Editoriali

Quelli della vite, quelli dell'olivo. Cugini lontani

Vite e olivo sono state una delle rappresentazioni più classiche della nostra agricoltura. Atena e Dionisio, con Cerere, rappresentano la triade delle colture alla base della dieta mediterranea, ma di questa origine “regale”, almeno per l’olivo, se ne stanno perdendo irrimediabilmente le tracce

15 febbraio 2019 | Sebastiano Di Maria

Uno dei sistemi di coltivazione più diffusi nel nostro Paese, che ha avuto la massima espressione con la mezzadria poderale del centro Italia, era la consociazione tra piante legnose diverse; vite e olivo sono state una delle rappresentazioni più classiche della nostra agricoltura. Più che solo una forma di consociazione, a volte sembra che le due piante abbiano vissuto una vera e propria simbiosi, tanto da essere coinvolte, seppure in un momento di elevata specializzazione colturale come quello attuale, a parallelismi tecnici più disparati, spesso azzardati.

Sarà anche che la loro storia è legata al culto di Atena e Dioniso, che con Cerere rappresentano la triade delle colture alla base della dieta mediterranea (olivo, vite e grano), ma di questa origine “regale”, almeno per l’olivo, se ne stanno perdendo irrimediabilmente le tracce. Di certo non per colpa sua!

Mentre la viticoltura e il vino viaggiano a vele spiegate, forti di un sistema collaudatissimo, dove la ricerca ormai non ha più segreti e si è tradotta in pratica comune anche per le piccole realtà, per l’olivicoltura e l’olio si è pensato di fare l’impossibile per crearsi problemi, tra i più gravi la chiusura o il depotenziamento proprio di centri di ricerca.

Mentre nel pieno di ogni estate le previsioni vendemmiali campeggiano in tutte le riviste specializzate e non, finanche sui tg nazionali, discutendo se si tratterà o meno del millesimo del decennio o del secolo, il povero olivicoltore è alle prese con uno dei peggiori accidenti che possa capitargli, la mosca, un vecchio nemico che di recente torna a fargli visita sempre più spesso, complici anche i mutamenti climatici a cui nessuno sembra interessarsi seriamente. Come se non bastasse ecco un altro ritorno d’affetto per il povero olivo da parte dell’antracnosi, un fungo più comunemente conosciuto come lebbra, tanto da divenire un vero e proprio incubo, subito dopo la mosca. Sarà un caso che piogge consistenti a cavallo tra estate e autunno, temperature miti e cattive pratiche agronomiche siano tra le principali cause della diffusione della malattia? Sarà un caso se il caldo secco o pratiche come la corretta gestione della chioma, con un miglior arieggiamento e insolazione, oltre che del suolo, evitando i ristagni idrici, siano gli antidoti migliori per evitare un’altra causa di produzione di oli di pessima qualità e con acidità elevate?

Mentre “quelli della vite”, attraverso l’ultima risoluzione dell’OIV (organizzazione internazionale della vigna e del vino), l’ennesima, ridefiniscono la sostenibilità attraverso la ricerca dell’equilibrio tra fattibilità economica, equità sociale e buono stato ambientale, in particolare sulla gestione del suolo, la conservazione della biodiversità e del paesaggio, “quelli dell’olivo” sono alle prese con un nuovo piano olivicolo nazionale che ancora non dà risposte in merito, con obiettivi lontanissimi, oltre ai gravi e atavici problemi sulle sofisticazioni.

E cosa pensare dell’infezione da Xylella fastidiosa che rischia di diventare una vera ecatombe che travolgerebbe non solo la Puglia, mentre all’orizzonte ancora non c’è una vera e propria azione, prima di tutto politica, mirata ad un programma di gestione. La flavescenza dorata, fitoplasmosi della vite, anch’essa figlia dell’azione di un insetto come vettore, lo Scaphoideus titanus che, al pari della sputacchina (entrambi rincoti omotteri), è diffuso in molti territori anche al di fuori delle zone infette, è tutti giorni tema di dibattimento scientifico e divulgativo tra viticoltori, tanto che tutti sanno bene quali pratiche agronomiche attuare per contenerla, o limitarne comunque i danni. Non ci sembra che lo stesso accada per Xylella; francamente non si ha percezione che gli olivicoltori, anche delle regioni limitrofe alla Puglia, ricevano costantemente tutto il know-how disponibile.

Anzi, l’olivicoltore è costantemente accecato dalle promesse di reddito facile da una forma di specializzazione olivicola perdente già nei principi, se paragonata agli stessi modelli che tanta fortuna stanno facendo nei paesi olivicoli emergenti, non replicabile nel nostro Paese alle stesse condizioni, uno specchietto per le allodole, mentre ci sono problemi strutturali profondi che stanno minando alle fondamenta la nostra olivicoltura.

Mentre gran parte degli olivicoltori non sa ancora come condurre un inerbimento, piuttosto che una razionale gestione della chioma, o magari una concimazione, sono informatissimi sulla gestione meccanica di un impianto superintensivo; i convegni a tema, non a caso, sono costantemente sold-out.

Risultato: fanno paura ancora la mosca o la lebbra, giusto per citare le più sentite, mentre una nuova minaccia, un dittero, la Dausinea oleae, fa registrare le prime apparizioni in Italia.

Proprio mentre stiamo scrivendo è in corso una manifestazione a Roma, quella dei gilet arancioni, che vede fianco a fianco, finalmente, tutte le Regioni italiane a rivendicare con forza i propri diritti su un settore all’abbandono. Ma è solo l’ultima levata di scudi di un comparto agricolo allo stremo, dopo quella dei produttori di latte sardi, settori sotto scacco sistematico di un sistema industriale che ne condiziona in maniera determinante le sorti, così per Xylella, così per il superintensivo, così per le sofisticazioni, altrimenti non si spiegherebbero gli accordi firmati per l’invasione di migliaia di tonnellate di olio straniero.

Il prossimo fine settimana va di scena a Bari, nella nuova Fiera dal Levante, la quarta edizione di Enoliexpo, l’unica manifestazione che mette insieme le due anime, anche se oggi profondamente diverse, ma che hanno scritto la stessa storia. Noi ci saremo con gli studenti dell’Istituto Agrario di Larino e privilegeremo proprio l’aspetto olivicolo oleario, con la partecipazione ad un seminario a tema e un incontro tecnico con un’azienda che fa agricoltura di precisione in olivicoltura.

Il mito di Atena e Dioniso con cui provocatoriamente abbiamo iniziato, è lontanissimo, è vero, ma se in futuro vogliamo continuare ad apprezzare questi stupendi paesaggi o cullarci tra le fronde dei millenari ulivi, bearci delle virtù dell’olio extravergine d’oliva, dobbiamo necessariamente passare attraverso la ricerca e la formazione continua, anche mediante l’ausilio di nuove tecnologie, ma sul campo, non solo nel chiuso di sale o tensostrutture.

“Quelli della vite” lo stanno facendo da sempre, “quelli dell’olivo” lo stanno ancora aspettando!

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