Editoriali

Il crimine paga

07 marzo 2009 | Maurizio Cucchi



Mi è capitato più volte di ascoltare con un certo raccapriccio – spero che sia finito tutto - la pubblicità di uno dei soliti serial televisivi dedicati al crimine, dove, con un’ironia implicita, certo, ma secondo me insufficiente a non rendere imbarazzante il messaggio, si concludeva così: “il crimine paga”.

Non ho visto il serial e in ogni caso questa proposta mi ha tolto anche la minima voglia di farlo. Come non bastasse, girando per le strade della città ho avuto il fastidio di vedere giovani volti seri accanto ai quali era a grandi lettere la scritta: io ho ammazzato; oppure: io ho rubato; e ancora: io ho spacciato. Chissà, mi sono chiesto la prima volta, questi ragazzi dicono queste belle cose per accattivarsi la simpatia dei passanti?

La normalizzazione del crimine, la sua presenza abituale sui vari schermi, il modo con cui viene proposto, mi sembra davvero inquietante. Non c’è ironia implicita che tenga di fronte agli effetti che certe situazioni possono produrre in una realtà fin troppo dominata da una forte aggressività e da una violenza che, intesa come sopraffazione del rivale, sembra quasi una molla utile per il successo. Sappiamo benissimo, tra l’altro, della mitizzazione di cui sono oggetto figure decisamente negative, anche solo perché proposte sulla scena di un’informazione dove troppo spesso tutto viene ridotto a spettacolo. E dove l’essere protagonista di tale spettacolo è cosa ambita; che si tratti di un protagonismo nel bene o nel male non ha quasi più importanza.

Tutto diventa fiction, il succo di pomodoro e il sangue finiscono col rassomigliarsi troppo. Chi appare, anche se in veste criminale, è comunque un soggetto pubblico, e come tale, distinguendosi dalla massa anonima, viene considerato un privilegiato, un vincente, un mezzo divo. Appunto, il crimine paga. E oggi, lo sappiamo, quello che conta di più, comunque, è essere pagati, e bene. Un messaggio che, lo so e lo dico una volta di più, vuole essere antifrastico, enfatico, sottilmente ironico, ma che, inevitabilmente, più o meno sotto traccia, è anche un messaggio involontariamente letterale, specie in presenza delle solite situazioni criminali che occupano gli schermi più d’ogni altro genere. Speriamo almeno che l’intelligenza degli spettatori sappia prevalere su quello che, nella meno grave delle ipotesi, è prova lampante di un cattivo gusto estremo.

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