Editoriali

A ciascuno il suo

30 gennaio 2010 | Gualtiero Marchesi



Ho letto che, da qualche parte, durante un concerto, il direttore ha ceduto la bacchetta ad uno del pubblico, lasciando che fosse lui a dirigere l’orchestra. Una storiella ammiccante e un po’ sciocca che mi fa pensare due cose.

La prima è che, in fondo, non c’è nulla di curioso in questa notizia, perché una buona orchestra può anche fare a meno del direttore e l’altra che né il direttore vero né quello improvvisato sembrano essere contenti del proprio ruolo.
Perché scambiarselo, dal momento che ognuno ha bisogno dell’altro e che sono ambedue notevoli e belli?
Forse per compiacere un senso di familiarità, un modo decontracté di stare al mondo?

«Venga, si accomodi, salga pure sul palco. Le cedo per un minuto la mia bacchetta»!
Un gesto simpatico che sottolinea la nuova tirannia del perché no? e del perché non io?
C’è qualcosa che stride ed è una mancanza di forme, di salutari distanze.
A forza di ridurle o addirittura di eliminarle, si rischia di confondere anche i contenuti.
Solo la cultura permette di rispettare i ruoli, di riconoscere le capacità e quindi di ammirare chi merita.

Ad un concerto come seduti al tavolo di un gran ristorante bisogna sottolineare l’unicità del momento, non banalizzarla, abbassandola al livello di tutti i giorni.
Il cibo è vita, ma la grande cucina è arte. Altrimenti sono solo uno che suona bene, che cucina bene.

Per vivere un’emozione ci vuole la giusta predisposizione d’animo come alla prima di uno spettacolo: voglia di stupirsi, gusto e senso critico.
Ciascuno svolga fino in fondo il proprio compito, mostrandosi veramente interessato: il cuoco a inviare un messaggio di bellezza, dal piatto all’ambiente che lo circonda e il cliente a capire in che lingua si sta parlando.
In palio può esserci l’arte.
Un’esperienza che come lo stile e il lusso, è qualcosa di impalpabile, più vicino ad uno stato armonico che a un possesso materiale.

Quando ero “Al Mercato”, nell’albergo con ristorante dei mei genitori desideravo crescere, fare cucina e, naturalmente, spostarmi in centro, intercettare le persone giuste, che potessero capire.
Ripensandoci, però, anche “Al Mercato” si sarebbe potuto fare grande cucina, perché arte, stile e lusso ce l’hai dentro o non ce l’hai con in più il vantaggio di mostrarti a casa tua.

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