Editoriali 22/06/2018

Il Congresso di Vienna dell'olio di oliva


“L'unica speranza è che l'Arioli a 2,99 euro/litro sia stato un fuoco di paglia. Voi ci credete?”

Era una provocazione, e insieme un idealista auspicio, che chiudeva un articolo del 12 gennaio scorso.

Purtroppo, con la chiusura dei contratti di fornitura alla Grande Distribuzione, ogni illusione si è vanificata, tanto da trovare oggi a scaffale le super-offerte di olio extra vergine di oliva a 2,5 euro al litro.

Chiedersi che genere di olio ci sia in quella bottiglia è assolutamente pleonastico e soprattutto inutile. Lo sappiamo. Lo sanno tutti gli operatori e anche gli organi di controllo. A modo suo, senza tecnicismi, lo sa anche il consumatore.

Però è ritornato.

Commercianti, industria olearia e Grande Distribuzione hanno messo in scena il loro Congresso di Vienna: la restaurazione.

Gli scandali sull'olio di oliva, le inchieste giornalistiche e quelle giudiziarie, sono state solo una spiacevole parentesi.

Le quotazioni dell'extra vergine schizzate alle stelle dopo il primo annus horribilis sono alle spalle e i prezzi stanno tornando a valori più usuali, quelli che permettono, appunto, di far tornare l'olio a essere un prodotto civetta, acchiappa-clienti.

In questi anni non sono mancati morti e feriti, aziende che hanno dovuto cedere l'attività o la gestione, tra aumenti di capitale, joint-venture e accordi strategici. Nomi diversi per mascherare i conti in rosso e difficoltà competitive crescenti.

Il sistema, però, ha retto.

Nella Grande Distribuzione ha continuato a essere venduto il 90% e più dell'olio extra vergine di oliva, spostandosi solo da brand noti alle private label.

Ci sarebbe da essere sconfortati, abbattuti, avviliti.

Un lungo lavoro e un percorso per veder tornare tutto come prima.

Per fortuna dalla Storia, quella con la S maiuscola, qualche insegnamento lo possiamo trarre.

Il Congresso di Vienna ripristinò totalmente l'Ancien régime dopo gli sconvolgimenti apportati dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche, ma sotto le ceneri covava la brace, e dopo pochi decenni la restaurazione dovette cedere il passo a un nuovo ordine europeo.

Con le dovute proporzioni, oggi è necessario capire se sotto la cenere della restaurazione cova una brace, una pur tenue fiammella che può portare, con il tempo, a una vera rivoluzione olivicolo-olearia.

Quanto sarà rimasto, nella mente e nei cuori dei consumatori, di tutti gli accorati appelli alla qualità e contro le frodi e sofisticazioni, per il Made in Italy? Quanto i decaloghi al buon acquisto, le parole sull'amaro e il piccante, le degustazioni guidate hanno attecchito?

E' questa la domanda da porci oggi, senza nascondersi dietro dissertazioni pseudo-consolatorie e autoreferenziali.

Già perchè se l'industria e il commercio oleario hanno un “capo”: la Grande Distribuzione, anche quest'ultima è soggetta ai voleri di un più potente padrone: il consumatore.

Vogliamo riaccendere la rivoluzione? Dal consumatore occorre partire.

di Alberto Grimelli

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Commenti 2

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
28 giugno 2018 ore 16:44

Gentile Direttore Carrassi,
la ringrazio per gli apprezzamenti e la condivisione, anche se non mi convince del tutto la tesi che l'industria olearia è “schiava” della Grande Distribuzione.
Ricordo, qualche anno fa, una “guerra” tra Coop e Barilla alla fine vinta proprio dall'azienda pastaia che non volle piegarsi a determinati diktat, pagando il prezzo di star lontano dagli scaffali Coop per qualche mese, salvo poi trovare un accordo più equo.
Riconosco che le marginalità dell'olio non sono quelle della pasta, e di tanta parte dell'agroalimentare, ma mi chiedo, se si è arrivati sin qui, se non c'è il concorso di colpa dell'industria olearia.
Nelle due foto, solo per un problema tecnico, non si vedono le insegne della GDO, d'altronde visibili in tante foto pubblicate da Teatro Naturale nel corso degli anni, a partire da diverse foto a corredo dell'articolo del 12 gennaio scorso, linkato proprio a questo.
Prendo però atto delle sue giuste critiche e saremo attenti, di qui in avanti, a ben mostrare anche i loghi di quelle catene che propongono politiche di marketing che sviliscono il prodotto.
Infine mi permetta di dissentire con lei sul fatto che il consumatore non conosce il proprio potere. Lo conosce eccome, si veda l'esempio della campagna sull'olio di palma, ma non lo utilizza sempre in maniera lineare ma a ondate, spesso emotive.
Quindi la domanda da porsi, se vogliamo farlo, è come suscitare un'ondata emotiva del consumatore a favore dell'olio extra vergine di oliva italiano?
Non ho una risposta e forse una sola risposta non esiste. Lascio la domanda aperta, per gli uomini e le donne di buona volontà.
Buon lavoro

Alberto Grimelli

Andrea Carrassi
Andrea Carrassi
28 giugno 2018 ore 14:00

Buongiorno Dottor Grimelli, concordo con lei, il capo dell'industria è la Grande Distribuzione, senza di lei le aziende non riuscirebbero a commercializzare il prodotto nei volumi che conosciamo. Consapevoli di tale forza le catene decidono loro il prezzo di vendita che può essere più basso del prezzo di acquisto, anche se economicamente potrebbero perdere profitti sul singolo prodotto facendo tali promozioni. Concordo con lei anche quando dice che il capo della Distribuzione è il consumatore, tanto che le politiche commerciali di marketing della GDO sono orientate a soddisfare i suoi desideri e bisogni. Purtroppo spesso il consumatore non si rende conto di tale potere.

Vorrei chiederle perché in questo articolo non ha pubblicato le fotografie delle catene della Grande Distribuzione che, con questo comportamento, sviliscono il prodotto principe della dieta mediterranea.

Dal momento che in questo caso sono le catene della GDO che, con le loro politiche di marketing, pubblicizzano il sottocosto e sviliscono il prodotto banalizzandolo, fino a renderlo una commodity, sarebbe più corretto far vedere ai lettori chi è il vero responsabile di tali operazioni, altrimenti un lettore distratto o pigro potrebbe fermarsi a leggere il titolo e a vedere le fotografie (come purtroppo spesso accade oggigiorno) pensando così - e sbagliando - che la decisione sul prezzo finale al consumatore sia di competenza delle aziende olearie, mentre molto dipende dalle politiche della Grande Distribuzione Organizzata, la vera parte forte nelle transazioni commerciali.

Ritengo opportuno che la Grande Distribuzione sia chiamata, dagli esperti del settore, a un atto di responsabilità per la tutela dell'immagine del prodotto venduto, una sensibilizzazione che arrivi fino al consumatore. Per questo mi sembrerebbe corretto che fosse data evidenza dell'insegna della catena che, con sottocosto e offerte stracciate, banalizza l'olio extravergine di oliva arrivando a determinare una commoditizzazione di tale prodotto.

Come ha detto giustamente lei, il vero capo nelle dinamiche commerciali è chi compra, quindi il consumatore. Se lo sensibilizzate sottolineando, anche visivamente, quali catene della distribuzione attuano pratiche commerciali che sviliscono il prodotto e i produttori forse riusciremo nella battaglia comune a tutela dell'immagine dell'extravergine.