L'arca olearia

Il sistema olivicolo e oleicolo italiano senza sostenibilità economica e ambientale

Il sistema olivicolo e oleicolo italiano senza sostenibilità economica e ambientale

Il rischio di rincorrere il modello spagnolo nella trasformazione olearia è quello di perdere sia la sostenibilità economica, già compromessa, sia quella ambientale. Il percorso dalla qualità alla valorizzazione dei sottoprodotti secondo Maurizio Servili dell’Università di Perugia

23 maggio 2025 | 17:30 | Alberto Grimelli

La parola chiave che dovrebbe indirizzare le scelte strategiche nella filiera olivicolo-olearia Italiana è “differenziazione”. Questo vale innanzitutto per l’olio extravergine di oliva prodotto in Italia, che andrebbe differenziato prima di tutto sulla base della sua qualità, certificando il 100% Italiano come olio di qualità superiore con parametri più restrittivi rispetto all’extravergine commodity. Discorso questo che resta aperto almeno dal 2012 ma che sembra far parte anche degli obiettivi operativi riportati nel nuovo piano olivicolo nazionale. Differenziare poi su base geografica e varietale puntando sempre di più sulle DOP IGP ed oli monovarietali per i quali il nostro Paese rappresenta una fonte ineguagliabile ed in fine, differenziare poi il prodotto anche sulla base dei claims salutistici. A distanze di tredici anni dalla sua emanazione infatti, Il reg UE 432/2012 sui claims rimane ampiamente inapplicato e si continua a confondere il consumatore con la vulgata che l’olio di oliva, spesso neppure il solo extravergine, di per sé, fa bene alla salute, per una qualche proprietà magica che, essendo appunto magica, risulta indipendente dal contenuto in molecole bioattive, ad attività salutistica, che l’olio extravergine di oliva deve assolutamente contenere, in specifiche concentrazioni, per avere un reale effetto positivo sulla salute del consumatore.

A chi giova tutto questo se non a quei Paesi che, bontà loro, producono oli extravergini a costi di produzione imbarazzatemene bassi rispetto all’Italia?

Quindi differenziare, questo verbo vale anche per le innovazioni tecnologiche e per la gestione dei sottoprodotti della filiera olivicolo olearia. Partiamo dalla fine, la sansa vergine, nel nostro Paese gli impianti di estrazione erano per buona parte e tre fasi, quindi la sansa vergine poteva essere utilizzata direttamente in sansificio data la bassa umidità per l’estrazione dell’olio di sansa, li stiamo trasformando, più o meno consapevolmente, rispetto alle conseguenze sulla gestione dei sottoprodotti, in impianti a due fasi: la domanda è, come utilizzare le sanse umide provenienti dagli impianti a due fasi? E qui andrebbe fatta un po' di chiarezza per comprendere quanto poco trasferibile in Italia sia il modello Spagnolo basato di fatto sul processo a due fasi. 

 “Facciamo po’ la storia su come è nato il modello tecnologico spagnolo, sostanzialmente basato sull’estrazione e due fasi  – spiega Maurizio Servili dell’Università di Perugia – ovvero con la messa a punto del primo decanter a due fasi, da parte di un’importante azienda meccanica italiana, in collaborazione con l’Istituto de la Grasa di Siviglia alla fine degli anni’80 del ‘900, che prese di fatto piede con una certa rapidità presso in frantoi spagnoli. Faccio presente che una delle motivazioni dell’introduzione del decanter a due fasi rispetto a quello esistente a tre fasi, era quella di eliminare il problema ambientale relativo allo smaltimento delle acque di vegetazione, di fatto rimuovendo direttamente il refluo. Ma subito emerse il problema della gestione della sansa umida, da cui ne derivò la seconda estrazione per ottenere il “remolido”, e poi una terza estrazione, effettuata in sansificio con decanter a tre fasi, per ottenere sansa asciutta (50% di umidita circa), da destinare all’estrazione al solvente dell’olio di sansa, e acqua di vegetazione, destinata al lagunaggio.  Quindi di fatto l’acqua di vegetazione ricompare anche nella filiera spagnola, cambia solo il soggetto deputato alla sua gestione. Modificare i frantoi italiani per passare a due fasi significa dover risolvere, quaranta anni dopo la Spagna, la stessa problematica in Italia e cioè smaltimento/valorizzazione della sansa umida.”

- In Italia però la sansa umida può essere destinata agli impianti a biogas

“E’ vero ma si tratta di smaltimento e non di valorizzazione economica del sottoprodotto. Inoltre bisogna considerare che in territori altamente vocati, come la Puglia, è difficile che tutta la sansa umida possa essere destinata alla produzione di biogas, oltre al fatto che non si considera un’ulteriore vulnerabilità.”

- quale?

“Concentrando lo smaltimento della sansa umida sugli impianti di biogas diamo a questi operatori la possibilità, come è già parzialmente accaduto, di controllare anche la filiera olearia, bloccando l’attività dei frantoi quando non sono nella condizione di ricevere e stoccare il sottoprodotto. E come accaduto nel passato con i sansifici, saranno i gestori degli impianti di biogas a determinare le condizioni ed i costi per lo smaltimento di questo sottoprodotto, a condizioni che potrebbero diventare più sfavorevoli per i frantoi, quando si troveranno di fatto in condizioni di monopolio per il processo di smaltimento della sansa umida. Questo anche alla luce del fatto che in Italia l’industria dell’olio di sansa non gode ceto di ottima salute”

- la sansa e le acque di vegetazione sono sempre state un problema per i frantoi

“Solo perché non si vuole vedere l’opportunità di differenziare la destinazione di utilizzo dei sottoprodotti. In Spagna hanno appena brevettato un sistema per estrarre fenoli dalle acque di vegetazione prodotte in sansificio. La tecnologia, a partire dalle acque prodotte dai frantoi è stata ampliate studiata anche in Italia, ma con pochissime applicazioni in alcune realtà del Paese. Tornando alla sansa umida denocciolata una parte potrebbe essere opportunamente valorizzata per uso zootecnico ed anche, opportunamente trattata, per l’alimentazione umana. Circa l’utilizzo zootecnico la sansa denocciolata può essere opportunamente insilata ed utilizzata direttamente dagli allevamenti zootecnici di animali poligastrici, ed anche monogastrici come fonte di acidi grassi monoinsaturi, fibra, vitamina E e di composti fenolici bioattivi, migliorando il benessere animale e la qualità del latte e della carne prodotti. Per l’utilizzo umano, abbiamo brevettato un processo per la produzione di crema di olive a partire dal patè prodotto dalla tecnologia DMF o da sansa denocciolata, che una volta deamarizzato biologicamente rappresenta un nuovo prodotto con proprietà salutistiche e sensoriali superiori al normale patè di olive ottenuto dalla trasformazione delle olive da tavola. In oltre stiamo utilizzando questa crema di olive come ingrediente nella produzione di prodotti da forno di varia tipologia. Quindi valorizzare e non smaltire anche perché con i costi di produzione delle olive che abbiamo in Italia se non valorizziamo economicamente non solo l’olio extravergine ma anche i sottoprodotti la filiera non è sostenibile dal punto di vista economico e se succede questo hai voglia a parlare di sostenibilità ambientale o sociale. Quella economica si porta dietro tutte le altre sostenibilità. I composti fenolici bioattivi estratti dalle acque di vegetazione hanno un utilizzo in campo cosmetico, alimentare umano e zootecnico, con valori aggiunti sicuramente differenziati rispetto all’uso, ma cominciano a rappresentare una realtà operativa uscita dalla fase sperimentale traferita a livello di processo industriale.

- e che fine farà l’olio di sansa di oliva?

“Con gli attuali problemi sui MOAH, se non troviamo una soluzione, è probabile che sarà un prodotto sempre più difficile da collocare nel mercato del food .”

- non abbiamo parlato di sostenibilità ambientale…

“Argomento spinoso, la valutazione della sostenibilità ambientale degli impianti di estrazione andrebbe ancorata, anche in questo caso, alla qualità dell’olio extravergine prodotto altrimenti si arriva al paradosso che è più sostenibile produrre un olio extravergine di bassa qualità o un olio vergine, proveniente da olive surmature ma ad elevato contenuto di olio, che un extravergine di alta qualità, salutistica e sensoriale, ottenuto da olive ad un grado di maturazione precoce e con rese all’estrazione più basse. Se banalmente valutiamo il costo energetico che tonnellata di olio prodotto il primo è più sostenibile del secondo. Solo che il secondo fa bene alla salute ed aumenta qualità ed aspettativa di vita della popolazione che lo consuma, riducendo di fatto la spesa sanitaria ed il secondo no. Quindi la domanda è: come la misuriamo questa sostenibilità e soprattutto, quali sono i suoi indicatori in termini di impatto sociale e sanitario di quello che produciamo e non solo ambientale?”

-  per fortuna c’è l’olio extravergine di oliva

“Prima di tutto dobbiamo intenderci se parliamo del prodotto standard o di quello di alta qualità. In quest’ultimo caso comunque, anche con tutta la valorizzazione che vogliamo e possiamo dare al prodotto, non si può fare economia con solo, mediamente, il 15% in peso di ciò che arriva al frantoio come materia prima olive che è la resa in olio. Poi per fortuna la ricerca scientifica ha fatto tanti progressi e la qualità è migliorata molto.”

-  facciamo un breve ricapitolo

“Cominciando dal fondo tecnologie come ultrasuoni e campi elettrici pulsati, gramolatura sotto vuoto o l’applicazione gramolatrici in continuo (ex protoreattore), possono ridurre al minimo la gramolazione, anche a pochi minuti, senza compromettere la resa di estrazione e migliorando spesso la qualità del prodotto. E’ ormai noto che proprio la gramolazione è una fase delicata per la qualità. In gramole confinate con l’innalzamento della temperatura si favorisce la solubilizzazione nell’olio di fenoli, senza pericoli di ossidazione perché durante la gramolazione di libera anidride carbonica che satura in fretta lo spazio di testa, impendendo ossidazioni. L’ossigeno si consuma già nei primi cinque minuti di riempimento. Poi però l’innalzamento delle temperature provoca un depauperamento della componente aromatica. Alzando la temperatura aumentano gli alcoli a C6 e diminuiscono le aldeidi a C6 e alcuni esteri (responsabili dei sentori vegetali erbacei e floreali). Quindi devo tenere bassa la temperatura di gramolatura anche se quanto basse debba essere dipende dalla varietà. Nel Canino la componente aromatica aumenta sensibilmente a temperature di gramolazione di 18-22 C° ma questo non vale per il Moraiolo e sul Frantoio allo stesso modo. In tutte le varietà di olive, però, si nota che il rapporto aldeidi/alcoli tende a mutare quando si passa da temperature di 22-25 C°  fino ai 30-35 C°.”

Ma questo è solo un dettaglio, l’innovazione di processo si è orientata verso la produzione di nuovi frangitori ad effetto differenziato sulle parti solide come il frangitore multilama che si affianca al frangitore a coltelli, già da anni sul mercato, nel migliorare la qualità salutistica e sensoriale degli oli extravergini di oliva, aumentando il contenuto fenolico ed aromatico degli stessi, rispetto all’utilizzo del classico frangitore a martelli, a parità di resa all’estrazione. Un’altra importante innovazione ha riguardato l’introduzione del freddo in frantoio necessario per produrre oli di alta qualità, quando le temperature di raccolta sono elevate superiori ai 30°C. In queste condizioni quando le olive arrivano in frantoio, il frangitore tradizionale innalza ancora la temperatura delle paste e come effetto indesiderato avremmo una bassa produzione aromatica ed una ridotta concentrazione fenolica. Di conseguenza, freddare le olive o le paste in post frangitura diventa fondamentale per migliorare i profumi ed il contenuto fenolico di oli prodotti da raccolta precoce o, comunque le cui olive provengono da areali climaticamente miti e con i cambiamenti climatici, l’intero nostro Paese ha di fotto questo problema, anche su raccolte non necessariamente anticipate. I frangitori raffreddati così come gli scambiatori di calore applicati in post- frangitura, così come le gramolatrici in continuo (ex protoreattore), che possono operare anche a bassa temperatura, stanno ampiamente aiutando a risolvere questo importate problema, anche se la ricerca in questo campo è continuamente in corso.  

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