Editoriali
L’olivicoltura del III millennio sarà etica, solidale ed ecosostenibile
22 novembre 2013 | Massimo Gargano
Ringrazio Teatro Naturale per l’opportunità che offre ad Unaprol con questo contributo e vorrei cogliere la circostanza per lanciare alcune provocazioni su temi di attualità che interessano i lettori consumatori, le imprese, il mercato e le sue regole.
Il futuro dell'olivicoltura italiana è intimamente e direttamente legato al reddito delle imprese olivicole, se c'è reddito c'è futuro , ci sono giovani che si impegnano, la qualità si esalta ancora di più, gli investimenti trovano coraggio e risorse per essere attuati. Di pari passo la produzione nazionale crescerà e l'abbandono diverrà un fenomeno da raccontare da parte di chi è deputato a raccontare il passato. Il problema è avere in olivicoltura un reddito che ripaghi il lavoro e consenta una qualità della vita accettabile.
Oggi è difficile far reddito in questo settore, molto difficile. La cosiddetta agropirateria domina ancora nella grande distribuzione italiana e sui mercati internazionali maturi sul fronte dei consumi, mentre su quelli emergenti il padrone assoluto è il prezzo basso ed il prodotto di dubbia provenienza, le nuove aree di produzione giustamente premono per affermarsi. Penso all'Australia, all'Argentina e lo fanno con prodotti che nella stragrande maggioranza dei casi sono lontani da quel concetto di alta qualità certificata e tracciata che è il vanto del nostro sistema di eccellenza. La globalizzazione delle economie e dei comportamenti ha abbassato la soglia della conoscenza e della curiosità oltreché quella della capacità di spesa, insomma un quadro a tinte fosche al quale vi è però un modo di reagire per tornare in tutta fretta al reddito.
Dobbiamo dotare questo Paese Italia di una idea diversa del suo futuro. Abbiamo bisogno di un modello di sviluppo possibile e non clonabile in grado di competere sui mercati con i valori della distintività dei territori. 350 varietà di olive derivanti da una novantina di cultivar in produzione, quarantadue Dop ed una IGP. Questa è la sfida strategica ed anche il nostro punto di partenza. Se la “Politica” accetta questo tipo di approccio, allora nelle molte leggi di stabilità l'agricoltura tutta, e l'olivicoltura per prima, divengono strumento per migliorare la salute dei consumatori e non siamo noi ad affermarlo ma i numerosi studi effettuati dalle migliori Università italiane che ci forniscono la più ampia dimostrazione; l’olivicoltura che dà reddito aiuta anche a migliorare la stabilità idrogeologica dei territori e a rimarginare le ferite inferte dall'abbandono e dalla successiva edificazione. Ve ne sono testimonianze diffuse in diverse zone del Paese; e poi ancora se attuata la ormai sempre più improcrastinabile semplificazione burocratica che in olivicoltura, come in altri settori, è un modo di fare politiche sociali pagate dalle imprese sarebbe fondamentale per recuperare reddito; dare ulteriore sostegno al sistema dei controlli a cui con una mano si danno strumenti, vedi la cosiddetta fondamentale legge salva olio (la Legge Mongiello), e con l'altra si tenta di sterilizzare il lavoro in paludose pastoie burocratiche pseudo europeiste;
Dobbiamo rimettere al centro delle nostre attenzioni il turismo della bellezza e delle diverse qualità, archeologiche , culturali , paesaggistiche, dell'artigianato e della moda ma soprattutto alimentare che, tutti sono d’accordo nel considerare la vera unica leva di crescita per l'Italia. L’Italia è la patria dei mille colori e dei mille sapori dell’olio extra vergine di oliva di alta qualità. Il nostro Paese è primo nel mondo per produzioni di alto pregio. I veri oli extra vergini di oliva “made in Italy” si distinguono sul mercato mondiale perché tutti legati a territori diversi che imprimono al prodotto un carattere distintivo unico ed irripetibile. Una sorta di DNA che non è clonabile come ha già fatto su scala mondiale, per gli oli standard, un mercato poco attento al concetto della qualità.
Intere aree del Paese sono caratterizzate dalla coltura dell’olivo, senza però che questo costituisca un riconoscimento tangibile da parte della collettività, dello Stato. Un esempio; non si riesce a dare un valore commerciale ad una coltura fortemente etica. L'impronta carbonica di un oliveto è paragonabile a quella di una foresta e solo per questo motivo l’olivicoltura meriterebbe di essere al centro di scelte vere e non di inutili annunci e citazioni.
In conclusione vorrei sostenere che le imprese olivicole italiane sono pronte a far la loro parte, hanno la consapevolezza di essere un concentrato di valori e di valore ma soffrono di essere ancora vittime di un "piccolo mondo antico" ammuffito e ripiegato su stesso fatto di rendite e consorterie che le impediscono di liberare le enormi potenzialità. Ciò fa male al Paese e ai suoi giovani, al portafoglio, alla salute, ai territori ed al futuro. C’è però sempre più una coscienza collettiva di queste debolezze unita alla capacità di distinguere tra chi fa annunci e chi, pur tra mille difficoltà, vincendo anche qualche paura cerca di trasformare le esigenze delle imprese in opportunità cogliendo le opportunità del mercato e della legislazione regionale, nazionale ed europea senza tralasciare il tavolo degli accordi intergovernativi. In questa competizione Unaprol è in prima fila con Coldiretti e consapevole di questa sua alleanza strategica con le imprese e della forza di questa rappresentanza in campo nazionale e internazionale, continuerà ad esercitare un ruolo che possa fornire il migliore contributo allo sviluppo generale del settore olivicolo ed oleario, dell’intero comparto e del mercato dell’olio di alta qualità di questo Paese.
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giampaolo sodano
23 novembre 2013 ore 14:33non vi è alcun dubbio che le cose scritte da massimo gargano siano cose giuste e non solo. sono un patrimonio di idee e di strategie condivise senza alcuna distinzione generazionale o politica. c'è solo un problema da risolvere perchè queste idee possano affermarsi: ci vogliono le gambe per farle camminare. ci vuole una classe dirigente capace di dargli attuazione concreta, avendo la volontà di cambiare strada nel governo della cosa pubblica. purtroppo guardando in giro non c'è da stare allegri. volete un esempio? la discussione nelle sedi competenti sull'alta qualità dell'olio dalle olive. l'ultimo furbesco ritrovato delle burocrazie e la somma stupidità degli uomini ha partorito una nuova definizione che si andrà ad aggiungere alle astruse definizioni che già popolano le nostre etichette in modo da rendere, se possibile, ancora più incomprensibile al consumatore ciò che c'è dentro una bottiglia d'olio. con buona pace di massimo gargano e delle sue idee.