Editoriali

E DIO DOV’E’?

19 febbraio 2005 | Sante Ambrosi

Il maremoto avvenuto nel mare dell’Indonesia, con la strage di migliaia di bambini, donne e uomini che n’è seguita, ha riproposto oltre che i gravi problemi di ordine economico e sociale, anche uno ben più insidioso sulla presenza di Dio.
Sono stati scritti molti articoli e si sono succeduti dibattiti in diverse sedi per rispondere a questa semplice ma inquietante domanda: dov’era Dio in quel momento? E perché ha permesso un tale disastro?

Non è possibile raccogliere le varie risposte, ma focalizziamo in modo riassuntivo le due posizioni più significative e rappresentative del problema in questione.
Da una parte ci sono - come sempre quando si ripropone il tema del dolore umano, soprattutto di quello innocente - coloro che si rifiutano di ammettere l’esistenza di un Dio.
Se Dio ci fosse - così ragionano - non potrebbe permettere disastri del genere.
E’, in fondo, la posizione che troviamo nei ragionamenti di Ivan Karamazov con il fratello, nella celeberrima opera di Dostoevskij, I fratelli Karamazov.
Ivan non può accettare che Dio stia in silenzio di fronte al dolore di un innocente: “Tutto il sapere del mondo – afferma - non vale le lacrime di una bambina che invocava il buon Dio”. E, concludendo il suo ragionamento, afferma che non crede possa esistere un Dio dal momento che nell’umanità esiste tanto dolore innocente, ma, aggiunge, che se per ipotesi lui ci fosse, Ivan Karamazov lo giudicherebbe e lo condannerebbe per aver permesso anche solo un lacrima di un tale ingiustificato dolore.
Dio, dunque, non c’è e non può esserci perché incompatibile con il male che c’è nel mondo, sia che riguardi il male fisico, sia quello provocato dall’uomo, il male morale.

In tutto questo ragionare c’è un concetto di Dio certo, definito entro i nostri schemi, i nostri ragionamenti. Ma viene subito una domanda: chi è questo Dio? Siamo certi che questo Dio negato corrisponda realmente al Dio esistente?
Una corrente teologica in Germania rilesse, allo scoppio della prima guerra mondiale, il pensiero di Nietzsche e concluse che aveva ragione nel dichiarare che il Dio della tradizione borghese era morto. Bisogna ritrovare il Dio totalmente altro rispetto a quella filosofia e teologia che tanto aveva discusso di Lui. Ma si può dire anche che il Dio negato non è Dio.
Altra faccia della stessa medaglia è la posizione di molti credenti, cristiani e non, che hanno subito espresso delle risposte facili di fronte a questo non facile problema. Essi trovano facilmente delle spiegazioni ogni volta che l’uomo si interroga sulla presenza di Dio nella storia, o parlando di punizioni o di occasioni facilmente interpretate come segno della sua presenza. Così si torna a parlare di castighi di Dio o della presenza del demonio nella storia, in un conflitto perenne con lo stesso Dio, come se tutto fosse questione di guerra tra due popoli, tra due nemici irriducibili e dalle sorti non chiare.

Non si vuole qui mettere in discussione la presenza del male nella storia dell’umanità, ma si intende semplicemente affermare che troppo facilmente nel nostro parlare di Dio ci sono schemi troppo umani e, quindi, non corrispondenti al vero. Se vogliamo parlare di Dio dobbiamo individuare altre strade, uscire dai nostri schemi mentali e culturali e rileggere quanto sta scritto nella Bibbia e soprattutto nel punto culminante di questo libro: la morte di Cristo sulla croce.

Perché è su questo evento che la domanda diventa rivelatrice: dov’era Dio Padre nel momento in cui suo Figlio, il figlio prediletto, moriva in croce? Non possiamo pensare che Egli avesse bisogno di un atto riparatore per le colpe dell’umanità per riconciliarsi con l’uomo. Anche questo è un modo troppo umano di parlare di Dio e avrebbe ragione Ivan Karamazov perché qui siamo di fronte alla creatura più innocente della nostra umanità.
Possiamo semplicemente dire che Dio era lì a soffrire con il Figlio l’ingratitudine dell’uomo e piangere con lui nella sua sofferenza, benedicendo quella sofferenza e caricandola di promesse, della promessa del riscatto. Sì, perché la sua presenza non è caratterizzata dalla forza immediatamente e visibilmente vincente. Non per niente il Cristo che muore si lamenta “Dio mio, perché mi hai abbandonato”, ma subito fa un atto di fede “rimetto il mio spirito”.

Credere nella provvidenza di Dio non è un vedere, non è un trionfalismo come spesso si pensa. Anche un illustre filosofo, Giulio Giorello, commentando questi episodi ha parlato della Provvidenza del Manzoni nei Promessi sposi come qualcosa che stride con la realtà. Ricordate Alessandro Manzoni? A migliaia crepano di peste perché Renzo e Lucia possano finalmente realizzare il loro sogno di matrimonio”. Certamente questo è un modo falsificante di interpretare la Provvidenza, non solo di Manzoni, ma del cristianesimo.
In Manzoni la Provvidenza è qualcosa di molto più serio di quanto lasci intendere Giorello, ed anche di molto più problematico, tanto è vero che nella sua vita, soprattutto negli anni della sua vecchiaia, ha visto poco la presenza trionfalistica di Dio, ma ha continuato a credere. Anche la storia di Renzo e Lucia va vista non tanto come realtà ripetibile quanto come metafora e simbolo di una realtà che ci supera e che ci accompagna nella delusione e nel nostro non vedere.
Credere nella presenza di Dio, dunque, significa credere in una presenza misteriosa ma reale, che condivide le sconfitte dell’uomo, che soffre e piange, ma che nello stesso momento si impegna con tutta la sua forza di amore e impegna l’uomo nel suo tortuoso camminare per vincere limiti e condizionamenti, sia naturali, sia morali.

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