Editoriali 11/06/2021

Basta diatribe ideologiche: dal passato ci vengono molti modernissimi presidi fitosanitari

Basta diatribe ideologiche: dal passato ci vengono molti modernissimi presidi fitosanitari

Le tradizioni non sono tutte da buttare. I macerati di ortiche, gli estratti di equiseto o alghe, dopo l'esperienza in biologico, ora sono i biostimolanti dell'agricoltura convenzionale


In questi mesi imperversano scontri epocali tra i paladini del biodinamico di una parte e della scienza dall’altra, visto che ormai tutti abbiamo appreso che al “corno-letame” (preso come simbolo di ogni pratica più disparata), non viene dato nessun contributo se non applicato all’interno dei disciplinari del biologico, ossia come prima. Cerchiamo di fare un passo avanti e chiariamo che l’obiettivo dell’agricoltore professionale è ottenere delle produzioni che siano quantitativamente utili a raggiungere la redditività aziendale e qualitativamente in linea con gli obiettivi aziendali e con gli standard di salubrità dell’alimento o bevanda che viene prodotta.

Se pensiamo che solo qualche anno fa chi facendo biologico e realizzava colture da sovescio, nulla di nuovo perché che era stato rispolverato da vecchie tradizioni, veniva guardato come un alieno, spesso accompagnato dall’accusa di andare contro il progresso. Ora, se andate in giro non sarà raro vedere vigneti con colture da sovescio e una bizzarra, quanto curiosa, consociazione con il diserbo chimico, dimostrazione lampante che anche i più recidivi utilizzatori del diserbo chimico hanno capito che la fertilità del terreno non passa solo dalla magica triade NPK, come invece si è pensato per lungo tempo, fa sorgere quindi la domanda, il sovescio è stato un progresso o un regresso?

Il biologico di base ha rispolverato tutta una serie di pratiche agronomiche che erano state sviluppate nei secoli per mantenere/incrementare la fertilità del terreno.

Addirittura qualcuno ha cominciato ad usare macerati di ortiche ed estratti di equiseto, non contenti addirittura estratti di alghe. Che retrogradi! Direte voi.

Se andate a vedere il panorama dei cosiddetti biostimolanti quanto è cresciuto, quante applicazioni ha trovato, e chi si è messo a produrli negli anni vi renderete conto, che poi, tanto un rimedio della nonna non erano. Biostimolanti che hanno talmente poco interesse che la commissione europea ha perso tempo per fare un regolamento e chiarirne la posizione: biostimolanti veri e propri, antistress, induttori di resistenza; l’unica cosa di cui ci si rende conto è che la “terza via”, come vengono chiamati i biostimolanti dopo nutrizione e difesa, sia un territorio immenso ancora tutto da esplorare e con delle potenzialità davvero interessanti proprio per produrre in modo più sostenibile.

La verità è che tanti dei prodotti venduti come miracolosi, tra i quali molti prodotti fitosanitari, in realtà i miracoli non li abbiano mai fatti, se non alle tasche di pochi. Ciò che si considerava superato è stato in realtà rispolverato e reintrodotto anche nel convenzionale. Ciò che si pensava anti-progresso in realtà è un piccolo passo della scienza nella soluzione con impatti ambientali ridotti di qualche situazione colturale problematica.

La sostenibilità ambientale di una coltura si valuta considerando la “sua impronta” complessiva, quindi qualsiasi soluzione che ci permetta di ridurre e diversificare gli input è benvenuta, anzi proprio il Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari impone l’uso dell’agricoltura integrata, una tecnica o meglio una serie di tecniche che devono permettere di avere produzioni riducendo il più possibile l’uso di prodotti fitosanitari, che non è tanto il ridurre il numero di prodotti in commercio, eventualmente la riduzione delle sostanze attive è frutto dell’applicazione del regolamento sull’etichettatura delle sostanze chimiche e il regolamento sull’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari. Uso dei prodotti fitosanitari che che come si pone, in sintonia con il PAN, anche la Politica Agricola Comune “farm to fork” è proprio l’obiettivo ambizioso di ridurne l’uso entro il 2030 del 50%, obiettivi che valgono in misura differente anche per nutrienti in generale e fertilizzanti in particolare.

Elemento che in apparenza potrebbe apparire fuori tema è la giornata mondiale della biodiversità di poche settimane fa, è stato emozionante a tratti commovente vedere come tutti, davvero nessuno escluso, ci siano prodigati, prostrati, incensati, nei confronti di mamma biodiversità, se non poi vendersi la pelle per quattro lire il giorno dopo e sperticarsi in elucubrazioni superintensivistico-spagnoleggianti, magari portando il solito esempio del tipo ma nel vino è stato fatto! Appunto, la domanda che dovremmo semmai farci è quanta biodiversità sia stata persa nel mondo del vino in nome della moda? Senza nulla togliere alle singole varietà, ad esempio avere migliaia di ettari con poche varietà per di più straniere non ha nulla di biodiverso e nulla della sua salvaguardia. La biodiversità o si realizza in campo creando “ecosistemi colturali” con un maggior numero di varietà e specie possibile, oppure è solo fumo per darsi una faccia da buonisti il giorno della festa.

Progresso non vuol dire ribaltare ogni volta le cose ma adeguare a ciò che di nuovo si conosce ciò che prima si faceva; migliorare, ottimizzare, aggiustare il tiro. La scienza in campo biologico, come tutto dovremmo sapere, non è una scienza esatta ed è frutto di un continuo adeguamento ed approfondimento delle conoscenze.
Tutti parlano di scienza ma pochi conoscono i “modelli previsionali” per stimare fasi degli insetti o infestazioni fungine, che dove sono stati sviluppati funzionano molto bene e danno un supporto concreto al tecnico ed all’agricoltore, alcuni vi diranno che sono pochi, come mi disse un ricercatore, in quel caso è il caso di investirci denari e tempo, no?

A questo punto sorge quasi spontanea la domanda se il progresso e la tutela della biodiversità siano in antitesi o sinergia?

La biodiversità, prima di tutto conoscendola più a fondo possibile, può essere un grande strumento di riduzione degli input in quanto varietà più adatte all’area pedoclimatico (in un contesto di corrette pratiche agronomiche) necessitano di meno interventi, quindi anche minori costi, enfatizzando la caratterizzazione del prodotto con ambiente e territorio, come riportatoa nceh dalle strategie per la biodiviersità della PAC stessa.

Altro aspetto può essere la biodiversità in relazione ai cambiamenti climatici che, se gestita bene, può essere un valore aggiunto per avere meno problemi. Attenzione però al vedere in funzione dei cambiamenti climatici, ad esempio, solo un ampliamento delle aree di coltivazione di molte colture, direi di approcciare l’argomento con molta accortezza perché “cambiamento climatico” non vuol dire solo aumento delle temperature, ma di base eventi climatici più estremi; ad esempio come avvenuto in centro Italia con ritorni di freddo tardivi, in cui imprenditori delle aree interne della Toscana si sono visti compromessa la produzione e in altri casi interi oliveti di pochi anni di età.

Secondo PAN e PAC l’obbiettivo principale per il futuro, e da un punto di vista aziendale anche per il contenimento dei costi di produzione, sarà usare meno “mezzi tecnici” possibile ed in modo più preciso possibile, quindi avremo bisogno di ogni tecnica e di ogni idea, compresa e valutata approfonditamente con un approccio tecnico-scientifico, da applicare al meglio nelle situazioni più idonee. Quindi il connubio tradizione, ricerca indipendente e biodiversità possono, e potranno essere, una sinergia positiva per ridurre molti problemi dell’agricoltura in generale e dell’olivicoltura in particolare.

di Angelo Bo

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