Cultura 27/01/2023

L'approvvigionamento di cibo e olio di oliva negli accampamenti militari romani

L'approvvigionamento di cibo e olio di oliva negli accampamenti militari romani

Dalla storia possiamo trarre alcuni importanti insegnamenti per la conquista di mercati. La scelta di inserire l’olio d’oliva nelle razioni era data da fattori anche socio-culturali


L’olio d’oliva è una parte importante della dieta mediterranea, oggi come nell’antica Roma, e non solo nell’Urbe, consumato dai “romani de Roma” di allora, ma anche inviato come provvista e per scopi non alimentari durante le campagne estere: a testimoniarlo la presenza di anfore per l’olio nei siti militari. È l’oggetto di una ricerca che analizza la fornitura di olio nella regione danubiana ai tempi dell’impero di Augusto (dal 27 a.C. al 14 d.C.) e di Traiano (dal 98 al 117 d.C.). A parlare sono ovviamente i reperti archeologici che attestano che, in virtù dell’annona militaris, l’olio d’oliva era regolarmente prelevato per l’esercito romano. Per i diversi modelli di offerta e distribuzione durante il principato la questione non è così semplice; essendo assai differente l’approvvigionamento di un esercito stabile in province integrate rispetto a uno impegnato in una campagna militare, si è analizzato il periodo di guerra in basi operative nel medio e basso Danubio, nel periodo compreso tra le campagne illiriche di Ottaviano (35-33 a.C.) e le guerre daciche di Traiano (101-102 e 105-106 d.C.).

A metà del periodo repubblicano Roma ricorse a un sistema di presidii dotati di accesso sicuro alle vie d’acqua, necessarie per collegare le fonti di approvvigionamento con l’esercito impegnato in guerra. Ottaviano probabilmente si avvalse di Nauportus (la slovena Vrhnika), integrata nel territorio di Aquileia e non troppo distante da Aemona (Lubiana). Nauportus restò a lungo uno snodo importante visti i numerosi presidi in Pannonia, regione estesa fino al Danubio e nei territori degli affluenti Sava e Drava. Intorno alla metà del I sec. d.C. venne edificato un insediamento romano fortificato, dotato di porto e magazzini utili a conservare le merci che arrivavano via terra e a distribuirle sui fiumi Sava e Ljubljanica (che bagna Lubiana e nasce proprio a Naoporto): sono state qui rinvenute numerose anfore di vino dall’Italia e Dressel 6B per l’olio istriano. Altri reperti ci arrivano dalla base operativa di Devin (il quartiere di Duino a Bratislava) di fronte a Carnuntum (attuale Petronell, in Austria), sulla riva sinistra del medio Danubio; o ancora da Poetovio, oggi Ptuj in Slovenia, importante anche per la posizione lungo la commerciale via dell’ambra, che dal mar Baltico arrivava ad Aquileia. Altri magazzini, banchine e porti si trovavano nei pressi delle Porte di Ferro, le gole che dividono Carpazi e Balcani: anfore Dressel 6B per l’olio d’oliva attestano il controllo che Roma esercitava sull’area, strategica non solo per i valichi di accesso alla Dacia ma anche perché via di rifornimento che collegava il mar Nero con le province danubiane. Si ritiene infatti che i ritrovamenti di anfore in Alta Mesia, quasi esclusivamente in accampamenti e risalenti alla fine del I secolo d.C. e l’inizio del periodo adrianeo, con un’attività militare al culmine nella regione, possano considerarsi rifornimenti per le campagne contro i Daci.

L'approvvigionamento di cibo e olio di oliva negli accampamenti militari romani

Ma come era organizzato il tutto, vista tanta espansione? Durante il periodo repubblicano, il Senato nominava il comandante in capo per ogni campagna e designava le fonti di approvvigionamento, ottenute tramite tasse, contributi alleati e requisizioni. Dalla tarda Repubblica in avanti, pian piano il sistema cambiò: avendo maggiore controllo su un esercito sempre più permanente, i generali nominavano persone di fiducia, spesso non ufficiali ma profondi conoscitori della regione (un esempio su tutti: Giulio Cesare in Gallia scelse il mercante Gaio Fufio Cita). Con Augusto si introdusse un sistema centralizzato di tesoreria e controllo delle spese dell’esercito ma un ufficiale dell’entourage imperiale veniva comunque sempre nominato per gli aspetti logistici: una pratica protratta a lungo per diversi motivi, tra cui la mancanza di un servizio centrale permanente di intendenza e il continuo stato di offensiva dalla Repubblica fino alla morte di Traiano, cosa che rendeva difficili le consuete linee di rifornimento. Minister bello, praepositus copiarum, procurator annonae…: erano questi gli addetti alla logistica, la cui funzione era raccogliere i rifornimenti e farli arrivare agli snodi, da cui venivano distribuiti alle truppe. A tal fine utili erano i mercanti locali che, già commercialmente ben collegati, disponevano dei mezzi di trasporto adeguati alle particolarità della regione.

Durante il primo principato nell’approvvigionamento risultano coinvolte élite dell’Italia settentrionale nonché produttori istriani di olio d’oliva: entrambi i gruppi avevano legami con l’entourage imperiale. Senatori della stretta cerchia di Augusto e membri della sua famiglia possedevano in Istria latifondi a oliveto: fu così che questa divenne principale fonte di olio per l’esercito nelle province danubiane, fino alle guerre daciche di Traiano. Una merce importante l’olio istriano, al punto che durante i Flavii l’amministrazione imperiale rilevò i principali possedimenti e le relative strutture produttive. I reperti rinvenuti a Nauportus e Devin indicano che quasi tutti i beni recapitati all’esercito provenivano dall’Italia o dalla regione adriatica, probabilmente via Aquileia e, con l’avanzamento militare lungo il Danubio, anche lungo la via dell’ambra. Non stupisce quindi che lungo le direttrici commerciali della Pannonia si insediassero presto rappresentanti delle maggiori famiglie mercantili aquileiesi la cui merce, simile ai ritrovamenti di Nauportus, probabilmente riforniva anche la base installata da Tiberio a Devin. E come testimonianze archeologiche dalla frontiera del Reno indicano talvolta collegamenti preferenziali tra unità militari e produttori di olio della Betica o di vino della Gallia, così anche sulla frontiera del Danubio, tramite contratti, esenti da dazi, con commercianti all’ingrosso: la merce si riconosceva grazie ai nomi delle legioni su botti e anfore.

La distribuzione delle anfore in Pannonia, incluse le Dressel 6B, durante il I secolo d.C. rispecchia l’effettivo controllo militare: rinvenute inizialmente a sud della Drava e lungo la via dell’ambra, dall’età claudia si trovano anche sul confine danubiano. Nonostante ciò, il consumo militare di olio pare diminuire dal II secolo d.C., si ipotizza a causa del reclutamento di genti locali che preferivano grassi animali. Una stima del consumo di olio nei siti militari della Pannonia fino all’inizio del III secolo d.C. indica che, nonostante il passaggio dall’olio istriano a quello della Betica, il calo riguarda non tanto le legioni quanto ausiliari e civili. La scelta di inserire l’olio d’oliva nelle razioni era data da fattori anche socio-culturali: in quanto romano, l’ufficiale addetto avrebbe incluso l’olio d’oliva nelle scorte poiché questo era il suo concetto di “razione K”; così i legionari del primo principato, spesso di origine mediterranea, ci tenevano a mangiare carne di maiale per mantenere una “romanità” rispetto agli ausiliari. Con l’integrazione di una provincia nelle strutture amministrative ed economiche dell’Impero, l’esercito acquistava provviste locali: ciò forse spiega le variazioni regionali nel consumo militare.

Graecia capta ferum victorem cepit

Roma conquistò la Grecia con le armi, ma questa, con le sue lettere e arti, riuscì ad incivilire il feroce conquistatore, rozzo e incolto. È quanto si può leggere al verso 156 delle Epistole di Orazio. Anche nelle altre province conquistate Roma fu “contaminata” dalle culture locali, anche in ambito gastronomico, come insegna la storia.

L’insegnamento che possiamo trarre è che la conquista, allora di territori, oggi di mercati, non è di per sé sufficiente all’esportazione di uno stile di vita e di una cultura, anche in ambito gastronomico. Le tradizioni locali prevalgono nel lungo periodo, a meno che non si riescano in qualche modo a contaminare con le ricette e gli ingredienti che vengono dall’estero, dal conquistatore.

Questo vale anche per l’olio extra vergine di oliva. Esportarlo, senza “contaminare” le tradizioni gastronomiche locali con questo nuovo ingrediente, può risultare un successo nel breve o medio periodo ma un sicuro insuccesso nel lungo termine.

di Giosetta Ciuffa