Editoriali 19/02/2016

Il vero olio d'oliva Made in Italy deve ripartire da GDO e consumatori


A Bruxelles dovrebbero smetterla di predicare e praticare un’austerity che ci riduce in mutande e spingere la BCE ad un intervento forte a sostegno degli investimenti e dei consumi mentre a Roma dovremmo smetterla di fare inutili provinciali polemiche e dedicarci a costruire un sistema nuovo di relazioni che, sostenuto dal governo, faccia recuperare terreno alle imprese nel mercato nazionale.

Ecco quattro punti da mettere in discussione su GDO e consumatori.

Si continua a parlare di crisi, e si torna a parlare di ripresa. In realtà la globalizzazione, che sembrava irreversibile, ora è in stand-by – come ha osservato Mario Pacelli - e il commercio mondiale rallenta. In Italia siamo entrati in una fase di crescita lenta, quella slow economy che molti avevano previsto e che noi produttori di olio avevamo messo al centro del nostro congresso di Sorrento nel 2013.
Ma la crisi non ci ha lasciato solo macerie: si sono affermate nuove realtà imprenditoriali, piccole e medie aziende innovative e aggressive, agricole, artigiane, industriali capaci di intercettare nuovi bisogni e di “produrre all’ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo”, come ha scritto Carlo M. Cipolla.
Tra queste l’impresa artigiana del cibo, punta di diamante del sistema agroalimentare italiano, ha saputo resistere ai colpi della crisi ma si è trovata di fronte ostacoli che hanno impedito il successo pieno del suo prodotto anche se proprio la crisi ha cambiato le abitudini del consumatore e il commercio del cibo ha cambiato pelle: negli otto anni di recessione si è affermato il km zero ed è nato il turismo gastronomico, a Eataly si potuto comprare quello che si mangiava. Ora si sperimentano nuovi concept-store culinari e si affermano i prodotti biologici. E poi la Rete con i suoi ecommerce convertiti al food fino all’ingresso di Amazon nel grocery.
Una vera, forte innovazione, ancora una volta, passa per l’universo della Grande Distribuzione dove emergono idee e tendenze nuove: cambia il posizionamento da discount a supermercato, va in crisi l’ipermercato mentre riprende fiato il negozio di prossimità e hanno successo i prodotti “premium price”. I progettisti sono al lavoro per costruire una nuova “dimensione” secondo la cultura del servizio al cliente, mentre i bayer promuovono audit sulla qualità per scegliere i propri fornitori e reindirizzare il food&retail, perché hanno capito che “vendere” alimenti sul vecchio scaffale “generalista” piace sempre meno e che cambiare non significa robotizzare lo scaffale o creare nuovi prodotti a marchio, ma è necessario cogliere i macro e micro trand del mercato che condizionano i comportamenti per costruire una comune strategia di retailer e fornitori per offrire al consumatore una reale possibilità di scegliere e la piena soddisfazione delle sue aspettative.
Sembrerebbe l'uovo di Colombo, ma sappiamo - come dice la legge di Gresham (banchiere del Cinquecento che si riferiva alla moneta, n.d.r) - che "il prodotto cattivo scaccia quello buono". E se questo è vero nel mondo finanziario lo è ancor di più nel mercato alimentare dove il problema principale è il valore del cibo, per cui non basta fare “prodotti eccellenti”, è necessario che artigiani e piccole imprese - “gente che ha capito che per crescere non bisogna soltanto gridare che l’olio è buono(Pescari)”- si diano una cultura d’impresa e una “governance” al passo con i tempi.

L’anno 2015 potrebbe entrare nella storia dell’olio d’oliva. Un anno che ha visto la peggiore crisi di produzione dell’olio che mai si era avuta in Italia: sul mercato si sono commercializzate meno di 200mila tonnellate d’olio d’oliva italiano. Con questo risultato è stato inevitabile una massiccia importazione di olio dall’estero, non sempre di buona qualità, che ha aperto la strada a tutte le mistificazioni possibili. Da ciò sono nati tutta una serie di scandali e di inchieste giudiziarie, da quella della Procura di Torino a quella del Direzione distrettuale Antimafia di Bari, a quella della procura di Trani fino ai sequestri di migliaia di tonnellate di oli contraffatti, il rapporto Eurispes sull’agrimafia e i servizi dei giornali e della televisione sugli scandali nell’agroalimentare del Bel Paese finiti con la classica ciliegina sulla torta dell’inchiesta della CBS americana che deve aver offeso la sensibilità di qualche giornalista di casa nostra che è arrivato a sostenere che l’inchiesta altro non era che un pretesto per favorire l’olio californiano. Di fronte ad avvenimenti come questi era legittimo attendersi una risposta e un impegno degli imprenditori capace di dare alla propria missione nerbo e spessore: una riflessione sull’impatto che la crisi del commercio internazionale può avere sulla produzione/distribuzione dell’olio italiano, con la consapevolezza che di questo tenterà di profittare la criminalità organizzata e quelle imprese che operano ai margini della legalità, come dimostrano le inchieste che affollano le cronache di questi giorni. Al contrario si è preferito procedere con la banale trasposizione di categorie e valori della vecchia politica di casa nostra: un inutile compromesso sul prezzo minimo, una inutile missiva alle pubbliche autorità sulla difesa del made in Italy, una sgangherata polemica su chi sarebbero i veri commercianti di olio taroccato. Mentre a Bruxelles la lobby lavora per far diventare legale ciò che è illegale dal termine ultimo di conservazione all’opposizione al DNA dell’olio dalla depenalizzazione dei reati alla delegittimazione dei panel test. Tutte cose che rendono ancora più evidente che il primo e unico problema è la sopravvivenza dell’olio italiano vero.

Non si vuole prendere atto che il potere di “fare il mercato” sta trasferendosi da quanti producono all’universo dei consumatori. Così come nelle istituzioni conta sempre più la società civile, nell’economia il destinatario dell’azione economica va acquisendo una forza nuova quale condizionatore dell’offerta. “Eravamo abituati ad un immagine del consumatore figlio della società consumistica, un soggetto “debole” - ha osservato Ivano Giacomelli, leader di Rete Italia Consumatori - Il consumatore attuale gioca un ruolo attivo nella ricerca del prodotto da acquistare e chiede nuovi servizi, in grado di fornirgli quelle informazioni necessarie ad uscire dallo “stato di confusione”, indirizzandoli verso l’individuazione dei prodotti che rispondono alla sua “attualità culturale”. Il moderno consumatore (ha ragione Gigi Mozzi, è da lui che bisogna partire) è consapevole che l’uso del proprio denaro come mezzo di scambio per l’acquisto del cibo non consente sprechi e tanto meno mistificazioni e contraffazioni. Ma non legge l’etichetta solo per il prezzo, vuole garantirsi il diritto di sapere quello che c’è dentro una bottiglia per difendere la propria salute e il “valore” del suo lavoro.
Ecco perché per le imprese dell’agroalimentare stare oggi nel mercato vuol dire soprattutto rispettare il diritto dei consumatori ad un cibo buono, sano e nutriente. Per le imprese questo vuol dire aprirsi ad una fase nuova in cui si giudica criminale quanti praticano la frode in commercio o la truffa alimentare. Ed infine stare oggi nel mercato significa elevare i livelli di qualità e sviluppare nuove azioni di marketing perché, come ha scritto Pacelli, il tempo del multilateralismo è finito, e cioè volge al termine l’equilibrio commerciale che ha garantito mezzo secolo di sviluppo determinando una caduta delle esportazioni mentre emerge la tendenza dei patti bilaterali e di nuove politiche autarchiche per favorire lo sviluppo dei consumi interni.
In questo contesto è facile prevedere, per quanto riguarda l’olio d’oliva, che le aziende esportatrici tenderanno a compensare con più larghe fette del mercato interno la caduta delle esportazioni. Tocca alle imprese artigiane difendere lo spazio che si sono guadagnate sul mercato nazionale collaborando con la GDO per:
- interpretare con nuove modalità espositive la categoria dell’olio d’oliva
- ottimizzare il posizionamento del prezzo recuperando marginalità
- superare la pratica delle promozioni dell’olio gadget

Il nostro è un tempo nuovo: non serve scrutare il futuro con lo sguardo rivolto al passato. Il cibo italiano, è stucchevole ripeterlo, ma pare non inutile a giudicare dalle trombonate d’annata che si leggono, non è un prodotto tra i tanti, non è una qualsiasi commodity, è un modo di vivere, una tradizione e una cultura.
Guardiamo al futuro. “Chiudiamo il libro dei sogni, smettiamo di scrivere ogni giorno il diario che racconta la quotidianità della nostra tribù, quella chiusa nella Riserva Indiana dell’Olio vero (Pescari)”. È venuto il tempo del cambiamento, dell'innovazione, della governance. Se da una parte dobbiamo rivendicare il valore del cibo, denunciare le mistificazioni, dall’altra dobbiamo lavorare ad una riforma radicale e profonda del mercato. Riguarda tutti, agricoltori che devono vivere del loro prodotto e non di rendite di posizione, frantoiani che devono saper fare l’olio con le olive e non con le carte, artigiani che devono imparare a stare insieme e fare impresa, imbottigliatori che devono avere rispetto delle regole e dei consumatori.
Ripartiamo dalla cultura, dalla qualità dei prodotti, dalla collaborazione tra i diversi attori del mercato per creare le alleanze necessarie a recuperare terreno nel mercato nazionale. E allora ripensiamo il sistema costruendo un'alleanza tra produttori/fornitori e distributori per dare ai consumatori la concreta possibilità di riconoscere/scegliere ciò che è buono, sano e nutriente, meglio se made in Italy.

di Giampaolo Sodano

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Commenti 1

NICOLA BOVOLI
NICOLA BOVOLI
22 febbraio 2016 ore 12:35

Finalmente una presa di posizione intelligente e matura! Bisogna prendere atto che il consumature si è evoluto e comincia a chiedere qualità per ciò che acquista. Mi ritorna in mente un poster di Slow Food in cui si fa un paragone tra l'olio che compriamo per il motore della nostra auto e quello che compriamo per il motore del nostro corpo. Perchè il consumatore è disposto a spendere 18 € per un olio "minerale" destinato al motore della sua automobile e non è disposto a spendere la stessa cifra quando acquista l'olio destinato al buon funzionamento del proprio corpo?
Io credo che ci sia un futuro per l'Olio di qualità perchè il consumatore è e sarà sempre più consapevole che la propria salute è un bene molto più importante di un'automobile destinata a essere sostituita a breve.
E' importante però, come conclude Sodano, che venga rafforzata un'alleanza tra produttori, fornitori e distributori per dare ai consumatori consapevoli la concreta possibilità di riconoscere e scegliere un Olio di qualità BUONO PULITO e GIUSTO!