Editoriali

LIBERI DI SPERIMENTARE

28 gennaio 2006 | Mena Aloia

I giovani sono più colti e sensibili all’equità nei consumi dei loro genitori, ma sono più stressati, individualisti e insicuri di fronte alla società. Per reazione cercano valori, affetti. La crescente individualizzazione è dovuta all’indebolimento di riferimenti forti come famiglia, religione e ideologia politica. Questo è quanto emerge da un’indagine condotta da Eurisko sui giovani italiani tra i 14 e i 34 anni.
Ma è davvero così?

Cosa pensano, cosa sognano i giovani?
Cosa vogliono dal futuro?
Ho fatto un’altra mia piccolissima indagine, pensando di approfondire la questione. Ho interrogato tanti giovani, rappresentativi di tante diverse realtà: vivono in diverse aree geografiche, hanno diversi titoli di studio e diversi stili di vita.
Tutto mi sembrava corretto. Ma poi, quando ascoltavo le risposte pensavo solo a quanto ognuno di noi sia profondamente diverso da ogni altro, indipendentemente dall’età.

Ho incontrato di tutto, da giovani che definire stravaganti è poco, a quelli fin troppo inquadrati. Da ragazzi con mille interessi a quelli di una noia infinita. C’è chi si crea un lavoro dopo aver tanto ragionato e posto delle solide fondamenta e c’è chi, invece, si butta in un’attività anima e corpo, ma con poca testa. E c’è anche chi non pensa proprio di doversi sforzare, il lavoro è un diritto di tutti!

Ma se esiste una tale diversità di pensiero e di azioni, perché dobbiamo cercare di raggruppare tante anime in un’unica vasta categoria: i giovani. E perché così tante volte la “società” si interroga sul ruolo dei giovani, come se poi questa grande tribù non ne facesse già parte.

I giovani sono un po’ come i libri che rimangono invenduti sugli scaffali delle librerie.
Tutti riconoscono la loro importanza, ma quanti li comprano?
Tutti riconoscono che hanno qualcosa da insegnare, ma quanti li leggono?
Pochi hanno un successo vero, chi per merito, chi per fortuna.
Esistono libri di barzellette e barzellette di giovani.
E contro questi ultimi, vedi i vari Costantino o i tanti inquilini della casa del Grande Fratello, piovono puntualmente critiche torrenziali.

Gli “adulti” tutti concordi nel dire che c’è tanta superficialità nei giovani d’oggi.
Ma permettetemi di dire: quanta banalità in queste affermazioni. Non rappresentano i giovani d’oggi, semmai solo una percentuale, credo anche piccola in fondo.
Gli altri, la stragrande maggioranza, riempiono le fabbriche insieme agli “adulti” e devono imparare ad essere flessibili e allora ogni tre, sei mesi meglio farli ricominciare da qualche altra parte.

I giovani sono quelli che negli uffici cambiano le batterie ai mouse dei computer prima che il capo venga preso da immotivato sconforto.
I giovani sono quelli che per amore o per necessità condividono il lavoro con la famiglia d’origine. Gli vien chiesto di fare tutto perché giovani, ma di innovare poco perché privi di esperienza. Il problema è che in famiglia si può restare giovani fino a 60 anni e più.

E, infine, ci sono quelli che decidono di non crescere, che a 30 anni devono ancora capire cosa fare da grandi.
Sarebbe quindi forse meglio non perdere tanto tempo a cercare di capire, di raggruppare, di sintetizzare i pensieri e le emozioni di una popolazione stimata in 15 milioni e 400 mila individui. Bisogna soltanto lasciare ognuno di essi libero di crescere, di sbagliare, di sperimentare.

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