Cultura 08/03/2024

Le potenzialità dei sistemi agroforestali di olivo: dall'antichità in Sicilia ai nostri giorni

Le potenzialità dei sistemi agroforestali di olivo: dall'antichità in Sicilia ai nostri giorni

Le fonti romane sembrano suggerire che gli olivi fossero piantati secondo schemi specifici per ospitare altre colture. Dal passato al presente: le potenzialità dei sistemi agroforestali di olivo in termini di valore energetico, ecologico ed economico


Gli olivi secolari come archivi viventi delle interazioni uomo-natura per capire meglio che cosa ha guidato le dinamiche di cambiamento e persistenza nel corso del tempo.

I sistemi agroforestali basati sull’olivo presentano struttura tradizionale come bassa densità di impianto, bassi input agronomici, assenza di irrigazione, poca meccanizzazione e la presenza di olivi secolari. In un tipico modello agroforestale, l’olivo è coltivato insieme a colture orticole e arboree, in combinazione con specie foraggere e da granella o con alberi della foresta circostante. L’elevata eterogeneità ambientale siciliana ha portato allo sviluppo storico di sistemi di coltivazione diversificati e il modello sviluppatosi si colloca tra agricoltura e pratiche selvicolturali: sistemi intercalari in cui gli alberi da frutto (olivo ma anche carrubo, mandorlo, nocciolo, castagno) svolgono un ruolo ecologico centrale. Inoltre, gli olivi si trovano spesso in zone collinari, associati a specie erbacee e arbustive regolarmente pascolate. Oggi però assistiamo a sempre maggiore degrado ecologico, paesaggi storici che svaniscono, monocoltura cl posto di sistemi policolturali e agroforestali o all’abbandono delle campagne. Gli olivi secolari però restano un patrimonio bioculturale, un prezioso archivio storico in paesaggi in rapida evoluzione, e offrono l’opportunità scientifica unica di studiare le dinamiche uomo-natura, analizzando le pratiche di uso del suolo come guidata dalla progettazione di uno spazio ecologico che dovrebbe essere il più possibile funzionale ai fini del sostentamento.

La storia dell’olivo e dell’olivicoltura in Sicilia, un patrimonio bioculturale

Per approfondire il tema, una ricerca italo-svedese esamina l’ecologia dei sistemi di gestione del territorio durante il periodo romano (circa 200 a.C.-400 d.C.) e la tarda antichità (400-700 d.C.) in Sicilia, regione in cui la produzione cerealicola aumentava intorno all’economia del latifondo e per questo nota come “granaio dell’Impero”. La ricerca si focalizza su antichità e tarda antichità, dal III secolo a.C. al IX secolo d.C. in quanto il periodo più lungo (quasi mille anni) di presenza politica e culturale omogenea esterna e per il primo significativo incremento della produzione cerealicola. Sono stati quindi consultati i manuali di agricoltura romana scritti da Catone il Vecchio (234-149 a.C.), Varrone (116-27 a.C.), Columella (50 d.C. circa), Quinto Gargilio Marziale (210?-260), Palladio (circa metà del V sec. d.C.) e la raccolta Geoponica (ca. IX sec. d.C.). Informazioni utili sono state trovate anche nella Historia naturalis di Plinio il Vecchio (23/4-79 d.C.), nel codice giuridico Digesta (533 d.C.) e nella tarda raccolta di poesie Anthologia palatina (circa X sec. d.C.). Sono state recensite anche le opere dei due poeti Lucrezio (94-55/51 a.C.) e Virgilio (70-19 a.C.).

Si è inoltre consultato il progetto LIFE Olive4Climate confrontando in termini di biomassa e di sequestro di carbonio i diversi sistemi olivicoli: agrosilvicoltura tradizionale/coltura intercalare, frutteti intensivi (fino a 400 alberi/ha) e superintensivi (fino a 2.000 alberi/ha). La biomassa dei frutteti è stata modellata e calcolata sia nella componente arborea fuori terra che in quella sottoterra; è stata valutata la sostanza secca della vegetazione rimossa dalla potatura e sono stati misurati l’aumento della sezione trasversale del tronco, la sostanza secca accumulata nella coltura di copertura e la biomassa radicale. La diversità dei sistemi di proprietà fondiaria dimostra che l’economia della villa era in realtà un sistema complesso, composto da aziende di dimensioni diverse con vari regimi di gestione e diritti di proprietà (ad esempio, mezzadria, contadini liberi, colonus, servus quasi colonus, vilicus…). Anche se dominante la produzione mediante schiavi, le relazioni sociali erano molte e diverse, così come i tipi di produzione e i rapporti con i mercati. Sono emersi tre elementi chiave: il modello agroforestale romano si basava su un uso funzionale dello spazio; era gestito secondo i principi dell’agroecologia; era un sistema circolare.

Le fonti romane sembrano suggerire che gli ulivi fossero piantati secondo schemi specifici per ospitare altre colture. Il modello ricorrente potrebbe essere quello degli ulivi che proteggono e/o sostengono qualche altra coltura. Columella afferma chiaramente che gli ulivi devono essere piantati ad ampi intervalli, non solo per consentire alla loro chioma di espandersi con l’età, ma anche per avere lo spazio per far crescere altre piante nel mezzo (Columella, De re rustica, 5.10.5; Columella, De re rustica, 5.8.7; Plinio il Vecchio, Historia naturalis, 17.19.93-94).

Per migliorare la ricchezza dell’intero agroecosistema, l’oliveto romano era integrato in un sistema ecologico con altri alberi. La prima funzione spaziale è stabilire i confini (Lucrezio, De rerum natura, 5.1373-1378). Tuttavia, in alcuni casi, l’oliveto poteva essere circondato da varietà arboree ritenute più utili, come bordure difensive intorno alla fattoria (come olmi o pioppi, cfr. Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 6.1-6.3; Varrone, De re rustica, 1.24.3; oppure pini, cipressi e olmi, cfr. Varrone, De re rustica, 1.15.1). In ogni caso, la stessa attenzione data alle aree centrali di una fattoria va anche alle aree esterne (Palladio, Opus agriculturae, 1.6.6), e questo dimostra come i Romani avessero compreso il potenziale delle logiche spaziali nell’agricoltura e nella gestione del territorio.

Non solo confini: anche la necessità di foglie per gli animali (Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 5.8), in modo da conservare il foraggio secco per l’inverno (Catone il Vecchio  e Varrone, De agricultura, 30; Columella, De re rustica, 6.3.6-7). La funzionalità agroforestale passava anche per le consociazioni: vite (Anthologia Palatina, 9.130; Plinio il Vecchio, Historia naturalis, 17.35.199-200); fico (Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 50.2); alberi da frutto (Lucrezio, De rerum natura, 5.1373-1378). Presenti pure cereali (Columella, De re rustica, 2.9.5-6; Palladio, Opus agriculturae, 3.18.5) e piante azotofissatrici come il lupino (Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 10.4-5; Columella, De re rustica, 2.14.5). Quali gli animali? Catone il Vecchio cita suini e pecore, oltre a buoi e muli, come adeguati per un’azienda olivicola (De agricultura, 10.1-2). La presenza di suini e pecore suggerisce l’autosufficienza in termini di carne e prodotti caseari. Ma questi animali possono aver svolto anche altri compiti come la rimozione dell’erba, la dispersione dei semi e la fornitura di fertilizzante naturale (…le pecore, cfr. Varrone, De re rustica, 1.19.3) grazie alla loro attività di pascolo tra gli alberi; Varrone specifica anche che far pascolare alcuni animali (ad esempio, le capre) possa essere dannoso.

Sistema quindi a rifiuti zero, un’economia circolare che sfruttava tutti i prodotti e sottoprodotti, la cui grande varietà e i molteplici usi - cibo, combustibile, fertilizzante, conservante, pesticida e insetticida - hanno reso unico l’olivo nell’agricoltura romana. Principale fonte di grassi essenziali, sia in ambito rurale che urbano, sia come olio che olive da tavola: le migliori di queste venivano raccolte e messe in salamoia mentre quelle cadute erano destinate agli schiavi nelle fattorie (Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 23). Ovviamente era fonte di luce quando veniva bruciato nelle lampade (…lampante) nonché utilizzato a scopi igienici. Era infine legato ad altre due colture cruciali: l’uva e il grano. L’acqua di scarico tossica nota come amurca - con il suo contenuto di polifenoli - fungeva da pesticida. L’amurca veniva utilizzata come difesa da Sparganothis pilleriana (Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 95.1-2, cfr.; anche Columella, De arboribus, 14); per proteggere il grano da vari insetti e topi - durante la semina (Virgilio, Georgica, 1.193-196), la trebbiatura (Geoponica, 2.26) e la conservazione (Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 92; G. Marziale, De arboribus pomferis, 1). Sia la polpa che i semi delle olive lasciati dopo la produzione dell’olio fungevano anche da fertilizzante, restituendo nutrimento agli oliveti.

Le pecore affette da ticchiolatura venivano trattate con miscele di amurca (Plinio il Vecchio, Historia naturalis, 15.8.33-34); la sansa era ampiamente utilizzata nelle case per uccidere le cimici dei letti (Palladius, Opus agriculturae, 1.35.2-3-4; cfr. Var. 35, 2-3-4; cfr. Varrone, De re rustica, 1.2, 25) e conservare abiti e scarpe di cuoio (Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 97-98; Plinio il Vecchio, Historia naturalis, 15.8.33-34). L’olio di scarsa qualità forniva combustibile per le lampade, come il legno lo era per il riscaldamento e la cucina (Catone il Vecchio e Varrone, De agricultura, 55; Plinio il Vecchio, Historia naturalis, 15.8.33-34).

Un sistema agroforestale per l'olivicoltura moderna, soluzione possibile?

I dati raccolti dagli oliveti esaminati nell’ambito del progetto Olive4Climate mostrano le potenzialità dei sistemi agroforestali di olivo in termini di valore energetico, ecologico ed economico. La valutazione del potenziale uso della biomassa residua di olivo per la produzione di energia (attraverso la stima del potere calorifico e delle ceneri) ha dimostrato che la biomassa residua di olivo può rappresentare un’importante risorsa per la produzione di energia, oltre che un reddito integrativo per l’agricoltore. Lo stesso è stato dimostrato per il riutilizzo dei sottoprodotti delle olive come fertilizzanti. I principali vantaggi ecologici di queste pratiche sono la riduzione delle emissioni derivanti dalla combustione, l’aumento della biodiversità e il miglioramento della struttura del suolo. Sembra che il sistema circolare possa avere dei benefici collaterali. I dati raccolti hanno mostrato come l’efficienza di sequestro del carbonio negli oliveti tradizionali sia maggiore rispetto ai frutteti intensivi e superintensivi. Ciò contribuisce a far luce su come le diverse pratiche di gestione influenzino l’ecologia dei diversi sistemi studiati. è il delicato equilibrio tra l’architettura dell’albero (portamento della pianta, vigore della pianta e portamento della pianta), la densità della pianta, la struttura dell’oliveto e le condizioni geomorfologiche del suolo a garantire la forte capacità di adattamento e la capacità di crescere e produrre, anche in presenza di alte temperature e di bassi regimi idrici dell’olivo. Altri fattori che determinano la risposta dell’oliveto alle condizioni ambientali sono il microbioma dell’apparato radicale e le condizioni del suolo, le piante spontanee che coesistono con gli olivi e le eventuali colture di copertura utilizzate per coprire il suolo. In particolare, con l’uso di colture di copertura e/o di varietà intercalari, sono stati osservati impatti positivi nella stabilizzazione e nel consolidamento del suolo, nell’aumento delle riserve idriche, nella riduzione delle perdite di nitrati e nell’aumento della biodiversità. Questo è abbastanza simile a un modello agroforestale (olivicolo). In un sistema di questo tipo, anche la presenza di portinnesti di olivo selvatico e di erbe infestanti è molto importante. Gli olivi selvatici, che crescono in aree con condizioni ambientali specifiche, sono stati selezionati naturalmente per il loro adattamento a tali condizioni; quindi, il loro utilizzo come portainnesti può svolgere un ruolo importante nell’aumentare la tolleranza dei futuri alberi ai vincoli ambientali locali. Un’ipotesi simile può essere fatta per quanto riguarda il ruolo positivo svolto dalle erbe infestanti presenti negli oliveti.

Gli autori romani e le testimonianze paleozoologiche combinate possono fornire un quadro dei sistemi olivicoli durante l’antichità e la tarda antichità. Emerge un modello organizzativo basato su quattro caratteristiche principali, che hanno garantito flessibilità e capacità di adattamento nel corso dei secoli:

i) la pluralità delle colture;

ii) l’uso multifunzionale e il riutilizzo delle risorse interne;

iii) una proprietà fondiaria complessa, con diversi livelli di proprietà;

iv) la trasmissione delle conoscenze ecologiche tradizionali come un corpo di conoscenze cumulative adattive.

Inoltre, il confronto con le evidenze moderne lascia emergere come l’importanza di questi agroecosistemi intercalari non si basi solo sul loro alto valore naturalistico, ma sul sistema circolare complessivo che essi incarnano a più livelli: ambientale, economico e culturale. Soprattutto, l’agroforesteria olivicola è la prova vivente di un sistema agroecologico capace di sopportare una complessa relazione simbiotica con l’uomo. La diversità funzionale, oggi riconosciuta come motore della biodiversità e di altri benefici negli agrosistemi, era in passato un modello agroforestale multifunzionale basato non solo su sistemi di coltura di specie miste, ma anche sul riutilizzo interno delle risorse. Di fronte alle attuali sfide climatiche, alla crisi geopolitica e alla nostra vulnerabilità agli input esterni, queste fonti antiche ci danno un’idea di sistema sostenibile, a cui possiamo ispirarci per creare i nostri sistemi moderni per il presente e il futuro.

Bibliografia

Ferrara, Vincenza, et al. "The green granary of the Empire? Insights into olive agroforestry in Sicily (Italy) from the Roman past and the present." Italian Journal of Agronomy 18.1 (2023).

di Giosetta Ciuffa

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