Editoriali

Perchè solo l'extra vergine?

All’estero la categoria vergine è venduta, anche a caro prezzo. In Italia invece è quasi inesistente. C'è spazio per revitalizzare questa categoria commerciale? Una domanda e una riflessione di Marco Antonucci

17 giugno 2016 | Marco Antonucci

Da poco sono terminate le revisioni dei “ring test”, una procedura molto importante che annualmente viene eseguita in contemporanea a livello nazionale per accertare il mantenimento delle condizioni e dei requisiti dei singoli Panel, organismi ufficiali che accertano e definiscono – in accordo con l’analisi chimica ed in osservanza della normativa europea recepita dallo stato italiano – la classificazione merceologica degli oli provenienti dalle olive. Accertano inoltre la rispondenza dei campioni ai disciplinari delle Dop.

Discutendo con alcuni amici che operano nei Panel di tutta Italia (preciso che è solo una discussione, priva di ogni fondamento scientifico e statistico) ho riscontrato che nessuno di loro ha trovato sul mercato bottiglie di olio “vergine”. Si trova l’olio extravergine, l’olio di oliva, l’olio di sansa, il condimento a base di olio extravergine di oliva, ma non l’olio di oliva vergine. Una veloce ricerca in internet ha confermato questa teoria: i produttori di olio di oliva vergine si contano su una mano.

Questa scelta sembra avere una sua logica: l’olio è un lipide che con il tempo invecchia e si rovina. Un olio perfetto, senza difetti, con il tempo ne acquisirà e aumenteranno di valore: dapprima avranno intensità 1, 2, 3 che lo faranno diventare vergine e poi 4, 5, 6… che lo trasformeranno in olio lampante. Se si immette sul mercato un olio vergine e quindi con difetti la cui intensità all’imbottigliamento è già di valore 1, 2 o 3, il superamento della soglia limite (3,5) sarà molto più veloce e quindi la sua shelf life sarà molto più breve.

Questa scelta sembra però essere una prerogativa italiana: all’estero gli oli di oliva vergini sono normalmente venduti e quello che stupisce è che si rivolgono a tutte le fasce di consumatori. Faccio due esempi estremi.

In Francia la Première Pression Provence SARL commercializza una serie di oli classificati vergini, prodotti da olive che sono raccolte mature e lasciate a fermentare, al fine di ottenere un “olio d'oliva delicato senza amarezza, con profumi che ricordano le olive nere, il sottobosco e la torrefazione, ideale su verdure calde, sugo di carne e grigliate (cfr: ppp-olive.com)”. 250 cc di questo olio hanno un costo medio di € 13,00, che aumenta se il prodotto viene certificato Dop (in Francia Aop): perché sì, esistono le Dop anche per gli oli vergini ed in questo caso siamo davvero di fronte ad un alimento le cui peculiari caratteristiche dipendono dal territorio e dalle tecniche di produzione.

In un supermercato negli Emirati Arabi ho trovato una promozione di olio di oliva vergine Serjella, un brand siriano il cui nome richiama l’omonima città romana che si trovava nei territori a nord. La compagnia produce olio extravergine e vergine e lo esporta anche in Europa.

“L’olio vergine Serjella è leggero, ha un profumo delicato, un color oro intenso, è ottimo per cucinare e friggere, è una risorsa medica per la pelle del corpo e per i capelli; in oriente è utilizzato non solo per cucinare, ma per la salute e la bellezza (cfr: lotus-distribution.com)”.

Il campione che ho visto è venduto in bottiglia di plastica a circa € 4,00 al litro.

Queste mie imprecise e discorsive note hanno veicolato la discussione che ho avuto con gli amici assaggiatori ad una considerazione ilare: in Italia – fatto salvo pochi “sfortunati” olivicoltori – non si riesce a produrre che olio extravergine.

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Paolo Barbiero

18 giugno 2016 ore 14:44

Chi lo spiegherà alla lobby degli assaggiatori, scrittori di guide ecc., che di olio ne comprano gran poco,che un fruttato maturo può anche essere interessante, che non sempre il più amaro e piccante è il più buono? Cercare di far cultura nel mondo dell'olio è corretto ma far digerire anche quello che non piace no, è sempre una questione di equilibrio e di abbinamenti. Finirà come con il vino, prima tutti invecchiati e barricatissimi, oggi il vino che va per la maggiore è il prosecco semplice da bere a da abbinare. Sono mode, spesso interessate, passeranno. Io consiglio sempre, in tutti i campi di farsi la propria idea e scegliere sempre quello che piace a se e non quello che piace agli altri!

Carlo Poddi

18 giugno 2016 ore 10:40

Ottima osservazione... E comunque rappresenterebbe un segmento di mercato da sfruttare...

Antonella Tromba

18 giugno 2016 ore 01:00

Ottima osservazione.
Senza nulla togliere alle produzioni extra-vergini DOP, il fatto è che la maggior parte delle famiglie, specie al sud, che sono solite raccogliere le olive per produrre il proprio olio, in realtà ottengono un olio vergine, visto che tra raccolta e spremitura delle olive trascorrono almeno 2-3 giorni, in genere.