Editoriali 14/05/2021

Il futuro dei frantoiani italiani e del comparto olivicolo si gioca nei prossimi mesi

Il futuro dei frantoiani italiani e del comparto olivicolo si gioca nei prossimi mesi

Va sostenuta la funzione produttiva a cui assolvono i frantoi oleari e va intrapresa la strada del rinnovamento tecnologico e della produzione di oli di alta qualità che valorizzano biodiversità e rispetto dell’ambiente, oltre a garantire la salute dei consumatori. E' ora che i frantoiani italiani italiani raccolgano la sfida prima che sia tardi


Il dovere della memoria riguarda tutti, nessuno escluso. Assistiamo oggi, spesso sgomenti, ai segni evidenti di una progressiva perdita della memoria collettiva” ha detto il Presidente del Consiglio Mario Draghi. Fare memoria non è un ritorno al passato, né nostalgia del tempo trascorso. Ognuno di noi è il risultato delle esperienze che ha vissuto, dei valori a cui ha ispirato la sua vita e il suo lavoro. Ogni impresa, come ogni associazione, è testimone e protagonista del suo tempo.

La pandemia ha cambiato il senso del futuro, un tempo ignoto e senza certezze, ma ci ha insegnato che la vita è un eroismo piccolo e semplice. Dobbiamo avere fiducia in noi stessi e negli altri, aprire i nostri orizzonti, ancorarci a qualcosa che conosciamo, ad una memoria che ci fa tornare il sorriso, difronte ad una realtà che pone interrogativi a cui non sappiamo dare una risposta. La memoria del percorso che abbiamo fatto ci servirà per tracciare la strada su cui incamminarsi.

Tra pochi giorni si terrà il congresso nazionale dell’AIFO, la più autorevole e autonoma organizzazione delle imprese olearie artigiane. Negli annali del Ministero delle politiche agricole e forestali si può trovare il certificato di nascita: nome, associazione italiana frantoiani oleari, nata a Roma il 16 settembre 1996, da Piero Gonnelli e soci. Non aveva ancora compiuto 10 anni, il 9 febbraio 2006 ottiene il riconoscimento di “ORGANIZZAZIONE DI OPERATORI DEL SETTORE OLEARIO”. Un anno dopo il 29 marzo 2007, tiene a Salerno il suo primo congresso nazionale. L’assemblea dei delegati approvò un documento programmatico per lo sviluppo dell’impresa frantoio. Sicurezza alimentare, tutela del consumatore, corretta alimentazione, lotta alle sofisticazioni erano i temi all’ordine del giorno. Il potenziamento dell’attività e del ruolo dei frantoiani, si legge nel documento, rappresenta il più concreto mezzo per dare competitività all’offerta ed ottenere il giusto riconoscimento dalla domanda.

Correva l’anno 2013. L’AIFO convoca il suo congresso a Sorrento e lancia il progetto dell’olio artigianale. Il professor Mario Pacelli, membro indipendente del consiglio nazionale dell’associazione, mette la sua esperienza giuridica al servizio di questa idea. Un anno dopo il consiglio regionale della Puglia approva la proposta di legge “Norme sull’impresa olearia” firmata dal deputato Donato Pentassuglia, è il 24 marzo 2014. All'articolo 1 sancisce che l'impresa olearia è l'unità produttiva artigiana in cui si procede all'estrazione dell'olio dalle olive in conformità alle normative vigenti e in particolare a quelle relative all'igiene degli alimenti alla sicurezza del lavoro e alla tutela dell'ambiente al fine di fornire le necessarie informazioni sull'identità, la qualità e la tracciabilità del prodotto. La stessa legge all'articolo 2 stabilisce che il mastro oleario coordina la fase di molitura, la fase di confezionamento, la gestione l'utilizzo e lo smaltimento dei sottoprodotti della lavorazione. All’articolo 4 si istituisce l’albo professionale dei mastri oleari. Perché è importante? Il know-how, la competenza professionale, a livello europeo è definito dal regolamento CE numero 2790/1999. Un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti dalla esperienza. Ciò significa che questo insieme di conoscenze e di abilità operative è fondamentale per la produzione di un determinato bene. Una esperienza che ha carattere di segretezza e di sostanzialità. Ciò vuol dire che il mastro oleario non è un operaio, non compie un lavoro manuale, è l'artefice dell'olio. Il mastro oleario sa che il processo attraverso cui le olive si trasformano in olio non è un mero processo di estrazione. Il valore dell'olio non risiede solo nella materia prima di cui è composto: accanto agli aspetti tangibili e materiali c'è il saper fare di tradizione millenaria, l'insieme di creatività, cultura, innovazione tecnologica che portano la materia prima a trasformarsi in un prodotto​ finito.

Questi sono stati due passaggi fondamentali nella storia di questa associazione, oltre quanto è stato fatto in termini di elaborazione per la legge “salva olio” dell’on.le Mongello o per la produzione di documenti e testi che hanno arricchito la cultura di settore. Tocca ora agli imprenditori AIFO riuniti a congresso affermare ancora una volta il ruolo autonomo dell’impresa artigiana olearia e la funzione professionale dei mastri oleari ma da un diverso punto di vista, intervenendo sul governo per una attenta valutazione, e realizzazione degli interventi previsti nel capitolo del recovery plan sulla trasformazione dei prodotti agricoli e razionalizzazione della normativa di filiera. La fase nuova che si apre difronte al Congresso richiede che la classe dirigente che sarà chiamata a gestire l’associazione sappia darsi gli strumenti idonei alla sfida culturale ed economica che ci attende: non sarà sufficiente rivendicare quanto di positivo è stato fatto lungo i venticinque anni trascorsi, ma bisognerà pensare ad una riforma radicale dell’associazione, della sua organizzazione sul territorio e di un assetto centrale capace di elaborare strategie di lungo periodo individuando strumenti operativi idonei ad un lavoro di ricerca e progettazione.

Alla luce di quanto è cambiato negli anni recenti nei rapporti tra gli attori del mondo dell’olio è di fronte ai congressisti il compito di indicare quali nuove alleanze l’Aifo deve promuovere. Non è più tempo di liti da portineria, piuttosto la ricerca del massimo di unità possibile tra le associazioni imprenditoriali, ad iniziare dalle interprofessioni. Il regolamento Ue 1308/2013 prevede che possa essere riconosciuta un’unica interprofessione per ogni Stato. In Italia ne abbiamo due: il Consorzio extra vergine di qualità (Ceq) e la Filiera Olivicolo Olearia Italiana (Fooi). È quindi evidente e necessario costruire un tavolo a cui sedersi per ricercare un ragionevole accordo. Di tutto abbiamo bisogno meno che un nuovo scontro nel mondo dell’olio.

1. L'olio extravergine di oliva 100% italiano è a rischio estinzione.

L’hanno denunciato fin dal 2016 tutte le associazioni dei produttori, e anche l’ultima campagna è stata un disastro: secondo calcoli elaborati da Ismea e Unaprol, la produzione della campagna 2020-21 è stata di 255 mila tonnellate, con una riduzione del 30% sull’anno precedente. I mutamenti climatici, così come la xilella, rischiano di produrre un mutamento nella coltivazione dell’olivo sino a determinarne in alcune zone del centronord la scomparsa: è necessario e urgente creare nuovi insediamenti olivicoli. La crisi non è soltanto agricola ed economica per cui il mondo dell’olio, di fronte all’aggressione di un capitalismo cheap europeo e cinese deve difendere il patrimonio delle imprese italiane parte della nostra identità nazionale e chiedere al governo di destinare risorse significative per incentivare imprenditori italiani e fondi di private equity ad investire in olivicoltura e nella produzione di olio italiano.

Servono alberi, tanti, tantissimi ulivi e subito. Ancora una volta il passaggio decisivo è la ricerca: il CNR deve riprendere il suo lavoro dove il professor Fontanazza lo ha interrotto, miglioramento genetico delle cultivar italiane per una olivicoltura intensiva. Ma la ricerca non può essere una prerogativa riservata allo Stato: tutti e in tutte le sedi parlano di mutamenti climatici e di eventi straordinari che per gli olivicoltori significano gelate e xilella. Come si risponder a tutto ciò? Abbiamo bisogno di nuove varietà che nascano resistenti al gelo e ai batteri. Esistono dei sistemi per il miglioramento genetico (Genoma editing, Cisgenesi che non si devono assolutamente confondere con i più famosi OGM) ad oggi bloccati dalla burocrazia che, permetterebbero alle aziende ed ai ricercatori di ridurre il tempo di perfezionamento di nuove varietà a pochi anni, se non pochi mesi, contro le decine ad oggi necessarie. Inoltre se nell’orizzonte delle imprese olivicole e olearie c’è lo sviluppo del biologico e il rispetto della biodiversità ottenere nuove e più resistenti (e performanti) varietà partendo dal nostro patrimonio varietale andrebbe incentivato. Come? Le imprese potrebbero associarsi per acquisire un brevetto per cultivar resistenti allo stress climatico e agli agenti patogeni. Facciamo un esempio: il consorzio dei frantoi artigiani (FAPI) potrebbe, associato ad un istituto di ricerca, alla università di Bari, realizzare la cultivar in questione, per poi sottoporre gli studi agli organi competenti ed ottenere il brevetto. L’ostacolo è il tempo che in generale ci vuole per raggiungere questo obbiettivo ed in particolare quello necessario per ottenere le autorizzazioni pubbliche per il conseguimento del brevetto. Ma il vero più grande ostacolo è una politica che diffida della ricerca e della sperimentazione: tornano alla mente Pecoraro Scanio e Gianni Alemanno due ex ministri dell’agricoltura che hanno sulla coscienza la distruzione dei risultati di una ricerca che si poteva anche non condividere, ma vietare la ricerca in quanto tale è roba da manicomio e seppure sono passati molti anni nessun ministro dopo di loro ha avuto il coraggio di contraddire quella scelta. Se avessero consentito al professor Eddo Rugini, dell’Università della Tuscia, di portare a termine il suo lavoro sugli ulivi forse oggi una soluzione l’avremmo. A voler essere pragmatici si potrebbe iniziare con il modificare la normativa esistente intervenendo sul disegno di legge in discussione alla Camera dei deputati per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, introducendo la possibilità per gli imprenditori di fare ricerca per il miglioramento genetico delle piante.

Poi va sostenuta la funzione produttiva a cui assolvono i frantoi oleari e va intrapresa la strada del rinnovamento tecnologico e della produzione di oli di alta qualità che valorizzano biodiversità e rispetto dell’ambiente, oltre a garantire la salute dei consumatori. E’ necessario che l’olio artigianale non sia relegato in una nicchia del mercato: sugli scaffali della grande distribuzione l’extravergine dei frantoi deve avere un posizionamento distintivo, così come deve essere distinto lo scaffale degli oli comunitari ed extra o quello degli oli di semi, in modo da garantire al consumatore la possibilità di scegliere in modo semplice e consapevole.

Un obiettivo che si iscrive nella più generale azione di tutela del cibo artigianale. La politica dei prezzi bassi è un fattore di rischio per la salute viste le sostanze chimiche utilizzate nei processi di produzione.

È online sul sito del Mipaaf (ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali) il Report 2020 dell’attività operativa dell’Ispettorato centrale repressione frodi (Icqrf) contro contraffazioni e frodi ai danni dei consumatori: si tratta di oltre 70 mila controlli. Il bilancio è di 22 milioni di kg di merce sequestrata, per un valore di oltre 21 milioni di euro. Dati che confermano come la qualità dei nostri alimenti sia salvaguardata da un efficace sistema di supervisione. I controlli hanno riguardato per oltre il 90% i prodotti alimentari: nel settore vinicolo, ad esempio, il problema maggiore riguarda la commercializzazione fraudolenta di vini Dop e Igp, come pure il ritrovamento di residui di fitofarmaci in vini classificati biologici, mentre nel comparto oleario i principali problemi hanno riguardato la presenza di oli extravergini di categoria inferiore.

La pandemia non ha fermato l’invasione di olio straniero in Italia con gli arrivi che hanno superato le 700 milioni di bottiglie sugli scaffali dei supermercati”, ha denunciato la Coldiretti. “L'imbarbarimento sta nelle locandine della Grande Distribuzione - ha osservato il direttore di Teatro Naturale - dove l'extra vergine campeggia sempre come prodotto civetta a prezzi incredibili, arrivando a toccare il minimo storico, qualche settimana fa di 1,99 euro al litro (Ciò a fronte di un continuo rialzo dei prezzi dell’olio su tutti i mercati: italiano € 4,85 Greco € 3,50 Andaluso Picual € 3,50 Tunisino € 3,25 ndr). Tutti gli operatori del settore sanno come vengono costruite certe operazioni promozionali, sono prassi consolidate, basta una ricerca tra le sentenze giudiziarie per farsi una “cultura” in proposito” o leggere certi resoconti parlamentari sulle gare dell’Agea per l’olio ai poveri, per non parlare del pomodoro con l’ultima inchiesta su Petti.

2. Per una piattaforma unitaria politico-programmatica

Se abbiamo sbagliato tutto in questi anni, questa è la premessa del libro di Maurizio Pescari, occorre cominciare da capo e per ricominciare bisogna scavare nel profondo di noi, prima di spiegarlo agli altri” (L’olio e gli altri ingredienti della nostra vita. Rubettino editore € 13,30). Ciò vuol dire che per andare avanti sulla strada dello sviluppo non possiamo ricorrere soltanto alla buona memoria e “sperare” in un ritorno alla cosiddetta normalità; si deve avere la capacità di mettere in campo idee originali e progetti innovativi a partire dalla ricerca, il codice dei prodotti alimentari, etichette che descrivono il processo di produzione con ingredienti e additivi, un mercato distinto del cibo artigianale, la valorizzazione dei Mastri Oleari, ma soprattutto investimenti in impianti olivicoli di grandi dimensioni. In definitiva tutto ciò che può servire al valore dell’olio italiano senza perdere tempo in polemiche per le quali spesso i protagonisti hanno “zero tituli”.

L’AIFO nei suoi vent’anni di storia ha costantemente promosso l’alleanza con gli agricoltori e i consumatori ricercando rapporti nuovi tra produttori e distributori per creare un mercato trasparente, per una premium price della filiera di qualità. Un obiettivo ambizioso che non potrà mai essere raggiunto se non avrà il consenso di tutto il mondo dell’olio italiano, senza pregiudiziali nei confronti di nessuno. Un obiettivo che potrà essere raggiunto solo se, da una parte, la Grande Distribuzione sarà capace di rinunciare a pratiche commerciali come per esempio il sottocosto e, dall’altra, le imprese che confezionano miscele di oli prodotti all’estero si daranno regole stringenti su qualità e prezzi al pubblico. Non si può che essere d’accordo con Alberto Grimelli quando afferma che “tra produzione e commercio, l'ago della bilancia” deve pendere dalla parte della produzione, anche se tutti sanno che nel mondo dei 4000 frantoi oleari e delle aziende olivicole ci sono molte zone d’ombra.

Per cui non si può “non vedere che il sistema che ha retto questo comparto per cinquant'anni, non regge più”, per concludere “Occorre una grande operazione verità e trasparenza nel comparto olivicolo-oleario del nostro Paese”. Giusto, ha ragione Grimelli, ma non è sufficiente. Qualche domanda dobbiamo farcela: se le imprese d’imbottigliamento fossero solide e profittevoli per quale motivo c’è una corsa a venderle al primo offerente? Chi decide che l’olio è il gadget e che il prezzo è sottocosto?

Perché quando si scopre che un prodotto sullo scaffale è una frode il colpevole è esclusivamente il produttore? Abbiamo due buone leggi sull’impresa di produzione olearia e sull’olio italiano, manca una normativa stringente su commercio e distribuzione degli oli d’oliva esteri che eviti il pericolo che questo prodotto da campagna promozionale diventi un affare per il monopoli della finanza europea e asiatica. Con buona pace del made in Italy.

In questa situazione l’AIFO deve uscire dalla propria singola “zona comfort” per giocare una partita tutta nuova con tutte le squadre che partecipano al campionato. Ogni squadra ha la sua storia, la sua strategia, il suo prodotto ma ognuno dei giocatori può trovare ragioni e valori di una maggiore e più qualificata crescita. Non è più tempo di trucchi e truffe, di etichette ingannevoli, di prezzi bassi che non permettono alle aziende di crescere ma solo, forse, di sopravvivere. Uno schieramento capace di dialogare con i consumatori, con la Grande Distribuzione, con l’Europa, che intraprenda studi, ricerche e progetti comuni per salvare un prodotto ormai in estinzione. Il mercato è grande, aperto: olio italiano, europeo, extra europeo ma sempre olio dalle olive extra vergine o vergine se dichiarato e provato che sia tale. Qualità, tecnologia, etica sono gli strumenti per vincere. Su questa base il congresso dei frantoiani rivolga un invito alle due interprofessioni e alle associazioni del commercio per elaborare una comune piattaforma politico-programmatica chiedendo ai ministri competenti di istituire un sistema strutturato di negoziazione per interventi a favore della filiera olearia e dello sviluppo tecnologico nel quadro delle politiche della transizione ecologica. Ci sono grandi temi del recovery plan che il Ministero dovrà gestire (con una dotazione di 70 miliardi) che possono avere una ricaduta sul settore agrifood come, ad esempio, gli interventi contemplati nella Missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura) in cui il sostegno alla trasformazione digitale, con particolare riferimento ai processi produttivi e alle politiche di filiera, ha certamente un impatto sul settore agricolo e della trasformazione. Così come con Missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica) il Piano interviene direttamente nel comparto agroalimentare legando gli obiettivi di economia circolare alla piena sostenibilità delle filiere del cibo, in linea con la strategia europea “dal produttore al consumatore”. Una strategia che richiede un salto di qualità nella cultura degli imprenditori dell’agroalimentare.

Non c’è nulla dell’esistente che valga la pena di conservare mentre ci sono le condizioni e tante buone ragioni per cambiare. Sarà possibile così aprire una nuova stagione dell’olio italiano e in un quadro di riforme di medio e lungo periodo garantire alle imprese olivicolo/olearie di mettere al centro dei nuovi modelli di produzione e consumo il benessere e la salute dei cittadini e per quanto più direttamente interessa le aziende aderenti ad AIFO la concreta possibilità, per chi entra ogni giorno in un negozio, di scegliere sullo scaffale ciò che è buono, sano e nutriente: l’olio extravergine d’oliva artigianale.

di Giampaolo Sodano

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Commenti 1

demetrio Bernabini
demetrio Bernabini
16 maggio 2021 ore 14:09

Giampaolo l'articolo è bello e tocca tanti punti ma la strada per tutelare il comparto è solo una ovvero eliminare dagli scaffali i tanti oli non extravergini che vengono spacciati come tali con un sistema di controlli più efficaci. Una volta messi questi paletti le multinazionali saranno costrette ad aumentare la qualità e di conseguenza i costi, infine i prezzi... sul discorso ricerca penso che sia importantissimo arrivare a mappare il genoma olivicolo per sapere quali cultivar (e già ne abbiamo più che a sufficienza) siano più adatte a combattere una piuttosto che l'altra patologia, senza considerare che investire in ricerca potrebbe portarci a soluzioni a cui per ora non abbiamo neanche pensato o preso in considerazione ad esempio nella lotta alla xylella. Sulla ricerca di varietà più adatte al superintensivo bisogna smettere di nascondersi dietro un dito, ovvero dire con chiarezza all'opinione pubblica che questo tipo di coltivazione è meno ecosostenibile, in primis perché una così alta densità di piante richiede più trattamenti (in particolare per le malattie fungine) quindi maggiore rilascio di sostanze dannose all'ambiente sia per il trattamento in se, sia per il movimento dei mezzi; seconda cosa un ettaro di oliveto a superintensivo consuma molta meno co2 di uno tradizionale e considerando che il superintensivo produce anche meno per ettaro la differenza di ecosostenibilità aumenta all'ennesima potenza...concludo dicendo che dobbiamo tener presente che l'Europa e tutti i cittadini europei ci chiedono un'economia più ecosostenibile, andare nella direzione opposta penso sarebbe un'autogol...