Editoriali

Cibo low cost, la truffa è in agguato

25 luglio 2014 | Ernesto Vania

A finire nel mirino delle autorità è stato di nuovo l'olio extra vergine d'oliva. Ma poche settimane prima vi sono stati i frutti di bosco surgelati. Ancora prima la carne di cavallo mischiata con altre carni per abbattere i costi.

Sono tutti scandali ma apparentemente nulla accomuna questi casi, tranne il fatto che riguardassero alimenti dal basso prezzo, da offrire in promozione o come prodotto civetta.

Il particolare non è trascurabile ma sarebbe ingiusto e anche insensato diffidare di tutti i prodotti low cost presenti sugli scaffali.

Si sa che c'è un rapporto tra la qualità che si compra e il prezzo che si paga.

Nessuno è tanto ingenuo da non saperlo. Far finta di ignorarlo è persino offensivo nei confronti del consumatore, che non è tanto inesperto quanto a volte viene dipinto.

Il problema, allora, è a monte, ovvero ai compromessi a cui l'industria alimentare è disposta a scendere pur di offrire il prezzo più basso e far schizzare così in alto il fatturato. La questione da affrontare è se l'industria alimentare, da qualche anno, abbia fatto proprio un atteggiamento speculativo.

Nel senso comune del termine per speculazione si intende una qualunque operazione intesa a ottenere un vantaggio o utile sfruttando senza scrupoli situazioni favorevoli, spesso a danno di altri soggetti o dell'interesse generale. E' dunque chiaro che non vi è nulla di etico e morale nella speculazione.

E' noto che l'industria alimentare ormai terzializza non solo l'approvvigionamento della materia prima ma anche la produzione stessa. Lo fa a condizioni capestro, inferiori alle condizioni di mercato. Non deve quindi stupire se le imprese affidatarie dell'incarico si “arrangiano”. Dubito, conoscendo il know how e la professionalità dei dipendenti dell'industria alimentare, che ne siano all'oscuro. Piuttosto credo che fingano, perchè finchè possono affermare di non sapere il loro onore e quello del marchio che rappresentano è salvo.

E' un po' come se la casalinga di Voghera che va ad acquistare da un vù comprà la finta borsa di Hermes si possa lavare la coscienza dicendo che non sapeva che quella borsa fosse falsa.

L'incauto acquisto da parte del cittadino è punito. Quello dell'industria alimentare no.

L'industria alimentare può imporre praticamente ogni tipo di condizione capestro e poi, una volta scoperta la truffa, spacciarsi pure per vittima.

Come se la signora di Voghera, fermata dalla polizia municipale, si scandalizzasse quando le dicessero che la borsa è falsa.

Se e finchè l'industria, per innalzare i profitti, adotterà un atteggiamento speculativo non vedo altra soluzione che introdurre il reato di incauto acquisto anche nella filiera agricola e alimentare.

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