Editoriali 23/10/2020

I frantoiani sono chiamati a dare una nuova identità all'olio extra vergine d'oliva italiano

I frantoiani sono chiamati a dare una nuova identità all'olio extra vergine d'oliva italiano

Siamo in un'epoca di cambiamenti globali. Ci sta investendo un vero e proprio terremoto culturale, e il nuovo rapporto con le tecnologie digitali post Covid ne è solo un piccolo esempio. Cavalcare l'onda o esserne travolti: tertium non datur


È iniziata la campagna olearia 2020 con una previsione di centomila tonnellate in meno di extravergine rispetto alla campagna dello scorso anno e cioè riusciremo a produrre secondo la previsione ISMEA circa 250.000 tonnellate al posto delle 350.000 del 2019. Non è un incidente di percorso, è piuttosto il risultato di scelte politiche sbagliate, di errori fatti tanto tempo fa e ripetuti per tanto tempo. L’Italia ha bisogno, tra esportazione e consumo interno, di circa un milione di tonnellate di extravergine d’ oliva l’anno e su questo si esercita la forte concorrenza degli altri oli comunitari ed extracomunitari a prezzi stracciati: dagli anni ’60 ad oggi invece di attuare programmi di sostegno alla coltivazione degli ulivi e quindi produrre più olive, si sono truccate le carte e si è favorito lo sviluppo di una fiorente industria di confezionamento di olio d’importazione.

Il settore olivicolo, a livello mondiale, sta affrontando una fase di importanti cambiamenti strutturali in una difficile congiuntura di mercato. Con il suo patrimonio di poco più di un milione di ettari a uliveto e oltre 400 varietà il nostro Paese potrebbe recuperare terreno e invertire una tendenza negativa del comparto caratterizzato da una disponibilità di prodotto in continuo calo e ampiamente insufficiente attraverso politiche mirate alla qualità del prodotto ma soprattutto mettendo in campo misure espansive per gli impianti olivicoli. È arrivato il tempo di cambiare politica.

Nell’arco di due settimane si sono tenute le assemblee dei soci di AIFO, AFP e dell’Associazione dei Mastri oleari: si potrebbe dire, senza tema di essere accusati di millantato credito, che la parte più impegnata e consapevole del sistema della trasformazione olearia, cioè degli unici e veri produttori dell’olio italiano, si sarebbero dovuti confrontare sulla crisi della produzione e sulle prospettive del settore. Purtroppo non è stato così e si è persa una buona occasione.

Forse la non attitudine alle conference call oppure il delicato momento che stiamo vivendo non hanno consentito quel necessario e approfondito confronto come spesso è accaduto in passato. Ora difronte a quello che accade non si può mettere la testa sotto la sabbia e bisogna fare qualcosa e subito per riprendere una elaborazione di idee e cambiare strada per evitare che la produzione nazionale di extravergine scivoli inevitabilmente verso lo zero nel disinteresse e nella disattenzione di tutti. I numeri ci dicono che siamo sotto la Tunisia e la Grecia e che siamo invasi non solo dagli oli stranieri, ma anche dalla finanza cinese e inglese oltre che spagnola.

E tutto questo accade malgrado che negli ultimi dieci anni alcuni risultati importanti li abbiamo ottenuti: la iniziativa di AIFO ha portato il Parlamento a varare nel 2012 una buona legge in difesa della qualità italiana, la regione Puglia ha approvato nel 2014 una legge che riconosce l’impresa olearia artigiana e un albo professionale dei mastri oleari mentre, anche grazie alla nostra iniziativa promozionale, importanti catene di supermercati hanno inaugurato scaffali dedicati agli oli italiani di qualità. Abbiamo promosso un consorzio per valorizzare la nostra identità e il nostro prodotto e molti di noi si sono dati un disciplinare di produzione e un codice etico.

Dovremo fare un bilancio di tutto questo e l’occasione sarà il congresso di AIFO della prossima primavera chiamato non solo a confermare la strategia delle alleanze con agricoltori, artigiani e consumatori, a rivendicare con orgoglio di aver fondato l’unica vera associazione delle imprese olearie del nostro Paese, ma dovrà soprattutto darsi obiettivi nuovi e un programma adeguato ai mutamenti della filiera olivicola/olearia: sono già nate, grandi imprese olivicole, e se ne creeranno di nuove, sostenute da fondi di private equity e da finanziamenti comunitari che porteranno con sè la costruzione di nuovi grandi frantoi.

Quindi l’AIFO è chiamata ad elaborare nuovi indirizzi per incentivare la formazione di aziende olivicole di grandi dimensioni, salvaguardando le cultivar autoctone, e per l’ammodernamento del sistema delle imprese di trasformazione.

Non è un mistero per nessuno che i frantoi oleari, il loro numero, la loro distribuzione sul territorio, la loro tecnologia sono il risultato di vecchi e superati assetti economico-sociali. Una tipologia di imprese per le quali non ci sono più le condizioni per stare sul mercato, e per le quali quindi va confermata la proposta di rottamazione che AIFO ha avanzato già nel congresso di Sorrento del 2013. Quindi un sistema di imprese che va completamente ristrutturato utilizzando a questo fine i progetti che sono sui tavoli della Commissione a Bruxelles per il finanziare l’ammodernamento tecnologico dei frantoi con fondi comunitari, come ha sottolineato il presidente Gonnelli. Una occasione da non perdere ma consapevoli che un processo di questa natura porterà alla chiusura di alcune migliaia di vecchi mulini che ancora oggi operano in stretto legame con la piccola impresa contadina, determinerà la ristrutturazione di altre migliaia di frantoi di medie e grandi dimensioni e alla specializzazione di alcune centinaia di imprese olearie artigiane che già oggi producono, confezionano e commercializzano un proprio prodotto.

Quindi frantoi per le produzioni di qualità ma anche nuovi grandi frantoi per la nuova quantità: questo deve essere l’obiettivo centrale di un programma AIFO per l’olio italiano che si articola in impianti arborei ad alta densità, “rottamazione” dei frantoi obsoleti, il riconoscimento dell’olio artigianale, la difesa del valore dell’olio italiano sui scaffali della GDO; garantendo uno sviluppo in cui sia valorizzata la biodiversità delle produzioni, una risorsa irrinunciabile del nostro Paese nella sfida del mercato globale. E per questo sarà necessario, come ha detto Stefano Caroli, un programma di finanziamenti per la promozione dell’olio italiano, per la valorizzazione delle DOP ed IGP e del biologico made in Italy nel quadro di una politica della qualità.

Il congresso dell’AIFO deve guardare avanti, aprirsi a idee nuove: rinnovare la propria organizzazione allargando lo sguardo a tutta l’impresa artigiana del cibo, che costituisce il tessuto produttivo del mondo agroalimentare italiano. Nuove alleanze per dare valore al prodotto: l’esperienza del Consorzio FAPI insegna che non è sufficiente mettere a punto “prodotti eccellenti”, ma è necessario far nascere un mercato per l’eccellenza alimentare. Pensare ancora che basti fare il prodotto tipico o certificato e inserirlo all’interno di mercati competitivi per avere distintività e successo è velleitario.

La mappa dei consumi, dopo lo shock della crisi economico-finanziaria e nel pieno di una inedita pandemia, si è progressivamente ridisegnata. Un processo che ha portato la grande distribuzione a ridisegnare la sua presenza sul territorio nazionale: da un lato è andato in crisi il “gigantismo degli iper”, dall’altro si sta diffondendo una “moderna prossimità”, un trend che riflette i nuovi atteggiamenti del consumatore che ha modificato il proprio comportamento d’acquisto, da una parte il leitmotiv diventa “spendo meno ma meglio” spingendo verso la qualità e la salute, dall’altra si afferma la tendenza all’acquisto a basso prezzo dei discount.

È questa la realtà con cui i frantoiani si devono misurare per cui se continuano a pensare che basti soltanto offrire un buon prodotto, la partita ancora una volta sarebbe persa. Occorre che l’impresa olearia riacquisti un ruolo e un legame forte con la società. Nei secoli passati la corporazione dei mastri oleari ha lasciato segni indelebili che perdurano ancora oggi, ma cosa sta facendo la generazione del nostro tempo? Che tipo di rapporto ha l’impresa olearia con la società, con il territorio in cui opera? Non ci si può nascondere nell'alibi dell'attività stagionale, lo è sempre stata. Che si parli di un frantoio che sta aperto tre mesi l'anno o di uno con un'attività continuativa occorre ripensare al suo ruolo nella comunità nazionale. Se si vuole fare un salto di qualità occorre andare oltre, occorre farlo non pensando soltanto impresa ma come rispondere alle aspettative del consumatore. Solo parlando di ambiente, di salute, di innovazione, solo recuperando importanza nell'immaginario collettivo i frantoiani, produttori di olio dalle olive, potranno farsi ascoltare, solo così potranno influire sulle scelte per lo sviluppo del settore e concorrere ad un rinascimento nazionale.

In definitiva c’è una sola strada da intraprendere, cambiare la politica facendo più politica. E per questo il congresso è chiamato ad eleggere una nuova classe dirigente all’altezza della posta in gioco.

di Giampaolo Sodano

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Commenti 1

Alessandro Vujovic
Alessandro Vujovic
24 ottobre 2020 ore 09:51

A mio avviso l’analisi è condivisibile sul piano della produzione, sul miglioramento delle politiche che possano portare ad una maggiore qualità, quantità, valorizzazione delle varietà autoctone e ad un significativo rinnovamento del settore.
Ancora c’è un percorso difficile sul fronte della cultura e consapevolezza del consumatore, in quanto, nella maggior parte dei casi non è in grado di determinare la qualità del prodotto poiché ha un capitale di informazioni ridotto, quindi esprime congetture sul valore del bene stesso. Anzi c’è una “asimmetria informativa” tra il produttore ed il consumatore, dove i beni di migliore qualità potrebbero avere difficoltà di mercato e, in termini di beni, il prezzo potrebbe selezionare prodotti di qualità non eccellente incentivando il decadimento del mercato medesimo. Ovvero potrebbe non esistere un prezzo in cui l’offerta eguaglia la domanda. La teoria di George A. Akerlof, sul mercato dell’auto, ci suggerisce molti motivi di riflessione.
La teoria di questo premio Nobel afferma che il prezzo per un prodotto scenderà quando una delle parti della transazione - in genere l'acquirente - sa poco su di esso.
Diventa indispensabile, per il settore oleario, investire nella conoscenza della qualità del prodotto e non lasciare la scelta condizionata al prezzo in rincorsa al ribasso.
Alessandro Vujovic – Associazione Italiana Conoscere l’Olio di Oliva