Editoriali
Cucinare con l’olio di oliva giusto significa dare dignità agli ingredienti

In un tempo in cui la cucina si è spesso ridotta a tecnica, estetica o performance, abbiamo dimenticato che cuocere è prima di tutto un atto di cura. L’olio è il tramite tra la materia prima e la sua trasformazione più profonda
01 settembre 2025 | 16:00 | Fabio Ferrara
Circa quindici anni fa, durante un corso dell’ASSAM Marche sull’olio extravergine di oliva, si è aperto per me un mondo allora sconosciuto: profumi, sapori, consistenze, scale olfattive. Un universo complesso che andava ben oltre il semplice condimento. Da lì è iniziato il mio percorso di ricerca e sperimentazione sull’abbinamento tra olio e cibo, non solo a crudo ma soprattutto in cottura.
Seguendo la scuola dell’ASSAM, che insegna l’uso dell’olio in concordanza con gli ingredienti, mi sono chiesto: se uso per fare un piatto un pomodoro, perché non scegliere un olio che ne richiami le stesse note aromatiche? Ho deciso di spingermi oltre, esplorando l’uso in contrapposizione: abbinare oli con sentori opposti a quelli del piatto per esaltare entrambe le componenti.
Questo mi ha portato a un’osservazione fondamentale: l’olio d'oliva, se scelto e utilizzato correttamente in cottura, modifica radicalmente l’esito l'espressione organolettica del piatto, tanto nel sapore quanto nel valore nutrizionale. I sentori secondari dell’olio interagiscono con i vegetali e le proteine, trasformando ogni ingrediente.
Ricordo con chiarezza una lezione del professor Servili sull’importanza dei polifenoli in cottura: da quel momento ho iniziato a comprendere davvero il potere dell’olio. Un olio extravergine di oliva con alto contenuto di polifenoli protegge le proteine animali durante la cottura. Ho studiato, testato, sperimentato abbinamenti con diversi oli su differenti ingredienti, e il risultato è stato sorprendente: l’olio non è un semplice veicolo di calore, ma un attivatore di sapore e un potenziatore delle proprietà nutrizionali.
Ad esempio, da un’analisi condotta personalmente sulla cicoria, ha mostrato che, cotta solo in acqua, mantiene gli stessi livelli di vitamina K e inulina rispetto alla versione cruda. Ma aggiungendo un solo cucchiaio di olio monovarietale “Ascolana Tenera” (polifenoli: 450 mg/kg), i livelli aumentano del 32%. Con la “Coratina” (oltre 900 mg/kg di polifenoli), l’incremento arriva al 78%. L’olio, in questo caso, diventa un vero co-fattore nutrizionale.
Il problema è che oggi si parla quasi solo dell’olio a crudo, per una falsa credenza dettata dai principi nutrizionali che ne sconsigliano la cottura, come se bastasse metterlo sopra una pietanza già cotta per valorizzarla. Ma è come dare ossigeno a un corpo ormai privo di vita. Una materia cotta senza olio è una materia morta: l’olio messo a crudo dopo non può più salvarla. Invece, durante la cottura, l’olio protegge, amplifica, esalta. È un mezzo che sprigiona tutte le potenzialità nascoste del cibo.
Sto portando avanti questo lavoro con il dott. Gianleo Berardinelli, Biologo Nutrizionista impegnato da anni su uno studio di ricerca che mette in risalto le virtù dell'olio EVO, ponendo particolare attenzione all'effetto della variazione di glicemia ed insulina, e con il professor Sacchi dell’Università Federico II. Mancano studi specifici che analizzino le modifiche chimiche ed organolettiche della materia prima cotta con e senza olio. Ci si concentra quasi solo sulle proprietà dell’olio prima e dopo la cottura, ma non sulla sua reale interazione con gli alimenti.
Inoltre, nelle mie cotture con olio, non utilizzo mai il sale: la sapidità la estraggo dalla materia stessa, usando magari un pepe di altissima qualità, che accompagna e non copre.
Il professor Lionetti, primario di radiologia a Pisa, nel suo libro La Ristoceutica, parla proprio del ruolo funzionale dell’olio e di certi alimenti che andrebbero consumati regolarmente, come il soffritto e perfino la frittura, che può diventare uno stimolo benefico per il fegato se realizzata con olio EVO di qualità.
Anche la dottoressa Farnetti sta approfondendo l’uso dell’olio in cottura come tema di ricerca. Ma io, in cucina, ci lavoro ogni giorno: so quale olio usare per ogni ingrediente, e soprattutto perché.
La frittura in olio extravergine dovrebbe essere rivalutata: se ben gestita, è un metodo di cottura ricco di benefici. Per chi lavora nella ristorazione o semplicemente cucina a casa, usare l’olio in modo consapevole è possibile e necessario. Non servono altri oli industriali o alternativi: serve conoscenza, attenzione e cultura.
Oggi anche molti grandi chef parlano genericamente di “olio EVO” nelle ricette, senza specificare quale varietà usare o per quale motivo. Ma ogni olio ha un suo profilo chimico e aromatico, e andrebbe trattato come un vero ingrediente, al pari di una spezia o di un’erba aromatica.
Nel mio ristorante di montagna, l’Osteria del Tarassaco a Rivisondoli, in Abruzzo, non ho un menu fisso, né una carta degli oli o dei vini. Seguo la stagionalità e lascio che i piatti raccontino la mia visione del cibo nutraceutico, dove ogni elemento è bilanciato per le sue proprietà nutrizionali oltre che per il gusto.
Oggi lavoro con 72 monovarietali diversi: ciascuno ha un utilizzo preciso, non solo nel servizio, ma soprattutto in cucina, in fase di cottura. Se sbagli olio, comprometti la struttura organolettica del piatto e ne ostacoli anche la digestione. Se invece usi l’olio giusto, ne potenzi le peculiarità e ne migliori il valore nutrizionale.
L’olio come gesto culturale
L’olio in cottura non è soltanto un ingrediente funzionale o un potenziatore nutrizionale. È, prima di tutto, un gesto culturale. Una scelta che racconta chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare con il nostro modo di nutrirci.
In un tempo in cui la cucina si è spesso ridotta a tecnica, estetica o performance, abbiamo dimenticato che cuocere è prima di tutto un atto di cura. L’olio, nella sua presenza silenziosa ma determinante, è il tramite tra la materia prima e la sua trasformazione più profonda. Non un semplice grasso, ma una chiave di lettura del cibo stesso.
Cucinare con l’olio giusto significa dare dignità agli ingredienti, valorizzarne l’anima, accompagnarli senza forzarli. È un dialogo sottile tra natura e cultura, tra il sapere antico e la scienza moderna, tra l’intuizione del cuoco e il rispetto per la salute.
Per questo considero ogni varietà di olio come un compagno di viaggio. Ognuno ha un carattere, una funzione, un tempo e un luogo. E il cuoco – oggi più che mai – ha il compito di saperli ascoltare.
L’olio in cottura è una scelta di verità. È un ritorno all’essenza della cucina come nutrimento, come equilibrio, come atto consapevole.
Ed è da qui che, forse, può nascere una nuova idea di gastronomia: una gastronomia viva, che sa che la salute inizia proprio da ciò che scegliamo di mettere in padella.
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