Editoriali

L’etica non è nemica del mercato

03 aprile 2010 | Elia Fiorillo

Nel nostro linguaggio ci sono parole “usurate” per troppa pronuncia impropria.
“L'etica” è una di queste.
Ce la ritroviamo in tutte le salse con significati diversi, se non contrastanti. La utilizziamo per sostenere nostri comportamenti che ad altri possono sembrare non ortodossi o scorretti Insomma, ne facciamo l'uso che meglio crediamo in una visione tutta personale di correttezza, di professionalità, d'irreprensibilità.

Il “futuro dell'economia tra etica e politica” è stato il tema di un confronto tenuto al Forum della Confagricoltura a Taormina. Di etica si è discusso molto, un po' meno di politica. Forse perché un'impostazione etica può partire da noi stessi, dai nostri comportamenti individuali, mentre per la politica le cose si complicano dal fatto che essa, la politica, dovrebbe essere elemento regolatore della polis, con tutte le mediazioni del caso, e spesso non lo è.

Quando parliamo di etica, anche per quanto riguarda l'economia, ci riferiamo alla “ricerca di criteri che consentono all'individuo (o all'impresa) di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri”.
Siamo noi a decidere i canoni, le posizioni che ci qualificano nell'assoluto ossequio del prossimo. E che c'entra l'economia con tutto ciò? Non è che l'etica diventa fuorviante per il raggiungimento dell'obiettivo profitto?

Certo, se il danaro, lo sterco del diavolo, rappresenta l'unico scopo sul quale concentrarsi, competere, allora le cose cambiano. Ma non è detto che agire con etica fa diminuire i profitti alle imprese in particolare sul medio e lungo periodo.
Dice monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, che spesso l'etica la s'invoca a valle, dopo che ci sono stati disastri economici o sociali, non a monte come dovrebbe essere. Se fosse stato diversamente non ci saremmo trovati di fronte a disgrazie finanziarie come quelle che abbiamo dovuto registrare ultimamente. Non avremmo avuto il cataclisma dell'americana Lehman Brothers, che pure era stata insignita di premi per la sua professionalità ed affidabilità (sic).

“L'etica non è nemica dell'efficienza”, afferma l'arcivescovo Crepaldi, come la Chiesa non è contro il mercato, ma “il mercato è un mezzo, non un fine”. La regola che hanno seguito molti amministratori nello scorso secolo era: “massimi utili per i propri azionisti”. Ma l'estremo guadagno a volte nasconde carenza di sicurezza sul lavoro, tasse non pagate, sfruttamento del lavoro minorile, insomma tutte quelle cose che siamo stati abituati a sentire quando scoppiano poi gli scandali e le imprese coinvolte o saltano, o hanno danni paurosi ai loro bilanci.

L'etica comportamentale di un'impresa può essere una valida polizza assicurativa che premia la società virtuosa che guarda al mercato con prudenza, mai subendolo, né facendosi trascinare nei suoi vortici speculativi oltre ogni limite e misura. In questo modo il giusto profitto non viene intaccato sul medio lungo periodo perché non ci saranno situazioni o azioni che potranno, al di là del puro rischio imprenditoriale, far saltare il banco. Tutto ciò provoca anche ricadute positive d'immagine che, in una società mediatica come la nostra, non sono poca cosa, specialmente per quelle imprese che spendono milioni d'euro in pubblicità. Insomma, l'etica paga sempre quando non è posticcia, ovviamente

Per la politica il discorso è più complesso. Il suo compito è regolatore, a tutela del bene comune, mai condizionante o oppressivo come pure siamo stati abituati a registrare in aziende a controllo pubblico tipo la Rai o a quelle sanitarie.

Ha ragione Giampiero D'Alia, presidente del gruppo Udc – Svp-Is del Senato, quando afferma che il rapporto tra controllore e controllato nel nostro Paese non è mai netto, con tutte le distorsioni e le complicazioni che ciò comporta.
La politica da regolatore, da arbitro imparziale, diventa un giocatore in campo dei più agguerriti. Forse sarebbe il caso, a dieci anni dalla riforma del titolo V della Costituzione, fare un primo bilancio di quello che è avvenuto, o che non è capitato, a partire dai bilanci regionali con le paurose percentuali che vanno dal 70 all'80% per spese sanitarie.

E' vero, il futuro dell'economia si giocherà tra la capacità imprenditoriale di fare profitto, imponendosi un'etica che tenga conto dell'altrui libertà e del bene comune e la capacità della politica di essere super partes, nel disciplinare senza imperversare, tenendo sempre conto delle regole del mercato.

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