Editoriali

Quando i simboli fanno paura

12 dicembre 2009 | Sante Ambrosi



Ho seguito distrattamente le discussioni seguite al risultato del referendum in Svizzera, che con il 57 per cento ha decretato un no deciso alla costruzione di minareti in terra elvetica, e ne ho ricavato un’impressione profondamente negativa.

Non riesco a comprendere i motivi delle paure per vedere sventolare sui nostri cieli il minareto.
Qualche giornalista ha pensato che sia l’immagine stessa che offende, in quanto richiamerebbe, con la sua forma, un missile, e, quindi, una guerra di occupazione dei nuovi Mori.

Che un minareto richiami immediatamente nella mente degli occidentali minacce di guerre è indizio di incubi profondamente radicati nel nostro subconscio e frutto di storie passate che ancora non sono state superate. Anziché vedere il lato positivo del minareto, si è portati a vederne il lato negativo e demonico. E questo è tragicamente grave perché è segno di una malattia profonda e non del tutto rimossa.

Ma il minareto è un simbolo forte che richiama la storia di un popolo mosso da una fede che aggrega e che orienta verso un trascendente che riguarda il destino di ogni uomo.
Il suo tendere verso l’alto e quella voce lanciata da lassù in tutte le direzioni è un richiamo che anche colui che non fa parte di quella religione, o colui che non possiede nessuna fede, non può sentire come una minaccia, ma come un richiamo potente e altamente significativo. Un po’ come i nostri campanili e le chiese gotiche che sono nati da un terreno e da una fede in un al di là che oggi sono, purtroppo, svaniti in un nulla vuoto. Ma non per questo hanno perso il loro significato.

Il minareto, come le chiese gotiche e i nostri campanili, non sono da leggere come una appartenenza di un popolo o di una fede, ma simboli di una vita che deve essere orientata e ritmata su un tempo che è eterno. Ma l’uomo contemporaneo conosce del tempo una sola dimensione, quella di un presente divenuto un assoluto senza orizzonti e che imprigiona e soffoca in un ritmo dettato dalle regole del progresso e del commercio.

Così anche il significato dei nostri campanili si è spento e l’uomo contemporaneo coglie di essi, quando va bene, solo qualche scampolo di estetismo abbastanza sterile.
Non così era un tempo, quando si costruivano nelle nostre città, come molto efficacemente ricorda Dante nel Paradiso, attraverso i ricordi del suo avo Cacciaguida:

Fiorenza dentro de la cerchia antica,
ond’ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.


In questi versi di Dante sta il significato grande dei campanili e del suono delle campane. Dovevano ricordare che il tempo presente si fonda su un tempo eterno dal quale esso stesso riceve senso e valore.

In modo non dissimile dobbiamo vedere anche il minareto. Il suo valore simbolico non deve toccare soltanto quelli di una fede, ma ogni uomo, perché il simbolo ha sempre un valore universale.

Pur sapendo che all’interno della religione Islamica ci sono contraddizioni e storture incredibili, io non posso fermarmi a queste, ma andare oltre il contingente per vederne gli aspetti positivi e altamente significativi.

Certo, gli Islamici possono pregare anche senza minareto, ma perché costringerli a privarsi di un simbolo tanto grande ed eloquente, eloquente anche per l’occidente?

Il simbolo è sempre simbolo per tutti, anche per coloro che non fanno parte di quella religione che lo ha creato.
Ma oggi i simboli spaventano, come spaventa il crocifisso sulle pareti delle aule. Anche qui ciò che mi spaventa non è tanto la presenza o meno del crocifisso su una parete. Don Primo Mazzolari diceva che un crocifisso in una azienda non è di per sé segno di maggior fede cristiana. Ma quello che mi preoccupa è questa mentalità che si sta diffondendo in occidente, che si sente turbata per un simbolo che parla di fratellanza e di un amore che non conosce confini. La stessa cosa vale anche per il minareto islamico.

Quando questi simboli fanno paura, si deve concludere che la nostra mente è profondamente offuscata. Cogliere il significato simbolico del minareto non deve essere considerato come un sincretismo per il quale ogni religione vale l’altra, ma solo una sincera capacità di cogliere e interpretare tutti i valori che le grandi religioni sanno offrire.
Da qui, penso, si debba partire per parlare di dialogo vero e costruttivo. E questo va detto senza ignorare le grandi differenze e ambiguità ancora presenti nella religione islamica, e, soprattutto, le preoccupanti deviazioni offerte dal fondamentalismo così radicato in questa religione.

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