Editoriali

OCCIDENTALI AFFAMATORI

21 aprile 2007 | Alberto Grimelli

Noi occidentali rischiamo seriamente di passare per affamatori.
Non è questione che attiene alle trattative in seno al Wto sui dazi doganali delle derrate alimentari né, tanto meno, sulle restrizioni e sugli embarghi che affliggono le popolazioni di alcune Nazioni nel mondo.
La ragione è fondamentalmente collegata alla globalizzazione, al collegamento fra le varie economie. E' quindi subdola anche se di assai facile comprensione.
I Paesi ricchi, i Paesi occidentali, Usa in testa seguiti a ruota dall’Europa, stanno acquistando masse consistenti di alcuni prodotti agricoli, in quantità assai più rilevanti rispetto agli anni passati.
Mais e semi oleosi vanno a ruba e il loro prezzo, nelle borse merci in alcune aree geografiche depresse o sottosviluppate, sta salendo a ritmi sostenuti, con nefaste conseguenze per le popolazioni locali, come, tra l’altro, ha ravvisato la stessa Fao.
Responsabilità della corsa verso le agrobioenergie.
I biocarburanti hanno necessità di materia prima e le principali multinazionali, insieme con qualche imprenditore d’avanguardia, stanno investendo, in particolare in Sud America, per costruire grandi impianti di produzione laddove, per l’appunto, i prezzi di semi oleosi e mais, tra i prodotti agricoli più utilizzati per produrre biocombustibili, sono bassi, inferiori rispetto a quelli vigenti nei Paesi occidentali. Non è un caso se un’impresa italiana investirà 180 milioni di euro nella costruzione di quattro fabbriche di biodiesel in Brasile. ”La meta à arrivare a 1,5 miliardi di litri di biodiesel quando il progetto sarà completo - dice Daniele Panicci, fondatore dell'impresa - La produzione ha tra i compratori maggiori l'Agip”. La nostra industria petrolifera si è quindi già adeguata alle nuove normative, europee e italiane, che fissano quote di anno in anno più alte di biocombustibili da miscelare con i carburanti d’origine fossile. Si tratta di un progetto e di una programmazione che, dal punto di vista economico-finanziario e industriale, è non solo perfettamente legittima ma probabilmente assai conveniente.
Il problema sorge, come ha rilevato la Fao, allorché si vadano a esaminare le ripercussioni economico-sociali che tali operazioni, ripetute su vasta scala, possono avere in tali Paesi “ospiti”.
La produzione mondiale di semi oleosi e di cerali non è infatti ancora in grado di soddisfare le esigenze alimentari della crescente popolazione mondiale, in particolare nei Paesi sottosviluppati, come farà a saziare anche le esigenze delle industrie energetiche?
Cosa accadrà se, come sta avvenendo già oggi, i listini di semi oleosi e mais, che rappresentano prodotti base per la dieta di numerose fasce delle popolazioni povere, aumentassero repentinamente e in maniera significativa? Non rischieremmo, per vedere soddisfatte le nostre necessità, di peggiorare la qualità della vita in vaste e popolose aree del mondo?
Inutile, probabilmente controproducente e pericoloso invocare il liberismo e la libera circolazione delle merci e dei capitali perché i diritti dell’uomo dovrebbero essere prevalenti su qualsiasi legge di mercato.
Principio che tendiamo a dimenticare, a riporre in un angolo nascosto della nostra mente.
Purtroppo, e ciò è dannatamente più grave, è che anche politici e governanti, quando si tratta di governance mondiale e delle ripercussioni di certe decisioni su scala globale, tendono a chiudere un occhio, a guardare all’interesse nazionale, provocando, con la loro noncuranza e superficialità, gravi crisi sociali, se non umanitarie. In fondo organizzare una raccolta di fondi non è poi così impegnativo.

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