Editoriali
La Spagna olearia a rischio ammutinamento
19 gennaio 2013 | Ernesto Vania
Ritorno da un viaggio in Spagna con la netta sensazione che, nel nostro paese, non abbiamo capito nulla delle dinamiche e strategie iberiche.
Percepiamo la Spagna come un monolita che si muove all'insegna del motto dei moschettieri, uno per tutti e tutti per uno, ma non è così. Le tensioni esistono anche nella filiera olivicola-olearia spagnola, la cui struttura, però, impedisce che deflagrino in maniera tanto vistosa come accade in Italia.
La situazione è drammatica, con migliaia di produttori sull'orlo del collasso economico-finanziario, con prezzi che, fino a qualche settimana fa, sono stati ben più bassi del costo medio di produzione che viene calcolato in Spagna tra i 2,80 e i 3 euro/kg. Fino ad oggi sono state le cooperative, piccole, medie e grandi, a tamponare le falle e a fare credito alle imprese olivicole, attraverso forniture di mezzi tecnici e anche di servizi i cui pagamenti sono stati dilazionati quasi sine die. Una situazione che ha però portato a una grave crisi finanziaria proprio le cooperative che hanno cercato di farvi fronte alleandosi e unendosi.
Nel frattempo la Spagna ha cercato di costruirsi una base industriale importante, anche attraverso l'acquisizione di primari marchi italiani. Sos Cuetara, ora Deoleo, però si è indebitata a tal punto da essere costretta a una forte ristrutturazione che però risulta ancora insoddisfacente.
Ecco allora l'idea di unire due debolezze, la grande Cooperativa Hoijblanca e Deoleo, per tirare a campare ancora un po'.
Nel frattempo si cerca di tenere a freno il malcontento attraverso un trucco vecchio come il mondo: l'individuazione di un nemico comune. Naturalmente mi riferisco all'Italia. E' difficile assistere a un convegno, un seminario o un evento senza sentire strali contro il nostro paese, reo di essere la nazione delle truffe e delle frodi che si arricchisce alle spalle degli olivicoltori spagnoli. Fare presente che molti noti marchi italiani sono iberici è inutile, vai a sbattere contro un muro di gomma, almeno fino a qualche mese fa.
E' infatti iniziata una lenta virata del galeone spagnolo, forse capendo che la strategia di basare tutta la loro economia olearia su volumi, di fatto ignorando i margini, rischia di essere perdente di fronte all'assalto di altre realtà più competitive, come quelle nord africane o turche.
Ecco allora che emergono le prime contraddizioni, e quindi anche crepe, nel mondo olivicolo-oleario spagnolo tra chi comincia a vedere nella qualità, ovvero la strada italiana, un'ancora di salvezza e chi invece vuole proseguire nel percorso di industrializzazione dell'olio d'oliva.
La campagna in corso, seppure i prezzi siano in netta ascesa, non ha affatto placato gli animi poiché il livello della produzione non permette comunque agli olivicoltori di conseguire un reddito adeguato. Molti oliveti non sono stati raccolti e non verranno raccolti perchè l'impresa viene considerata antieconomica.
Il rischio più grande, oggi, non è che la barca olearia spagnola affondi ma che l'equipaggio si ammutini.
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Duccio Morozzo
19 gennaio 2013 ore 16:22Buongiorno,
condivido le sue parole. La Spagna non mi ha mai spaventato troppo ma non si può negare che negli anni passati l’Italia abbia additato come principale capro espiatorio dei suoi problemi proprio la penisola Iberica. Diverse le argomentazioni ma uno stesso obiettivo: scaricarsi di dosso le proprie colpe. Ora che i principali competitor si mettono sulla nostra scia (alcune azienda spagnole lungimiranti lo hanno giò fatto da alcuni anni), è importante per l’Italia raggiungere una nuova vetta e dare una nuova direzione all’olio di oliva mondiale. Dimostriamo che siamo ancora leader di qualità e innovazione oppure sarà una lenta agonia. Siamo fermi ormai da troppi anni e la percezione della “qualità italiana” nei mercati internazionali non è più la stessa di 5-10 anni fa. ed effettivamente spesso non hanno tutti i torti.
Cordiali saluti
Duccio Morozzo