestiario dei consumatori sull'olio

Si può e si deve educare quotidianamente il consumatore a comprendere le differenze tra un olio buono da uno difettoso


Pochi mesi fa, ho celebrato, senza spegnere nessuna candelina, ma con un piacevolissimo ricordo, i vent’anni della mia attività di comunicatore di olio extravergine “pulito”. Esatto, forse questo nuovo aggettivo, potrebbe essere utilizzato per far comprendere la differenza tra un olio fatto come dio comanda e un olio che, fin dalla sua creazione, possiede degli odori poco invitanti, fino a diventare oltremodo difettoso.

Mi spiego meglio: non più tardi di domenica una mia amica mi ha presentato una signora distinta e colta, che possiede da generazioni, oltre ventimila piante di olivo da cui nasce un solo tipo di olio. Mi è stato chiesto educatamente ma con fermezza, se potevo degustare l’olio della proprietaria e di darle un giudizio sincero, anche se, secondo la produttrice e l’amica, l’olio in questione era buonissimo.
Vengo al dunque, l’olio sia al naso, sia in bocca aveva un pot pourri di odori, da far invidia a una stalla di animali e in bocca era forse peggio. Con altrettanta educazione e fermezza ho scritto una mail in cui elencavo tutte le perplessità che venivano fuori da quell’olio e spiegavo che non erano difetti dovuti alle alte temperature estive o alla mal conservazione, ma erano errori fatti durante la raccolta, la frangitura e alla mancata filtrazione.

La morale di questo episodio è che in vent’anni abbiamo fatto ottimi passi per far comprendere quale sia il metodo migliore per potare, raccogliere, frangere e conservare le olive. Abbiamo scoperto i macchinari più all’avanguardia per togliere le olive senza danneggiarle dalla pianta, abbiamo introdotto le cassette in plastica più adatte, e abolito i sacchi di iuta per la conservazione. Le aziende meccaniche hanno innovato le loro tecnologie, per dare ai frantoiani macchine sempre più futuristiche e abbiamo compreso come sia importante la filtrazione prima della conservazione dell’olio in contenitori di acciaio inox sotto gas inerte.

Tutto questo è stato possibile grazie a una sempre più importante richiesta da parte del consumatore di olio di qualità, ricco di antiossidanti e perfetto per esaltare i piatti della cucina.

E’ incredibile come nonostante tutto questo sforzo, ci siano ancora tantissime persone, che non sanno riconoscere un olio buono da un olio difettoso. E questo si riscontra anche all’interno della ristorazione al momento di servire una ricetta. Questa estate siamo stati con i sommelier dell’Accademia Maestrod’olio in giro per diverse località di mare a presentare la carta degli oli, per dimostrare che se la bottiglia dell’olio, di varie regioni, viene portata al tavolo, così come è successo per il vino e il commensale alla fine della cena, può comprarsene una bottiglia, il movimento dell’olio, finalmente può ri-partire.

E’ stata una bellissima avventura, che ripeteremo senz’altro in più regioni e in più luoghi; ma quello che abbiamo riscontrato è che c’è ancora tanta ignoranza, (in senso strettamente etimologico del termine).

Non si comprende perché si preferisca un olio più delicato rispetto a uno più persistente, nonostante si stia per condire una buonissima bistecca alla brace o un tortello al ragù. Ci siamo “scervellati” per serate, ne abbiamo parlato tutti insieme, siamo arrivati fino a discutere con il cliente, senza ovviamente importunarlo, per far capire che gli oli presentati erano di eccellenza e meritavano di essere degustati all’olfatto e al gusto e magari conditi col piatto. Tante le diverse risposte errate che ci venivano fornite: dal: -“no grazie perché fa ingrassare”- al: -“non mi interessa io lo produco l’olio”-, passando al: -“l’olio è troppo acido per questo piatto-…prima ancora di assaggiarlo”.

Questo “bestiario” di risposte porta a comprendere che si può e si deve educare quotidianamente il consumatore a comprendere le differenze tra un olio buono da uno difettoso. Bisogna soltanto che, quotidianamente tutti noi, appassionati ed esperti, sommelier e ristoratori, spendiamo cinque minuti per educare e far comprendere le differenze per poter dire tra massimo vent’anni, abbiamo impiegato quasi mezzo secolo, ma siamo riusciti a far comprendere uno degli alimenti più sani e genuini che il nostro bel Paese ha a disposizione.

di Fausto Borella

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