Editoriali

BRAVI RAGAZZI

13 novembre 2004 | Sante Ambrosi

Sull’episodio dei giovani del liceo Parini, che hanno allagato la scuola per evitare un compito in classe, si è molto parlato e scritto. Non si conoscono esattamente le cifre esatte del danno materiale, ma si parla di una somma che va dai trecento mila euro ai cinquecento, secondo i preventivi. Si sa, però, che i preventivi sono sempre inferiori alla realtà. Comunque la cifra è enorme e chissà chi pagherà veramente alla fine. Ma non è di questo che voglio scrivere. Senza la pretesa di avere l’interpretazione esaustiva dei motivi che hanno portato questi giovani a commettere una tale bravata, come molti hanno definito l’episodio increscioso, mi sento di esprimere alcune considerazioni che ho maturato in questi giorni.

Prima di tutto una parola sul perché sia successa una cosa del genere, come mai, cioè, dei giovani educati da buone famiglie siano arrivati a tanto, senza prevedere le conseguenze del gesto che stavano per compiere. Ho letto interventi che affermavano che in fondo sono dei bravi ragazzi, non molto diversi dagli altri compagni.
Il problema sta proprio in questa affermazione: questi nostri bravi ragazzi hanno perso il senso del limite delle loro bravate. Il motivo di fondo sta nel fatto che i nostri giovani crescono in un clima culturale che non conosce più, o tendenzialmente non conosce più regole, leggi, difficoltà.

Questa nostra cultura non vuole saperne delle regole morali, dei limiti, tutto deve essere facile, a portata di mano, tutto deve avere il consenso da parte di tutti, niente deve essere imposto, tutto deve essere tollerato. Ciò che implica sacrificio deve essere eliminato. Anche gli esami devono o sparire o essere del tutto addolciti, in modo da non conturbare gli animi fragili dei giovani. La cultura odierna sta diventando del tutto tollerante e permissiva. Ma una tale società non può conoscere la trasgressione. Dove possiamo trovare la trasgressione se tutto è tollerato?

I giovani per trasgredire, o semplicemente per contestare il mondo degli adulti si trovano in seria difficoltà, perché la trovata faccia colpo; e devono inventarsi qualcosa di veramente grave.
Un tempo anche la piccola deviazione era avvertita chiaramente, circoscritta e punita. Ora è sempre più difficile. E lo si è visto nella discussione che è seguita all’episodio: molti professori hanno spedito una lettera al ministro dell’Istruzione per capire se lo statuto della scuola poteva prevedere una sanzione più significativa dei quindici giorni di sospensione previsti dalla norma e attuata dal consiglio di classe. La risposta del ministro è stata immediata: quella è la legge, ha detto in sostanza, aggiungendo che il compito della scuola è quello di ricuperare e non di punire. Quindi, niente sanzioni adeguate al danno, perché sono giovani.

In sostanza il ministro si è comportato secondo la tendenza in atto: minimizzare al massimo il fatto, non colpevolizzando i giovani. In questo ci può essere una ragione se pensiamo che i giovani sono vittime, prima che soggetti di un tale episodio. Ma non chiarendo questo particolare, c’è il rischio di avallare un comportamento di irresponsabilità che a lungo andare può diventare devastante per il futuro. E poi, questa tendenza a non ritenere responsabile il giovane non solo sarà devastante per la società, ma è anche segno di una povera stima dei giovani. Il considerarli, infatti, sempre fragili, ma buoni ragazzi, significa che li riteniamo un po’ come dei minus habentes, come sono appunto i fanciulli, o come i deboli di mente. Anche questo è un sintomo poco tranquillizzante.

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