Cultura

CON GLI OCCHI DI MAURIZIO CUCCHI

I lettori di "Teatro Naturale" già conoscono il nostro salotto buono all'interno della sezione "Le stanze". Riproponiamo in prima pagina due brevi note su Albert Camus e William Faulkner. Due grandi autori del Novecento da riprendere in considerazione

07 febbraio 2004 | Maurizio Cucchi

In vena di riletture, sono tornato a quando avevo vent’anni, e mi sono riletto L’étranger e La peste. Bellissimo il primo, anche alla terza lettura, lodevole il secondo. A beneficio e incoraggiamento di chi non se lo ricordasse, ricordo il finale del primo, che traduco: “Molto vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e vicina a rivivere tutto. […] Perché tutto sia consumato, per sentirmi meno solo, posso solo augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio.” E per La peste, nobilissmo romanzo in cui tutto è controllato dall’intenzione, la convinzione di Camus, che condivido (e che è contro il luogo comune più scontato), secondo la quale, comunque, l’uomo è più disposto a fare il bene che il male, anche se il bacillo della peste non muore e non scompare mai.



Grandissimo Faulkner. Eppure, mi dicono che non lo legge più quasi nessuno. Eppure i suoi libri si ristampano in importanti collane. Forse il gusto contemporaneo vuole il facile, la cosa che si consuma subito, o che ha caratteri di immedicabile identificazione. Dunque leggere un autore così complesso è troppo faticoso. Io, invece, lo rileggo. L’ho fatto con Assalonne Assalonne, e con L'urlo e il furore, e il premio è stato grande. A volte, diciamolo pure, Faulkner è quasi illeggibile, tanta è la fatica a cui ci costringe. Ma anche quando non capisci, capisci sempre che c’è sotto qualcosa di importante, talmente denso e spesso che non riesci a trapassarlo. Assalonne Assalonne, per esempio, è mirabile per tante cose; ma soprattutto per il senso del tempo che contiene, per come le cose si iscrivono nel tempo e dal tempo riemergono per chi vada cocciutamente a ricercarlo. L’urlo e il furore ha pure tante cose indimenticabili. Ma quelle scene viste con l’occhio dell’idiota… Ci fanno anche avvicinare, a volte, a quello che forse può essere il senso delle cose, il rapporto con l’esterno dell’animale. Come quando Benji prende in mano la ciabatta e dice che, così, oltre allo specchio e alla fiamma che vedeva nello specchio, poteva vedere anche…la ciabatta. Un’elementarità impressionante, un rasoterra minimo e sordido senz’ombra di minimalismo.

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