Editoriali

LA LUNGA MARCIA DEI GAY

04 febbraio 2006 | Sante Ambrosi

La marcia dei gay prosegue alla conquista di nuove leggi nei vari Stati europei, al fine di essere omologati in tutto ai matrimoni che la nostra tradizione riservava alle unioni eterosessuali.
Il ragionamento sembra filare.
Se ottengono la celebrazione, almeno civile, delle loro unioni, perché escludere la possibilità di un figlio?
Non è questione di diritti che non possono e non devono essere negati ad ogni cittadino?
Niente da dire, dunque? Non proprio, perché ci sembrano doverose alcune semplici considerazioni che il buon senso di molta gente si pone e che anche noi condividiamo.

Prima di tutto sgombriamo il campo da facili fraintendimenti, che potrebbero far pensare che noi siamo contro gli omosessuali.
Quindi, diciamo subito che noi non siamo contro le unioni tra omosessuali. Anche se riteniamo che la natura, così come essa presenta le cose, sia tra gli umani che tra gli animali, non vada interpretata alla leggera, come se la notte possa essere equiparata al giorno, la luna al sole.
C’è un linguaggio delle cose che non può essere ignorato o stravolto. Sappiamo, però, che esistono, o possono esistere,delle varianti sul tema, ma che varianti siano e siano pure rispettate come varianti. E la variante ha titolo e dignità di esistenza. Quello che convince poco la persona semplice, magari rustica, ma sempre ancorata alle cose e alle regole delle cose, è questa ondata di rivendicazioni che sembrano voler diventare una moda e come tutte le mode voglia entrare di prepotenza non tanto per rivendicare un proprio diritto, che è quello di avere un onesto riconoscimento di cittadinanza senza i pregiudizi di una cultura del passato che ha emarginato con durezza la diversità, quanto per scardinare ciò che fino ad oggi è ritenuto per naturale, come se tutto potesse essere scardinato, avvilito in un non senso generalizzato. E questa moda ci sembra sia diventata così prepotente da determinare il rovesciamento delle parti: chi si tiene saldo sulla natura delle cose viene condannato come non attuale e vilipeso da questa nuova cultura moderna attraente e seducente.

Ecco, questo non ci piace e vogliamo ribadire che la natura non va stravolta a cuor leggero in nome di un diritto assolutamente soggettivo e capriccioso. E qui il capriccioso non va riferito al soggetto che si trova naturalmente nella variazione, nella diversità nella quale talora la stessa natura pone l’individuo, ma la pretesa che questo modo di sentire e di essere sia la regola. E così, la lotta perché gli omosessuali possano celebrare le nozze come gli altri matrimoni ci sembra una forzatura che contraddice la stessa natura. Che le unioni tra omosessuali abbiano una legislazione, che le regoli e le riconosca come soggetti di diritti e di doveri ci sembra una battaglia condivisibile, ma non confondiamo le cose e i nomi. Anche perché questa nuova moda ci richiama identiche mode che troviamo nella storia nei periodi di grande crisi, come quella dell’Impero Romano, al tempo di Nerone e di Domiziano.

Sarebbe interessante riprendere certe satire di Persio e di Giovenale contro la dissoluzione della famiglia e contro l’imporsi delle nuove mode in campo sessuale nella classe dei ricchi e degli intellettuali.
Del resto, lo stesso Tacito in quegli anni, scrivendo la Germania, teorizzava che i grandi eserciti di Roma sarebbero stati sconfitti dalle virtù dei Germani e proprio per gli stessi motivi che erano il bersaglio delle satire di un Persio e di un Giovenale. E così fu.
Eppure questi signori ragionavano non certo in nome di una religiosità o di una fede cristiana, che non era ancora ben diffusa e certamente non abbracciata da essi. Lo facevano in nome di una sana ragionevolezza. Questo per dire che pur con tutta la tolleranza che si deve per i problemi posti dal movimento dei gay, è necessario precisare anche i limiti di certe rivendicazioni.

Anche per quanto riguarda le adozioni occorre un po’ di chiarezza.
Sappiamo quanto problematica sia l’adozione per una coppia normale tradizionale; immaginarsi per una coppia di omosessuali, se si tiene conto del bambino che viene adottato.
Certo che, se l’unico punto che viene preso in considerazione è il diritto di ognuno di avere un figlio, le cose, invece di risolversi per il bene, si complicano.
Il diritto ad avere un figlio non deve essere considerato un assoluto, perché certe rivendicazioni prettamente soggettive non possono essere accettate come dei valori.
Un valore per essere tale deve riguardare tutte le parti che lo investono.
Anche un valore vero, quando viene perseguito isolatamente, diventa una palese forza distruttiva. La storia è piena di lotte impugnate nel nome di un qualche valore che, appunto perché assolutizzato nella sua unicità, si trasmutò in autentica violenza.
Il problema da chiarire è se l’adozione sia un bene prima di tutto per il bambino nella sua formazione completa e poi per la società. L’ossessione del figlio che viene sbandierata a tutti i costi, come se fosse una cosa qualsiasi da avere, da possedere, denota un atteggiamento preoccupante e troppo legato a una mentalità capitalistica e commerciale qual è la nostra.

Ma con un bambino non si può giocare come si fa con le cose. E’ necessario capire fino in fondo quali siano le condizioni più idonee per la sua crescita. E non basta neppure consolarsi dicendo che, comunque, il bambino può trovare affetto e un ambiente materiale che gli può offrire tutti gli strumenti necessari per crescere, studiare ed affermarsi nella vita.
Occorre sapere se la figura di un padre ed una madre siano facilmente sostituibili, che agiscono interiormente nell’animo dell’uomo nel suo divenire e che non si possono stravolgere a piacere, in nome di finalità di altro genere. Pena la progressiva destrutturazione di una società.

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