Editoriali

Non voglio più avere a che fare con l’olio!

Misurare la qualità dell'olio serve a qualcosa o a qualcuno? Davvero il mercato premia la qualità? Gli ultimi vent'anni ci hanno dimostrato che abbiamo sbagliato strada. Non bisogna premiare l'olio buono, pulito e giusto, ma la persona buona, pulita e giusta secondo Maurizio Pescari

03 marzo 2017 | Maurizio Pescari

Basta, mi sono stancato, non voglio più avere a che fare con l’olio, con i bicchierini, con il profumo, il fruttato, basta! Preferisco misurare la qualità dell’olio parlando e conoscendo chi lo produce. Quasi quasi faccio una guida dei produttori, senza parlare di olio e stilando la classifica dando valore al “buono, pulito e giusto” – bandiera di Slow Food – spostando però il concetto dal prodotto, all’essere umano. Sono convinto che una persona “buona, pulita e giusta”, nel rispetto della sua mission, fa l’olio – ed il suo lavoro in generale – meglio di chi non lo è. Non ci credete? Guardatevi intorno, ragionateci un po’, farete anche voli la vostra classifica.

La conferma l’ho avuta lungo il cammino da Lucca a Verona; vivendo prima “Extra Lucca”, salotto ormai consolidato e punto d’incontro tra produttori evoluti, e poi gli “Evo Days”, momento di formazione con cui VeronaFiere ha ribadito il ruolo leader, dando finalmente risposta al bisogno di divulgazione delle conoscenze che viene dal comparto, per di più nelle giornate dedicate al concorso internazionale “Sol d’Oro”. Due occasioni per incontrare tante persone …buone, pulite e giuste.

Esempi chiari di rinnovata attenzione all’agricoltura arrivano dai tanti giovani, uomini e donne, applicati e desiderosi di conoscere, e studiare, per poter mettere del proprio nella crescita professionale, senza vincoli a consuetudini e tradizioni. Dedicare tempo a restituire energia alla terra, a migliorarla conoscendone i bisogni, alla gestione della pianta, ad indagare nell’intimo le caratteristiche varietali delle olive, fino a destinare il frutto a diversi sistemi di estrazione, per trovare la giusta strada di interpretazione del ‘mio’ olio. Risultati sorprendenti, ovunque, in Puglia, in Toscana, sul lago di Como, in Liguria, in Umbria, in Sicilia. Ma sopra tutto, la mente dell’agricoltore 3.0.

Appare chiaro che nonostante i limiti ed il disinteresse che le istituzioni mostrano per il comparto, c’è una popolazione crescente di nuovi olivicoltori che persegue l’obiettivo di una produzione unica. Ognuno fa il suo olio e lo propone senza dire che è più buono - come un tempo - ma rivendicandone l’unicità, l’uso, il giusto mercato di riferimento, ed imponendo il prezzo. Senza vedere gli altri come competitor, ma come compagni di avventura, con i quali scambiare conoscenze ed esperienze.

Cosa significa? Significa che – come dimostrano gli studi del Prof. Servili – se la temperatura delle olive in frangitura condiziona aldeidi, esteri, ed alcoli e quindi i profumi ed i sapori, la gestione consapevole del sistema di estrazione curata da questi rinnovati agricoltori, può portare ad un olio ben distante dalla tipicità varietale nota ai più: Itrana che non sa di pomodoro, Coratina elegante e per nulla aggressiva. Tutto ciò mette sul tavolo anche la necessità di affrontare l’equilibrio dei panel di assaggio, non solo nelle regole, quanto per limitare i pregiudizi di tipicità, o del personale gradimento, con cui ci si avvicina all’analisi organolettica. Ma è un discorso che merita uno spazio adeguato.

Oggi più che mai appare chiaro che fare l’olio è un’arte, ma l’arte non è uno slogan pubblicitario; l’arte è apprendimento, è passione, quella che si sente crescere dentro, che deve essere alimentata, perché se pensi di poterla ereditare, la fatica sarà immane ed i risultati non ti premieranno. La passione non si eredita con l’uliveto di famiglia e l’arte non si compra con il più innovativo sistema di estrazione. “L'arte muore se la puoi solo comprare” (cit. F. Buffa).

Gli esempi vissuti di recente lungo il cammino da Lucca a Verona, dimostrano la voglia che i nuovi agricoltori hanno di conoscere, per poter leggere e guidare la terra, la pianta, l’estrazione, abbandonando il calendario delle abitudini, per essere fedeli osservanti di una regola scritta dal mio amico William Salice:
“Se lo sogni, puoi farlo, devi studiare, studiare, studiare; lavorare, lavorare, lavorare”.

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Fiammetta Nizzi Grifi

04 marzo 2017 ore 16:42

Caro Maurizio, grazie!
Grazie per le tue parole e per aver avuto l'onesta di dire che fare un buon olio non basta! Condivido il tuo pensiero ed anche io, in questo periodo di intenso lavoro per i vari concorsi, sento che dobbiamo riflettere su questo percorso di crescita intensa che ha avuto il settore dell'olio negli ultimi anni, percorso che se da un lato ha avuto senz'altro il merito di portare all'attenzione di molti l'esistenza di un'eccellenza italiana, dall'altro sta rischiando di "spersonalizzare" questo meraviglioso prodotto!
Fiammetta Nizzi Grifi

LINO SCIARPELLETTI

04 marzo 2017 ore 15:57

Caro Maurizio, il tuo ragionamento apparentemente fila liscio (proprio come l'olio). infatti più delle etichette o se vogliamo delle analisi conta molto il rapporto di fiducia verso il produttore dell'olio. Ma come si fa a riconoscere la persona buona pulita e giusta? su che cosa ti basi per farlo? Un rapporto di amicizia? Ma qualcuno da antica data ha detto:chi trova un amico trova un tesoro, e i tesori sappiamo che è veramente difficile trovarli. Allora? Allora torniamo al punto di partenza: il mercato. Come tu dubiti il mercato certo non premia la qualità. Il mercato(è la mia opinione) premia gli investimenti in pubblicità,sponsor e....norme di leggi create ad oc. Per garantire gli interessi delle lobby piùttosto che del consumatore finale. il nodo da sciogliere è tutto quì. Se io produco del buon olio, e decido di metterlo in commercio la prima cosa che faccio è quella di metterci "la faccia". Nella mia etichetta metto il mio nome,il mio indirizzo, il luogo di coltivazione e di frangitura, anno di produzione, può bastare? No! Da poco occorre elencare anche valori nutrizionali(va bene, si può fare,anche se aggiungiamo un ulteriore costo(secondo me superfluo).Ma il passaggio finale è quello dell'imbottiglamento.Non basta(secondo la norma vigente) adibire allo scopo, un locale pulito, luminoso,acqua corrente ecc. ma occorre avere: locale stoccaggio imballaggi, locale confezionamento, locale stoccaggio prodotto confezionato, ecc.il tutto secondo parametri di cubatura ed accessori standard. Il risultato finale è quello di escludere dalla "filiera" il produttore "artigianale" che non potrà commercializzare il suo prodotto, garantendone la qualità(mettendoci la faccia) dall'inizo alla fine. Allora? allora o si va al mercato e si prende ciò che sembra il migliore, o......si cerca di trovare il "tesoro" che potrebbe essere anche a portata di mano.....con un pizzico di fortuna!