Editoriali

IL COMMERCIO DELL’OLIO DI OLIVA ALL’ESTERO

07 ottobre 2006 | Mena Aloia

Il commercio con l’estero è un’operazione decisamente necessaria per una crescita aziendale. È bene, però, sempre ricordare che una transazione internazionale è più pericolosa delle transazioni domestiche.
Sono molteplici i fattori da conoscere per ogni singolo stato estero al quale ci si vuole rivolgere e non si può per pigrizia o superficialità ignorarne nessuno.
Usi e costumi commerciali, consuetudini sociali, ordinamenti giuridici vigenti, solvibilità dei vari Paesi, situazione politica, monete correnti, tipologia di trasporto, ecc..

I rischi ci sono, come ad esempio quello di insolvenza che è certamente quello che maggiormente preoccupa i nostri imprenditori, ma vi sono anche gli strumenti, in questo caso finanziari, per ridurre se non addirittura annullare un rischio di mancato pagamento.
Pensate, però, che in Italia solo il 7% dei crediti sono assicurati, per il 93% restante ci si affida ancora alle preghiere e alla buona sorte.
È forse giunta l’ora di informarsi?

La parola d’ordine è sempre la stessa: informarsi e smetterla di aspettare che qualcuno venga a bussare alla porta per risolvere i nostri problemi.
È una condizione imprescindibile per una buona gestione aziendale che richiede un impegno concreto sia in termini di tempo che di attenzione.
La superficialità non può pagare, ma è, malgrado ciò, molto dilagante.
Eppure viviamo, per fortuna, in un’epoca che permette facilmente di reperire informazioni, basta volerlo.

Occupiamoci di un caso concreto e vediamo fin dove potrebbe portare la negligenza.
Un’azienda deve esportare dell’olio extra vergine di oliva in Brasile. L’importatore non sembra avere particolari preoccupazioni, dopo tutto è un brasiliano e pensa di essere abbastanza informato sul suo mercato.
Stabilite le condizioni di vendita, l’azienda riceve le indicazioni sull’etichettatura.
L’etichetta, per il nostro importatore, potrà essere fatta in italiano la prima volta, la retro etichetta dovrà avere scritto “prodotto e imbottigliato da… per…”, l’etichetta frontale avrà il logo dell’importatore e la scritta olio extra vergine di oliva.
Impossibile credere e sperare che possa essere tutto così semplice. Basta qualche telefonata per capire che la normativa brasiliana in materia di etichettatura è un po’ più complessa.
Gli strumenti per giungere a questo sapere oggi ci sono, ribadisco, ed è inutile e dannoso mascherare la propria mancanza di volontà con presunte e non verificate difficoltà.
Cosa fare in concreto?

Iniziamo con il rivolgerci all’Ice. Abbiamo un Istituto Nazionale per il Commercio Estero. Usiamolo.
Contattare la sede a noi più vicina non richiede un investigatore, qui si possono trovare sicuramente delle risposte attendibili, anche immediate nei casi più semplici.
Nel nostro caso, infatti, dall’ufficio Ice di San Paolo arrivano, in breve tempo, le informazioni richieste.
Subito una buona notizia: per esportare in Brasile non esistono particolari adempimenti come previsto per altri prodotti come il vino o i salumi. L’etichetta, invece, necessita di alcuni accorgimenti.

L’etichetta dei prodotti in generale deve essere in lingua portoghese. Tuttavia può anche essere in lingua di origine, ma con tradotta retro-etichetta aggiuntiva in portoghese e deve riportare le seguenti informazioni:
Denominazione del prodotto;
Lista degli ingredienti;
Ragione sociale e indirizzo dell’importatore
Istruzioni di utilizzo
Contenuto liquido;
Origine del prodotto:
nome, indirizzo del fabbricante, produttore e imbottigliatore (per liquidi),
paese di origine e città identificando ragione sociale e registro presso l’autorità responsabile. Per identificare l’origine dovranno essere utilizzate le seguenti espressioni: “fabbricato a…”; “prodotto…”; “industria…”
Identificazione del lotto;
Validità: giorno, mese, anno e “da consumare preferibilmente prima di…”
Ragione sociale e indirizzo dell’importatore

Alcune formalità di base devono essere ottemperate, in particolare l’importatore ha l’obbligo di registrare (protocollare) l’etichetta presso il Ministero dell’Agricoltura brasiliano al momento dell’importazione del prodotto.

Inoltre, è richiesto il rispetto della regolamentazione sull’etichettatura, che è composta dai Decreti dell’ANVISA (Agencia de Vigilancia Sanitaria):

Portaria nº 42 del 14/01/98;
Resolução-RDC nº 39 del 21/03/01;
Resolução-RDC nº 40 del 21/03/01.

Il Nº 42 è in effetti un regolamento tecnico che si applica a tutti i prodotti alimentari commercializzati e confezionati pronti al consumo. È composto da nove capitoli che spiegano in modo circostanziato l’etichetta, dove va apposta, i caratteri delle informazioni obbligatorie, la lista degli ingredienti, la lingua e tutte le altre indicazioni da apporre previste dal regolamento in questione.

La nº 39 ha come obiettivo di informare il consumatore sulla composizione dell’alimento, fornendo informazioni sul valore calorico, sulle quantità di carboidrati, proteine, grassi totali, grassi saturi, colesterolo, fibre alimentari, calcio, ferro, sodio e la percentuale che queste quantità rappresentano in relazione ad una dieta di 2.500 calorie.

La Nº 40 trae origine dalla necessità di mantenere costantemente aggiornate le azioni di controllo sanitario dei prodotti alimentari al fine di tutelare, al meglio, la salute dei cittadini.
Come si capisce l’etichetta richiesta all’azienda dall’importatore contrasta con la normativa vigente in Brasile.

Ora proviamo ad immaginare quali costi irrecuperabili l’azienda avrebbe sostenuto se avesse fatto stampare le etichette così come gli erano state richieste all’inizio, fidandosi evidentemente del proprio importatore e, magari, avesse anche provveduto al confezionamento.
Informarsi, fare qualche telefonata in più, incontrare una persona in più non è una perdita di tempo.

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